Dinamiche e responsabilità

Quali sono le conseguenze del fatto che in Italia i lavoratori stipendiati da Stato ed enti locali siano tra i più vecchi d’Europa con appena il 10 per cento sotto i 35 anni sul totale degli assunti, a fronte del 27 per cento in Francia e il 25 per cento in Gran Bretagna?
 
Partirei da una domanda che nasce dopo la pubblicazione della ricerca sul pubblico impiego distribuita da ForumPa; e la traduco.

Il fatto che il personale presente nella pubblica amministrazione italiana sia il più vecchio del vecchio continente è un vantaggio o uno svantaggio per i cittadini? è il risultato di una politica del lavoro guidata dalla destra o dalla sinistra?
 
Domande a risposta chiusa
La domanda potrebbe essere più opziosa: il fatto che il mercato del lavoro del pubblico impiego in Italia si è configurato in modo che il personale presente nella pubblica amministrazione italiana sia il più vecchio del vecchio continente e che la burocrazia sia così poco informatizzata è un vantaggio o uno svantaggio per i cittadini?
 
O ancora più opziosa: il fatto che il personale presente nella pubblica amministrazione italiana sia il più vecchio del vecchio continente in una fase storica in cui la tecnologia consentirebbe la scomparsa della carta e il passaggio di tutte le informazioni sul digitale (no paper) e l’esecuzione della gran parte dei servizi pubblici ordinari direttamente via internet da casa (certificati, domande, autorizzazioni, patentini, licenze, …) è un vantaggio o uno svantaggio per il Paese?
 
E, ancora più opziosi: il fatto che solo l’un per cento dei dipendenti pubblici italiani ha meno di 25 anni, ed è quindi “nativo digitale” (in Francia il 5,4 per cento, in Gran Bretagna il 4,9 per cento), aiuta o complica il passaggio verso un’amministrazione pubblica più moderna, verso uno Stato più leggero che aderisce sistematicamente nei processi e nei comportamenti alle indicazioni di un’agenda digitale?
 
Sempre più opziosi: il fatto che solo l’un per cento dei dipendenti pubblici pubblici italiani ha meno di 25 anni e solo il dieci per cento ha meno di 35 anni ha qualche influenza sul fenomeno devastante dei giovani bamboccioni, della più bassa natalità del secolo, della più alta disoccupazione giovanile dal dopoguerra ad oggi?
 

Come è potuto accadere?
Date per scontate le risposte, il problema si sposta nel cercare di capire da chi dipende che
i lavoratori stipendiati da Stato ed enti locali in Italia siano tra i più vecchi d’Europa, con l’età media dei nostri dipendenti di 48 anni, con un picco di 52 anni (con 22 medi di servizio) all’interno dei ministeri e di 51 anni nella aule scolastiche.
La risposta più banale (tecnicamente ineccepibile) è: a causa del blocco del turnover e delle assunzioni con il contagocce nel corso dell’ultimo lustro.
 
Abbiamo solo spostato la domanda che diventa: perché la politica ha dovuto rinunciare ha uno dei provvedimenti più proficui per raccogliere voti e consenso: l’assunzione di dipendenti pubblici?
 
Il problema è strutturale e dipende da come si è definito in questi ultimi trent’anni il mercato del lavoro pubblico. In un sistema dove la controparte pubblica nelle trattative contrattuali dei sindacati è l’Aran, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale, che ha ai vertici cinque componenti, tutti molto vicini ai sindacati, fa pensare che i sindacati un po’ di voce in capitolo ce l’abbiano e ce l’abbiano avuta.
 
Il mercato del lavoro pubblico
Nel rapporto di lavoro pubblico il datore di lavoro, lo Stato, ovvero i cittadini, che sarebbero la controparte sindacale, sono rappresentati da deputati. Questi, in ogni caso, non erogano, come l’imprenditore, soldi propri, ma quelli dei cittadini inconsapevoli ed impossibilitati a valutare le retribuzioni pubbliche nella qualità e nella quantità, ad esempio con comitati di cittadini o altri equivalenti mezzi democratici. Inoltre, i “rappresentanti del popolo” devono scegliere tra un beneficio diretto ed immediato in termini elettorali che assume anche aspetti di interesse generale (generare occupazione) e una posizione “spietata”, insostenibile elettoralmente, basata sul principio che alla luce della cattiva gestione e organizzazione dell’amministrazione pubblica assumere personale pubblico non produce servizi di qualità e danneggia i conti pubblici tagliando risorse agli investimenti sociali ed economici.
 
Per prendere le distanze da quello che succede una volta incassato il beneficio elettorale della raccomandazione e dell’assunzione, i deputati hanno delegato la contrattazione pubblica all’Aran, ne consegue che gli stipendi pubblici vengono concordati tra un organismo rappresentativo dello Stato, l’Aran, e i sindacati.
Questo può aiutarci a capire alcune incongruenze come quella in cui i cittadini pagano stipendi a dipendenti pubblici, decisi da dipendenti statali spesso ex sindacalisti, negoziati con burocrati sindacali. O, forse, questa incongruenza può spiegare perché il mercato del lavoro pubblico è strutturalmente deformato.
 
Concentriamoci allora su alcune oggettive assurdità che, ahinoi! sono realtà che i cittadini italiani pagano, eccome!, e che, come l’età media dei dipendenti, sono sempre il risultato di una politica del lavoro decisa da dipendenti pubblici ex sindacalisti controparte dei sindacati del pubblico impiego:

  1. il dipendente pubblico ha diritto allo stipendio a prescindere. In molti ministeri incassa anche un premio se solo fa capolino in ufficio;
  2. gli stipendi medi dei dipendenti pubblici sono superiori del 37 per cento a quelli dei privati, un regalo da 17 miliardi di euro;
  3. qualunque azione viene vietata ai dirigenti se non concertata prima con i sindacati;
  4. un quarto dei fondi che dovrebbe incentivare la produttività se ne va in indennità a prescindere;
  5. nell’operoso mondo del pubblico impiego in cinque anni sono state concesse due milioni di promozioni. Il 55 per cento dei ministeriali ha fatto carriera;
  6. i ministeriali sono di salute cagionevole, marcano visita quattro volte più spesso dei minatori. Ad esempio nel 2006 sono state 64.000.000 (sessantaquattro milioni) le giornate perse a causa della salute dai dipendenti pubblici. Lo stesso numero dell’assenteismo dei lavoratori privati che però, sono cinque volte di più. Un’abitudine che costa non meno di 14 miliardi di euro l’anno;
  7. negli uffici comunali di Roma mancano ogni giorno 6 o 7mila dipendenti. Ogni impiegato tipo non lavora cinque giorni su ventidue. Temiamo che non sia solo un vizio Capitale;
  8. l’unico ente pubblico dove hanno ridotto gli organici senza risparmiare sono le Ferrovie dello Stato: l’amministratore delegato, fino a un mesetto fa, è stato un sindacalista (Cgil);
  9. parliamo della giungla dell’Inps, la cui gestione è stata delegata istituzionalmente ai sindacati: l’assenteismo è intorno al 30 per cento e l’istituto paga 175 milioni di euro l’anno per straordinari; un’apparato da socialismo reale che distribuisce 6.222 poltrone;
  10. coscienti della situazione disastrosa dei conti pubblici, con senso di responsabilità invidiabile i dipendenti di Bankitalia hanno il più ricco contratto nazionale del Paese.

 
Se il mercato del lavoro sta andando tutto verso una maggiore flessibilità, quello pubblico risulta in controtendenza:

  • la percentuale del lavoro flessibile nella pubblica amministrazione in Italia è scesa infatti dal 13,6 per cento del 2001 al 10 per cento del 2012;
  • in Francia e in Gran Bretagna, invece, circa un quarto dei dipendenti pubblici risulta “non titolare” di una posizione permanente;
  • il personale stabile del comparto, in Italia, si è ridotto del 5,6 per cento dal 2001 al 2012, si legge nella ricerca presentata da Forum Pa;
  • il lavoro flessibile nello stesso arco di tempo si è assottigliato del 30 per cento, passando da 438.144 a 307.278 unità.

 
Ma i dirigenti pubblici hanno potere?
Visto che i dirigenti non possono decidere nulla (assunzioni, spostamenti,…), questa è almeno la loro lamentela, e ci risulta credibile, cosa fare per mantenere quell’abbraccio mortale tra politica e pubblica amministrazione? Aumentiamoli e aumentiamogli gli stipendi.
 
Ultima sorpresa, ma non troppo, della ricerca presentata da ForumPa è, infatti che la dirigenza ha retto meglio alla crisi rispetto agli impiegati:

  • il numero di impiegati per ogni dirigente pubblico, nel complesso, è diminuito nel corso degli anni da 12,3 nel 2004 a 11,7 nel 2012.

 
La dirigenza, nonostante le crociate politiche degli ultimi anni, sembra poi aver subito meno tagli anche sul fronte retributivo; se consideriamo il 2001 come numero indice con base 100,

  • la dirigenza apicale risultava nel 2012 a quota 137;
  • mentre la seconda fascia si fermava a quota 121;
  • e il personale non dirigente a quota 127.

 
Infine entriamo nel vero problema del mercato del lavoro che non è, come si ama sbandierare in questi tempi il lavoro, ma la distribuzione della ricchezza della nazione.
 
Un dirigente apicale guadagna in Italia 12,63 volte il reddito medio del pubblico impiego, mentre in Gran Bretagna la proporzione è ferma a 8,48 volte, in Francia a 6,44 e in Germania a 4,97.
 
Ritorniamo, dunque, alla domanda iniziale: il fatto che il personale presente nella pubblica amministrazione italiana sia il più vecchio del vecchio continente è il risultato di una politica del lavoro guidata dalla destra o dalla sinistra?
Alla quale ne aggiungiamo un’altra: i risultati concreti, tangibili, oggettivi, sono di destra o di sinistra?
 
La nostra opinione è che, ormai, destra e sinistra, sono due categorie arcaiche, elettoralmente sconfitte dalla caccia “al centro” a cui entrambi i poli devono sottoporsi per sperare di vincere le elezioni e dalla mancanza, a destra e a sinistra, del senso dello Stato, della cura dell’interesse generale rispetto a quello di categoria di ceto.
 
Viviamo in una transazione epocale che detta nuovi paradigmi fondamentali.
Se dobbiamo individuare un paradigma binario questo è tra chi è favorevole alla solidarietà e alla redistribuzione della ricchezza, e chi invece è favorevole all’accumulazione della ricchezza su poche famiglie o società.
Nella società digitale il problema non è il lavoro, ma la sua distribuzione e la distribuzione della ricchezza del Paese e del pianeta.

 
Fonti
ForumPa, Ricerca sul pubblico impiego, 2014
Gianluca Ferraris 2014, Pubblico impiego, tutti i numeri del settore, Panorama.it
Franco Fumagalli 2012, Il sindacato: una piaga del pubblico impiego italiano, l’Indipendenza