Esiste un indovinello negli Stati Uniti,  la cui soluzione, per quanto di pubblico dominio, ancora suscita perplessità nei più.

La storiella più o meno fa così: padre e figlio restano gravemente feriti in un incidente stradale. Il padre muore nel tragitto in ambulanza mentre il figlio sopravvive al trasporto in ospedale, ma all’arrivo al Pronto Soccorso, il chirurgo rifiuta di operare con le seguenti parole: “Non posso operare su questo paziente: e’ mio figlio”.

Lasciando da parte i quesiti sollevati dall’etica professionale americana, l’indovinello perplime poiché si immagina che il chirurgo sia un uomo.

Essendo il padre del ragazzo appena deceduto, e’ necessario uno sforzo mentale per arrivare a immaginare una madre-chirurgo.

Ebbene, ancora molti non ci arrivano o se ci arrivano è solo dopo alcuni interminabili e imbarazzanti secondi.

In un recente articolo sul New York Times, Sheryl Sandberg, autrice del bestseller  “Lean In” (di cui in un  mio post) e Chief Operating Officer di Facebook, si dice preoccupata.

Il suo timore non sta tanto nel fatto che la discriminazione verso le donne continui a persistere nonostante le varie campagne di informazione e di educazione, ma piuttosto nella triste constatazione che tali campagne stanno finendo per rafforzarla.

La differenza di trattamento sul posto di lavoro tra uomini e donne, proprio perché più volte denunciata, finirebbe con l’essere percepita come cosa inevitabile. Più se ne parla e meno ci si indigna. E’ un po’ come se il manager di turno dicesse: “Se lo fanno tutti lo posso fare anche io: così è.” E purtroppo analoga reazione ha luogo tra le stesse vittime della discriminazione, indotte ad accettare lo status quo come diffuso e quindi immodificabile. Per questa ragione la competenza, femminile, spesso non emerge, oscurata dal manifesto senso di sicurezza, maschile. Il suggerimento, e al tempo stesso il monito, sarebbe di accompagnare alla consapevolezza, il biasimo. Il biasimo però può derivare solo da un sentimento diffuso di disapprovazione che a sua volta può solo sorgere a seguito di una profonda presa di coscienza. Insomma il gatto che si morde la coda. Non volendo gettare la spugna, si può dire che c’è materia di riflessione. Una riflessione, quest’ultima, che potrebbe essere estesa a qualsiasi forma di discriminazione sia essa ascrivibile a corruzione morale o materiale. La lezione che l’America trae dalla segregazione razziale, da un lato incoraggia e, dall’altro, disillude. Incoraggiante è il cambiamento che nel giro di poche generazioni ha portato all’integrazione; deludente, invece, è  la constatazione che ancora esiste pregiudizio e ovunque fiorisce una segregazione di fatto, per lo più riconducibile a ragioni di natura economica. I moti di indignazione di questi ultimi tempi innescati dagli scontri con la polizia in Missouri a Ferguson lasciano ben sperare. Bello sarebbe se analoga invettiva fosse diretta a scardinare la discriminazione verso le donne sul posto di lavoro.

Forse sarebbe sufficiente un po’ di generale pulizia morale. In Svizzera non c’è turista che si azzarderebbe a gettare una carta per terra semplicemente perché nessuno lo fa. Mancano esempi di fattivo superamento delle barriere all’integrazione femminile e non mi riferisco alle quote rosa. Sarebbe bello potersi soffermare non su casi di discriminazione, ma sul suo opposto. L’ideale sarebbe poter indicare modelli di armonica inclusione della donna nel tessuto sociale, in maniera paritaria e non in funzione ancillare. Sarebbe utile poter innescare se non un processo di emulazione almeno qualche forma di conformismo a una norma positiva.

 

 

Si avvicinano a grandi passi le prossime elezioni presidenziali americane. C’e’ da domandarsi quali conseguenze produrrebbe l’elezione di una donna come Presidente degli Stati Uniti. Quello sarebbe un bell’esempio di integrazione. Ma temo sia piu’ dura che vincere la battaglia contro il fumo. Eppure cambiare mentalita’ si puo’. La guerra al tabacco ne e’ un esempio lampante. Dall’immagine vincente di un Humphrey Bogart con la sigaretta in bocca si e’ passati ai manifesti di cui e tappezzata New York in cui vengono mostrate senza veli amputazioni, cicatrici e danni vari del fumo. 

 

Se solo fosse possibile mostrare i segni permanenti di un animo trafitto da un trattamento ingiusto, anche il pregiudizio, a qualsiasi titolo inflitto, perderebbe fascino.