Il mio amico Pakistano, Usman Quayyum, Director (Artificial Intelligence) Entrepreneur e Ricercatore con più di 18 anni di esperienza in AI e Machine Vision, mi ha fatto pensare molto con la sua domanda:

Do you think in your mother tongue? 🤔 How does language shape our thinking?

Pensi nella tua lingua madre? In che modo il linguaggio modella il nostro pensiero?


Imagine an operating system built upon the power of large language models! — one that truly understands you. An LLM-based OS could personalize the experience, automate tasks, and make tech more accessible. What are your thoughts? https://lnkd.in/dMtqkHkA

Immagina un sistema operativo basato sulla potenza di grandi modelli linguistici! — uno che ti capisce veramente. Un sistema operativo basato su LLM potrebbe personalizzare l’esperienza, automatizzare le attività e rendere la tecnologia più accessibile. Quali sono i tuoi pensieri?

Questo è stato il mio punto di partenza per chiedermi fino a che punto il linguaggio e la necessità di adattarsi ad un’altra lingua condizioni anche il nostro pensiero.

Vorrei tentare di spiegare, anche se non in maniera approfondita, come attraverso gli anni, le esperienze vissute, il relazionarsi sempre in almeno due lingue parallele, abbiano modificato senz’altro non solo il mio comportamento, ma anche il mio modo di pormi di fronte ai miei interlocutori in maniera naturalmente assertiva, che è probabilmente derivata inizialmente dalla difficoltà naturale di dover parlare in una lingua che non fosse la mia e il dover essere particolarmente attenta per capire il significato.

Consideriamo le teorie di Chomsky e la ricerca delle strutture innate del linguaggio naturale, elemento distintivo dell’uomo come specie animale, superando la concezione della linguistica tradizionale incentrata sullo studio delle peculiarità dei linguaggi parlati.

Infatti, secondo Chosmky, “il compito principale della teoria linguistica deve essere di sviluppare un elenco di universali linguistici che, da un lato, non sia poi smentito dalla concreta diversità delle lingue e, dall’altro, sia sufficientemente ricco ed esplicito da spiegare la rapidità e l’uniformità dell’apprendimento linguistico, e la notevole complessità e portata delle grammatiche generative che dall’apprendimento linguistico, sono il prodotto”…

Effettivamente, il linguaggio non determina completamente i nostri pensieri, che sono molto più flessibili e fluidi, però l’uso abituale di una lingua può influenzare i nostri pensieri e le nostre azioni, perché possono essere associati mentalmente a dei valori culturali o sociali dell’habitat stesso.

Di fatto, da giovane studentessa in Cile, ho seguito a scuola lezioni di inglese di un’insegnante cilena di madre lingua spagnola, e da adolescente, al British Institute ho avuto lezioni di insegnanti di madre lingua inglese. Poi, a 18 anni, sono partita per Londra convinta di sapermela cavare abbastanza bene con la lingua. Le cose non stavano così!

Certo, riuscivo ad andare da sola al College, districarmi in tutto quello che era la quotidianità, in un linguaggio semplice ed elementare. Ma capii immediatamente che era tutt’altro mondo da quello che conoscevo.

 

 

Mi colpì, senza rendermene conto inizialmente, la forte differenza tra il linguaggio parlato e il linguaggio del corpo. L’Inglese in generale (parlo in forma molto generale e direi basica), mantiene in genere come prassi abituale una distanza fisica tra una persona e se stesso, fino a che non la conosce molto bene. Questa distanza è come una barriera invisibile che impedisce di avvicinare l’altro se non gli viene concesso di farlo. E può durare tutta la vita in alcuni casi! Mentre il linguaggio parlato è formalmente a posto…Mi spiego: entrando o uscendo dalla metro, anche quando ti spingono, contemporaneamente ti dicono “sorry!

Dobbiamo tenere conto anche di un altro fattore: il concetto della privacy è sacro! E non sono disposti a violarlo senza averci almeno ragionato sopra. Potrei dire molto pacatamente che nei popoli latini per eccellenza questa distanza non esiste. Anzi, ci si comporta con chi fino a cinque minuti prima era un estraneo, con una disinvoltura fisica disarmante in alcuni casi, che può diventare anche esasperante per chi non è abituato. E questa mancanza di distanza corporale si accompagna (va accompagnata con) a un linguaggio parlato altrettanto esplicito, con utilizzo di alcune espressioni non propriamente corrette, ammiccamenti sociali che possono causare imbarazzo a qualcuno proveniente da un paese più “freddo” nel suo comportamento, non solo gli inglesi, ma anche (possiamo includere) gli olandesi, finlandesi, svedesi, e così via.

Imparai a tenere le distanze, ad ascoltare con attenzione, dando importanza sia al linguaggio parlato sia al linguaggio del corpo, e questo mi ha aiutato a capire di più il luogo e la gente dove stavo vivendo, dandomi un modo nuovo di guardare e permettendomi in tempi più rapidi di “integrarmi” meglio in quell’habitat.

E’ evidente per tutti che quando si parla una lingua, le parole sono rappresentazione di idee, persone (gente), luoghi, ed eventi. I bambini per esempio, imparano prima di tutto la lingua parlata dalla loro madre quasi per simbiosi, ed imparano la lingua del paese dove vivono  velocemente perché collegati con la cultura e il paesaggio del posto. E hanno la capacità di imparare varie lingue contemporaneamente. La parola “neve” è difficile che l’impari un bambino del Caraibi, non avendola mai vista né toccata! O per i bambini dell’Himalaya capire concettualmente il significato della parola “mare” da piccoli…

Il mio approdo in Italia, a livello linguistico, è stato senza preparazione alcuna. Ho cominciato a sentir parlare l’Italiano in Sud America, a Londra ho provato a leggerlo, capendo istintivamente di più perché è una lingua più simile alla mia (cosa che si presta anche a una miriade di complicazioni perché le grammatiche dello spagnolo e dell’italiano sono molto complesse e diverse) e soprattutto, l’Italiano è una lingua dove il linguaggio del corpo accompagna molto il parlato.

Riflettendo, è chiaro che il territorio di questi due paesi (l’Italia e il Cile) sotto certi aspetti si assomigliano, sono entrambi (tutte e due) territori lunghi con una variazione climatica da Nord a Sud che va accompagnata naturalmente con una variazione linguistica, e così posso azzardare che non è stato del tutto difficile che una santiaguina e un napoletano potessero capirsi, anche se nessuno dei due parlava la lingua dell’altro bene e non potesse seguire grammaticalmente il concetto per intero.

Belvedere di Pizzofalcone al Monte Echia, aperto dal 09/04/2024

E i napoletani, per me, sono un popolo a parte! Permeati dalla cultura millenaria di una Napoli fondata dai cumani nel VIII secolo  a.C., città tra le più importanti della Magna Grecia con un ruolo notevole a livello commerciale, culturale e religioso nel confronto delle popolazioni italiche circostanti. Capitale del Regno di Napoli per cinquecento anni e con la Restaurazione (divenne) capitale del Regno delle Due Sicilie sotto i Borboni fino all’Unità d’Italia. Senza stare a raccontare qui la storia di questa magnifica città, possiamo dire senz’altro che: il napoletano è una vera e propria lingua e non solo un dialetto e che il centro storico di Napoli dal 1995 è patrimonio dell’umanità, riconosciuto dall’UNESCO per i suoi edifici e monumenti che testimoniano più di tremila anni di storia! E potremmo anche parlare della sua tradizione culinaria, partendo dalla pizza, icona globale, conosciuta e gustata in tutto il mondo, così come della musica classica e dell’opera attraverso la scuola musicale napoletana, della musica popolare cantata in ogni dove, del teatro, dell’arte figurativa e di tanto altro!

Parlando del linguaggio ancora, si deve dedicare un capitolo a parte alla simpatia del napoletano e soprattutto anche ai loro proverbi, che sono uno specchio della saggezza popolare.

Alcuni dei più famosi:

Ogne scarrafone è bell’ a mamma soja” Ogni scarafaggio sembra bello alla propria madre…

E’ voglia ‘e mettere rum, chi nasce strunze nun po’ addiventà babbà” Chi nasce tondo non può morire quadrato…

Pigliate o buono quanno te vene, ca o malamente non manca maje” Prenditi la buona occasione quando ti capita, perché la cattiva sorte non manca mai…

A mejo parola è chela ca nun si dice” La parola migliore è quella che non si dice. Un proverbio molto amato dagli anziani di Napoli, che raccomandano ai giovani di essere prudenti nella vita…

Tre so’ e putiente: o papa, o rè, e chi non tene niente” Tre sono i potenti: il Papa, il Re, e chi non ha niente…

Ll’acqua è poca, e ‘a papera nun galleggia” In uno stagno che contiene poca acqua, una papera non riesce a galleggiare come è abituata a fare. Allo stesso modo, una persona con poco denaro ha difficoltà a tenersi a galla.

Questi proverbi dimostrano il tipo di linguaggio tipico napoletano, un po’ ironico, un po’ festante, ma sempre gentile, mai con pesantezza o cattiveria. La vita si prende con allegria, con saggezza, intanto si sa che il Vesuvio potrebbe sempre esplodere…

…Pannychis non credeva alle cose che diceva, anzi vaticinava in quel modo proprio per farsi beffe di coloro che credevano in lei, col risultato però di destare nei suoi devoti una fede incondizionata… (brano estratto da “La morte della Pizia” di Friedrich Dürrenmatt.

L’uomo ha sempre ascoltato gli oracoli, creduto negli indovini, cartomanti, lotterie e simili, dove il linguaggio gioca una parte importante, saranno l’AI e la Machine Vision, gli oracoli del futuro?  Riflettiamo… 

Le ‘intelligenze artificiali’ di cui tanto parliamo, prima di essere una entità reale, sono metafora che noi umani ci costruiamo per dar corpo a una sudditanza che andiamo a cercarci come fuga dalla responsabilità personale. Questa fuga è la nostra malattia. Dobbiamo fare il possibile per guarirne. (brano estratto da ‘Splendori e miserie delle intelligenze artificiali’ di Francesco Varanini.

 

La Reale Cappella del Tesoro di San Gennaro, gioiello dell’arte barocca.

 

Questo è un piccolissimo omaggio alla città di Geppino, Napoli, da parte mia con tutto il cuore!

 

Fonti:

Usman Quayyum, https://lnkd.in/dMtqkHkA

Noam Chomsky:  Problemi di teoria linguistica (1964), La grammatica generativa trasformazionale (1966), Riflessioni sul linguaggio (1975), La conoscenza del linguaggio (1985), Linguaggio e problemi della conoscenza (1987).

“I proverbi di Napoli” Edizioni Savarese.

“La morte della Pizia” di Friedrich  Dürrenmatt.

“Splendori e miserie delle intelligenze artificiali” di Francesco Varanini.