Numero 58 Registrazione al tribunale di Roma N° 3/2004 del 14/01/2004

Consumo e consumismo
Consumo è cosa buona, consumismo è consumo patologico

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di Giuseppe Monti

 


yyNegli anni sessanta, l’economia degli Stati Uniti e dei paesi dell’Europa Occidentale attraversò un periodo di espansione. Questo ebbe, in parte, l’effetto di diminuire le diseguaglianze economiche e fece raggiungere ai paesi occidentali un buon grado di prosperità. Vi fu quindi un aumento della domanda dei beni di consumo (automobili, elettrodomestici, televisori, abbigliamento, etc…).

Il mantenimento di questa prosperità era strettamente legato alla continua espansione della domanda. I cittadini cominciarono a essere indotti, in primo luogo dalla pubblicità, ad acquistare sempre di più, anche usando il mezzo delle rate e delle cambiali. Molte persone, anche se non benestanti, iniziarono ad acquistare beni che non servivano più a soddisfare bisogni precisi e reali, ma il cui possesso li faceva sentire al passo con i tempi. Ebbe inizio il consumismo che dura tutt’oggi. La contestazione giovanile che si ebbe nel 1968 attaccava anche il consumismo; infatti i giovani lo definivano una società fondata solo su beni materiali.

Il consumismo fu aiutato dalla diffusione di strumenti di credito al consumo, tra cui la carta di credito, i quali consentivano di acquistare beni pur non avendo il denaro necessario per l’acquisto.

In questa fase del processo divenne di primaria importanza la distribuzione: e quindi la creazione di grandi magazzini, centri commerciali, la pubblicità. Quel che sul piano economico è consumo, diventava consumismo, fondato sul principio per il quale l’appagamento di un bisogno ne stimola il sorgere di uno nuovo.

Occorre per questo imparare a distinguere dagli altri i falsi bisogni. La maggior parte dei bisogni che oggi prevalgono, il bisogno di rilassarsi, di comportarsi e di consumare in accordo con gli annunci pubblicitari, di amare, di odiare ciò che gli altri amano e odiano, appartengono a questa categoria di falsi bisogni, i bisogni repressivi.. Può essere infatti che l’individuo trovi piacere nel soddisfare i propri bisogni, ma questa felicità non è una condizione che il consumismo accetti di perpetuare, onde evitare la staticità degli acquisti.

Alla base del consumismo vi è l’idea di sfornare continue novità in ogni campo facendo sì che le persone si abituino ad acquistare prodotti non per la loro necessità ma piuttosto per quello che questi rappresentano. Il contributo della pubblicità ha aggravato questo processo ormai presente nella società odierna; essa invoglia i potenziali consumatori ad acquistare i prodotti che vengono mostrati.

Citazioni sul consumismo.

  • …. ha trasformato i proletari e i sottoproletari italiani, sostanzialmente, in piccolo borghesi, divorati, per di più, dall’ansia economica di esserlo…. (Pier Paolo Pasolini)
  • Il cliente, il pubblico, è un bambino di undici anni, neppure tanto intelligente. (Silvio Berlusconi)


In effetti consumare è un aspetto naturale del vivere in società.

Vivere in società è una decisione naturale e  morale. Si decide di vivere in società perché così possiamo soddisfare le nostre esigenze meglio di quanto faremmo da soli. Sin dall’origine della specie ci si è resi conto che benefici maggiori potevano essere ottenuti attraverso la cooperazione, la divisione del lavoro e l’interdipendenza. Uniti i nostri sforzi, anche i nostri interessi si intrecciano dando vita così al mercato, in cui avvengono gli scambi volontari mutuamente vantaggiosi. Il mercato è in effetti la più alta espressione di cooperazione e di interdipendenza degli uomini. Pensiamo a quante centinaia di migliaia di persone cooperano per mettere a nostra disposizione un computer o un’automobile da quelli che lavorano nelle varie miniere per provvedere alle materie prime agli impiegati degli uffici commerciali e marketing fino ai distributori ed ai concessionari. Tutte queste persone lavorano naturalmente per ricavarne un profitto. Finalmente qualcuno compra un computer o un’automobile per soddisfare un bisogno o un desiderio.

In pratica possiamo dire che consumiamo perché preferiamo godere dei frutti del lavoro di centinaia di migliaia di persone piuttosto che lavorare da soli per produrre qualcosa.

Tutto questo va bene se parliamo in generale di mercato e di consumo.

I “fanatici” del mercato dicono, con qualche ragione, che il mercato tende a rendere più omogenea la società e ad attenuarne le disparità, che sono stati la produzione ed il consumo di massa ad avvantaggiare i poveri e che se siamo tutti in grado di vivere circondati dalla tecnologia è perché da essa le persone traggono profitto e perché competizione e progresso tecnologico, a lungo andare, fanno sì che i prezzi tendano a scendere; e quindi prezzi più bassi permettono di fare più cose col denaro a disposizione al fine di soddisfare meglio le nostre esigenze. Dicono anche, forse esagerando un po’ e con qualche superficialità, che la voglia di soddisfare le proprie ambizioni personali è il carburante del progresso e dare libera espressione ai desideri delle persone per migliorare la loro vita è la sola vera giustizia sociale.

D’altra parte una volta gli acquisti si facevano per comperare il necessario (le tre elle: Latte, Letto e Lana). Ora che nei paesi più ricchi il necessario ce l’hanno in molti, gli acquisti si fanno per altri motivi: per fare bella figura, per riempire un vuoto, facendo quindi prevalere l’avere sull’essere (la quarta elle: Lusso)..

Il consumismo ha trasformato i cittadini in consumatori forzati di prodotti dall’utilità sempre più dubbia, dalla vita utile sempre più breve e dal grande spreco. Pensiamo al fatto che la nostra automobile rimane ferma (non mobile) in media per il 95% della sua vita.

E’ possibile affermare che  la realtà è che il modello di “sviluppo” vigente è arrivato al capolinea. Solo ridefinendo gli stili di vita e riscoprendo l’individuo è possibile uscire rafforzati da questo momento storico.

Accettando queste ipotesi, alquanto catastrofiste, potremmo affermare che  “consumatore” è una persona che non sceglie un prodotto perché costa meno, perché è più salutare, perché appartiene alla propria tradizione gastronomica; lo sceglie perché è indotto a farlo e non può farne a meno. E quindi il marketing, la promozione, la pubblicità sono il diavolo.

In effetti è forse venuto il momento di passare a un atteggiamento responsabile, consapevole e  rispettoso verso l’ambiente in cui viviamo, un atteggiamento che si basi sulla semplicità volontaria.

Questo è il messaggio importante e decisivo per il nostro futuro che anche un momento difficile come l’attuale crisi economica può comunicarci.

E’ importante, a questo punto, rilevare il pericolo di cadere in qualche estremismo oppure nel fatale errore di voler risolvere problemi complessi con decisioni semplici.
Erich Fromm parla di “consumo ragionevole“, oggi si parla di “consumo sostenibile“.

Già nel 1936 Richard Gregg aveva formulato il concetto del “Voluntary Simplicity”.

Questo si basa su una volontaria semplicità nello stile di vita, tende ad un basso consumo (di beni di consumo, di energia) e preferisce valori quali l’indipendenza, l’autostima e una responsabilità ecologica. Si tratta quindi di privilegiare l’essere sull’avere.

 

Il commento di Gaetano Testa

 

 

Kello ke a kaldo
mè venuto di dirti


kello ke molto grossolanamente penso sul tema
konsumo e konsumismo

- una volta (fino a 10/15 anni fa) mi era kwasi facile avere kwalke kiarezza su konsumo e konsumismo ora non +

konsumo – fenomeno naturale e positivo ma kos'è naturale? – kos'è natura?

avevo kwalke pikkola kiarezza sui konfini del naturale della natura ora non + - ora (voglio dire kon lesperienza krescente (sia pure indiretta) della fenomenologia kwantika (o kwantistika?)) non so + dove komincia e dove finisce sia la natura sia (indi) il naturale – molti fenomeni ke prima associavo al lusso allo spreko (leleganza leccesso) mi sembravano oltre i limiti del naturale della natura ora non + nel senso ke senza buttare in mare nulla delle tue asserzioni le loro implikazioni mutano e anko profondamente se dilatiamo oltre un certo limite il loro ambiente – il konsumo (in alkuni kasi) diventa kwasi un vizio il konsumismo (in altri) un virtù nel senso ke (anko) lo spreko si fa necessità

sikè attrezzarsi di responsabilità mi diviene assai + komplikato

il rispetto dellambiente kosè? fin dove dovrebbe spingersi kontrarsi?

poi
lattuale krisi ekonomika – ki o kosa decide ke si tratti di krisi (husserl un centinaio danni fa tentò di deskrivere in un saggio lungo e argomentato e celebre ke la krisi delle scienze europee fosse essenzialmente un krisi di linguaggio – oggi mi sento di kondividere kwel punto – anko nel senso specifiko delluso delle parole e della prospettiva semantika ke kwelluso glomerula)
alkuni (gli ottimisti) si spingono a dirla krisi di sviluppo di krescita ecc altri (non ottimisti) la kiamano krisi x fare irrompere nel processo di indagine konoscitiva lordine (okulto maskerato ubikuo) dellambiguità tipiko della fenomenologia del kreativo (arte poesia scienza teorika e pratika religione)

la stessa krisi di linguaggio è indikazione assai incerta – kosè linguaggio kosè parola – si tratta di oggetti duso e abuso kotidiani istintivi naturali – vedi un po ke baraonda di approssimazioni deformazioni misure ke si sommano tra loro
siamo nel kaos non frattaliko e neppure numerario – sarebbe semplice e persuasivo

kiamarlo subito merda
ma non è neppure kosì – poikè le nx risorse di reazione a kel kaos (nei  fatti e nei fatti della komunikazione) parallelamente si fanno + e megli o ekologia (tutta roba da ridefinire – anzi ri-definire diviene unistanza incessante – ridefinire tutto/la kosa/kwì – ridefinire fino alla skomparsa del fenomeno stesso della definizione e delle azioni a esso konnesse (ke non sono poke) – la poesia (skritta orale e visiva (x definizione effimera e kontemporaneamente eterna)) è un buon esempio di esaurimento del
definire

sikè uno dei fuoki (punti di orientamento – modellizzazioni – matrici di accelerazione) a kui sostenersi nellessere e nel fare a breve e a lunga durata è proprio il fenomeno dellesserci della poesia (tu stesso geppino monti in kello ke sei e ke fai sei un kaso assai komodo alla cianfrusaglia a kui sto tentando kwì di dare una kwalke intellegibilità relativamente alla mia esperienza (non esko mai (non potrei) da tale kon
nessione) – la poesia finoggi à assolto proprio tale inkariko – ke è kello di dare konkretezza allattenzione di kui è kapace (di kui dispone) il korpo ke mi porta (mi porta dove? kome? ke portanza è kodesta?)

in konklusione (ovviamente istantanea) non mi kurerei molto della parola konsumismo – basta (il) konsumo – perkè averne unidea anko poko attendibile è già un peso (a kui sisifo e atlante ànno dato figura) e un respiro infinito

 

Giuseppe Monti, CMC (Certified Management Consultant): Esperienza consolidata (+ di 40 anni) in Formazione Manageriale, Marketing Internazionale, Internazionalizzazione, Business Plan, Marketing Strategico, Organizzazione, pianificazione ed implementazione di Balanced Scorecard, di BCP Business Continuity Management, di ISO 9001, 14001 e SA8000, Lean Organization per aziende Piccole, Medie e Grandi. Direttore di Caos Management. Public Profile.
http://www.linkedin.com/in/giuseppemonti

www.caosmanagement.it

 

Gaetano Testa è nato a Mistretta nel 1935. Vive e lavora da sempre a Palermo. Ha esordito con alcuni testi poetici inseriti nell’antologia Quattro poeti (1961), che ha aperto le porte all’avanguardia letteraria isolana. Ha preso parte alle riunioni del Gruppo 63, assieme a Michele Perriera e a Roberto Di Marco, i tre della Scuola di Palermo. Ha pubblicato il capitolo S.p.a. nel volume collattaneo La scuola di Palermo (Feltrinelli, 1963), il romanzo Cinque (Feltrinelli, 1968), L’idea del consumo (con Elio Piazza, Flaccovio 1973), Per approssimazione (Flaccovio 1978), Borno (con Francesco Gambaro, Perapp 1990), Azzonzo (Perapp 2001), Kleenex (con Francesco Gambaro, Flaccovio 2003) e La coda di tatai (Flaccovio 2004).