Numero 69 Registrazione al tribunale di Roma N° 3/2004 del 14/01/2004

La crisi dell'OMC e il mediterraneo allargato

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di Vincenzo Porcasi

 

Come recentemente affermato dall’economista esperto di fisica quantistica Vandana Shina la globalizzazione sta spingendo il mondo verso un apartheid del “vivere” e “non vivere”, giacché gli elementi primari della vita, la biodiversità, il cibo, l’acqua, vengono mercificati e privatizzati (e mentre l’ambiente continua a rivoltarsi contro l’invadenza dell’uomo), le condizioni di base per la vita della gente vengono distrutte. Alla luce

 

 

delle nuove povertà che come sappiamo derivano dalla presa di coscienza dell’esistenza di un mondo di tre miliardi di essere umani che fino al 1960 non aveva diritto di nome e di dignità ma che oggi langue ancora in una situazione di indigenza, occorre che la biodiversità, l’acqua e il cibo siano parte dei diritti umani fondamentali di tutti e per tutti. La globalizzazione  avvenuta nel segno corporativo delle grandi multinazionali del settore primario, del farmaceutico e del chimico secondario, della genetica e dell’acqua, ha trasformato la terra in un supermercato, e le risorse della terra in merci che certamente rappresentano la migliore qualità al miglior prezzo possibile, ma spiantano il diritto alla vita della gente. Senza nulla togliere ai giganti che si ripartiscono le risorse naturali in forza di un controllo completo della ragione di scambio, sia nei paesi della produzione, che in quelli della distribuzione. Occorre che le risorse vitali naturali siano gestite in maniera tale da consentire non solo il risparmio a pari qualità da parte dei consumatori e dei fruitori, ma anche che vi sia una sostanziale pari dignità fra consumatori e detentori originari delle materie prime, attraverso delle forme di compartecipazione nel ciclo produttivo e distributivo già evidenziato nell’associazionismo cattolico di tipo solidaristico nei secoli XIX e XX in Italia, Austria, Germania e Francia e più di recente in Polonia. In questo senso si può avviare a soluzione il problema della dignità dell’Essere Umano in termini di diritti alle risorse vitali naturali come diritto inalienabile e naturale che discende dal nostro essere membri della Comunità umana. Il mercato globale ha nell’accezione attuale spinto i poveri a livelli di insistenza subumana. L’abbandono progressivo delle campagne ed il trasferimento degli addetti in città da parte dei contadini ha provocato la caduta della qualità della vita e della loro capacità di reddito.
I ricchi, d’altro canto, proprio perché hanno acquisito nuove aree produttive a bassissimo costo possono godere di una manovalanza sempre più alla ricerca di una dignità di lavoro a qualsiasi prezzo.
Per conservare e aumentare la crescita della loro ricchezza i ricchi in gran parte proprietari delle multinazionali e gli stati globali, hanno elaborato un sistema di uniformità globali fondato sulle eguaglianze culturali e comportamentali generalizzate su basi planetarie (sopprimendo perché antinomica qualsiasi diversità).
Proprio tale operazione ha finito per coinvolgere non solo la gente in questo processo di acquisizione della nuova povertà ma anche  gli altri stati, in particolare quelli europei inclusi anche quelli in transizione. Nonostante, i risultati ottenuti in termini di dislocazione delle risorse, in forza di quanto sopra il Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan, il 23 gennaio 2004 affermava “Dobbiamo dimostrare che le Nazioni Unite sono in grado di adempiere al loro compito di assicurare la sicurezza e il benessere collettivo non solo a vantaggio di quei paesi privilegiati che si sentono legittimamente preoccupati dal terrorismo e dalle armi di distruzione di massa e che per tale ragionamento hanno bloccato gli interventi di sostegno al sud-America e a talune regioni dell’Africa per finanziare al loro posto la guerra in Afghanistan, al confine palestinese e in Somalia. Da come affermava Annan, l’ONU deve poter proteggere tutti quei milioni di donne e uomini su cui gravano minacce in atto più comuni, come il degrado e la miseria umana e materiale.
Peraltro, la guerra privata contro il terrorismo, passa per il confronto con un fantasma, cui si dà corpo con parole che rischiano di esasperare le divisioni fra culture, etnie, religioni, mettendo a serio pericolo la sopravvivenza degli stessi diritti umani tradizionali e le libertà fondamentali, come sta avvenendo ora in Libia e in Egitto e in Siria.
Il sistema delle relazioni economiche internazionali, peraltro, ha mostrato di essere altrettanto terroristico quanto quasi gli atti paralleli agli eventi dell’11 settembre.
I tracolli di borsa, infatti, dell’ultimo decennio, i casi Erron, Parmalat e Vivendi, le difficoltà attraversate dal sistema bancario giapponese e statunitense, hanno rappresentato un drenaggio di liquidità tale da rendere in miseria gli investitori, vuoi nella forma di fondi pensione, che di piccoli risparmi privati.
Muhammad Yunus, invece, con le sue banche della solidarietà, gestendo operazioni di pochi dollari ha dato respiro ad alcuni fra i più poveri dei poveri e sul suo modello il progetto di project financing pubblico-privato per la solidarietà all’interno delle Nazioni Unite  rappresenta una forma concreta  di azione, già avviata sulla base della pari dignità dalla Repubblica Popolare Cinese.
Il sistema delle relazioni economiche internazionali non può regredire a livello di sola competizione basata sulle poche regole della giungla, come i fallimenti di Kyoto e CanCoon dimostrano.
Il modello cui facciamo riferimento è un modello che tiene conto delle proposte avanzate e dibattute all’interno del concetto di Tobin Tax che destina all’aiuto di generici poveri una parte del denaro realizzato con le vendite della cd. Finanza creativa.
A livello di de-tax, in piena libertà cioè il venditore di beni o servizi destina una micro parte del ricavato al sostegno dei poveri e cioè destinato a finalità etiche, anche attraverso l’impiego di una parte del prelievo impositivo indiretto destinato ad associazioni di volontariato appositamente autorizzate. E’ appena un inizio, ma tenuto conto delle dimensioni del fenomeno che interessa sempre più l’intera Europa e quella classe media che rappresenta il pensatoio e il contribuente più importante a livello mondiale, occorre rimettere in discussione antichi modelli e antiche certezze come quella della proprietà e della gestione dei mezzi della produzione.
Gli Europei mediterranei, i paesi balcanici e quelli del Magreb e del Medio-Oriente, al fine di ridare dignità a quella gente borghese e piccolo proprietario e a quella priva di tutto anche della speranza, deve agire nella solidarietà.
Per tale motivo occorre riappropriarsi delle cose non ugualizzate, occorre cioè riappropriarsi della propria identità radicata nella diversità rispetto al tutto omologato. Rimediare al disastroso andamento delle terre abbandonate in Argentina ed in Polonia.
Alle fabbriche abbandonate per effetto della omologazione, occorre rispondere  con l’auto-organizzazione che va dall’individuo alla comunità locale, dal paese, al pianeta.
Gli esseri umani, come agente creativo, che fanno e producono beni e servizi e attraverso quella produzione riproducono la vita, non trovano posto nel mercato globale, rispettabile ma escludente. Il mercato globale porta la fine della riproduzione e nella sfera della biodiversità, la fine della creatività concentrata nei brevetti per la vita che portano alla pirateria e al brevetto del sapere etnostorico e da qui la creazione di un oligopolio dei diritti nelle mani delle grandi multinazionali che a tal punto possono usare lo strumento per impedire alle comunità indigene di accrescere la propria capacità produttiva.
Per evitare il riprodursi di tale situazione dualistica occorre che il sistema impresa oggi esistente, riconosca che è necessario rivedere gli antichi principi ricardiani dei fattori della produzione: l’impresa oltre a remunerare con i giusti criteri partecipativi il capitale, in funzione dei risultati ottenuti, quasi che fosse un’equity partnership (Musharaka) sociale in una misura proporzionale all’utilità che il fattore capitale ha nel processo produttivo, nell’equilibrio relazionale con il fattore terra (che riprende anche il suo significato originale di ambiente ed ecosistema interno ed esterno all’azienda) e con quello di lavoro fruibile ormai su base planetaria e che caratterizza il clima interno delle imprese.
L’impresa e i suoi promotori e/o finanziatori, fondi pensioni e singoli azionisti od obbligazionisti intanto investono, in quanto stimano possibile, in un rendimento certo anche piccolo ma costante e guardano al collaboratore come lo strumento con cui si concretizza il progetto professionale e industriale in una dimensione che diviene sempre più coinvolgente: R&S e tecnologia applicabile.
Ovviamente, perché i primi tre fattori possano agire occorre il quarto e cioè il fattore organizzazione aziendale che identificando le compatibilità nell’efficienza degli altri li mette in fila in vista del risultato atteso. Tale risultato tuttavia non può essere né sul piano interno (difesa dei diritti dei lavoratori, dell’ambiente, etc.) né sul piano esterno, dove si combina con il quinto fattore della produzione, rappresentato e costituito dalla Responsabilità sociale  delle imprese. Nessun ente o soggetto può porre in essere alcuna attività se non si contestualizza al territorio in cui opera da cui discende o sovra il quale si viene ad allocare. Ora che gli Stati tutti sono divenuti poveri e che la fiscalità non copre tutte le necessità di spesa corrente e di investimento spetta al sistema impresa trovare le risposte idonee a sovvenire ai bisogni della gente, divenendo democraticamente il suo supporto e noi lo possiamo certificare con SA8000 e costruendo il bilancio etico. Come affermala nota del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace” Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un ‘autorità pubblica a competenza universale: La crisi economica e finanziaria che sta attraversando il mondo chiama tutti , persone e popoli ad un profondo discernimento dei principi e dei valori culturali e morali che sono alla base della convivenza sociale. La crisi impegna gli operatori privati e le autorità pubbliche competenti a livello nazionale, regionale e internazionale ad una seria riflessione sulle cause e sulle soluzioni di natura politica, economica e tecnica.”
Il 24.X.2011 il Pontificio Consiglio ha emanato la detta nota, sulla scorta della grande crisi rappresentata dal tentativo di tornare all’economia reale, rifuggendo da quella finanziaria, anticipando i positivi desiderata della Germania diretta alla creazione di un unico Ministero delle Finanze per l’Unione Europea da estendere progressivamente a tutti i paesi nuovi vicini, da cui la Stessa è strettamente dipendente.
E’ solo la certezza delle entrate che consente di qualificare le politiche sociali degli Stati e le politiche dei servizi delle multiregioni in cui realmente siamo calati.
Come affermato da SS Benedetto XVI il passaggio epocale che attraversa il mondo ci obbliga a riprogettare il nostro cammino e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive ( si pensi al mondo della cooperazione) e a riprogettare quelle negative. La crisi diviene così occasione di discernimento e di nuova progettualità.
In tal senso gli stessi leader del G20, nello statement adottato a Pittsburg nel 2009, hanno affermato come “the economic crisis demonstrates the importance of ushering in new era of sustainable global economic activity grounded in responsabilty.” Inoltre, prosegue il documento, occorre una riforma dell’architettura globale per far fronte alle esigenze del XXI° secolo, disegnando un quadro che consenta di definire le politiche e le misure comuni per generare uno sviluppo globale solido, sostenibile e bilanciato.
Come afferma nel citato documento Don Mario Toso “Le vecchie ideologie sono tramontate. Ma ne sono sorte di nuove, non meno universaliste e pericolose per lo sviluppo integrale della famiglia umana.” Mario Toso parte da una ulteriore considerazione fondata su un nuovo umanesimo integrale, dal momento che l’essere possiede il primato sull’avere e permette l’affermazione di un’etica  della fraternità e della solidarietà: In una parola la solidarietà principia rovesciando la piramide del potere, riscoprendo i valori che rispondono ai mezzi di produzione del settore primario. Unico settore capace con la sua filiera del km0 di assorbire qualsiasi quantità di forza lavoro riconvertita alla specifico, però in funzione di un apprezzamento sociale ancora da definire, utile anche al fine del recupero del nostro territorio (uno per tutti le “salibbe” sulle quali si produceva una volta nelle 5 terre  il vino della via dell’amore, che abbandonate ora rovinano dritte sul mare, seppellendo quella via).
In un tempo in cui gli Stati anche continentali sembrano soffrire di legittimazione sono le imprese transnazionali che possono e devono assumere un ruolo etico, comprendendo attraverso l’uso della CSR/RSI la necessità di far crescere il consumatore finale, che nella misura in cui risulta fidelizzato diviene anche in qualità di risparmiatore, potenziale azionista. Ovviamente, riscoprendo in esso anche la qualità di consumatore –produttore nella filiera di conservazione della biodiversità.
In tale direzione si muove il “World Business Council for sustainable Development” che definisce la CSR/RSI come “il continuo impegno dell’azienda a comportarsi in maniera etica ed a contribuire allo sviluppo economico, migliorando la qualità della vita dei dipendenti, delle loro famiglie, della comunità locale e, più in generale della società. E non vale la considerazione che lo strapotere delle transnazionali le porta a trascurare la CSR, dal momento che una qualsiasi carenza di qualità anche  di tutela della persona e/o dell’ambiente farebbe cessare il processo di fidelizzazione. Di ciò è ampia prov, in vista dello sviluppo conseguente anche del possibile “ social venture-capital”, nella “Communication from the Commission to the European Parliament , the Council, the Economic and Social Committee and THE  Committee AND THE COMMETTEE OF THE REGIONS, A RENOWED EU STRATEGY 2011-2014 for CORPORATE SOCIAL RESPONSABILITY” DEL 25.X.2011.

Infine, come affermano Aurelio Juri e Giulia Lastella le origine, dopo gli esperimenti cooperativistici delle società mutualistiche, sono rinvenibili nell'esperienza socialista, in particolare autogestionario della lega dei comunisti nella ex Jugoslavia, che, nonostante un sostanziale fallimento conteneva in sé alcuni degli elementi che ritroviamo nella moderna CSR, in particolare per quanto riguarda i diritti dei lavoratori e la loro partecipazione e coinvolgimento nella gestione d'impresa, partecipazione che trova oggi modelli esemplari come nel caso della Mitbestimmung Tedesca.

 

 

Vincenzo Porcasi: commercialista, anni 65. Laureato in Giurisprudenza e in Scienze Politiche, specializzato in questioni di internazionalizzazione di impresa, organizzazione aziendale, Marketing globale e territoriale. Autore di numerosi saggi monografici e articoli, commissionati, fra l’altro dal C.N.R.-Consiglio Nazionale delle Ricerche e dal Ministero del Lavoro. Incarichi di docenza con l’Università “LUISS”, con l’Università di Cassino, con l’Università di Urbino, con l’Università di Bologna, con la Sapienza di Roma, con l’Università di Trieste, e con quella di Palermo nonché dell’UNISU di Roma. E’ ispettore per il Ministero dello Sviluppo economico. Già GOA presso il Tribunale di Gorizia, nonché già Giudice Tributario presso la Commissione Regionale dell’Emilia Romagna.