L’economia circolare esiste! La mia scoperta personale è avvenuta quando, dopo quattro decenni vissuti in appartamenti, abbiamo trovato un casale in campagna, ma, fortunatamente, dentro il Grande Raccordo Anulare di Roma. E, così, ci siamo insediati in campagna, all’interno di un grande podere gestito da una famiglia di agricoltori (guide preziosissime in questo nostro morbido e misurato “ritorno alla terra”).

Il nostro casale è circondato da una piccola area di pertinenza, un terreno di poco meno di mezzo ettaro e questo ci ha permesso di scoprire tante nuove sensazioni e rielaborare intriganti concetti.

Abbiamo riscoperto, vivendole sulla nostra pelle, le stagioni e il loro alternarsi; abbiamo scoperto, primo, il giardino: l’alternarsi delle fioriture, il momento della semina, quello delle potature delle siepi, il ritmo ebdomadario del prato da rasare, le foglie che cadevano dagli alberi coprendo il prato ormai non più da rasare.

Quest’articoletto, per esempio, l’ho scritto in esterno, nel patio, in una bella giornata primaverile (Roma, in questo, è generosa.

 

Poi l’illuminazione: l’orto.

Con l’orto abbiamo avuto conferma di un’idea che era sempre stata dentro di noi, ma che ora, finalmente, diventava concreta ed ineludibile realtà:

  • che esiste un’economia circolare dove tutto dura e nulla si butta;
  • che l’economia lineare è un’invenzione umana, non è un destino ineluttabile. E che non è neppure una grande invenzione. Anzi, è proprio un’invenzione grossolana, rozza, tutt’altro che sofisticata.

Ma torniamo all’orto. Nel nostro affettuoso incontro con il giardino avevamo scoperto un bel sito inglese dedicato al commercio on line di accessori e materiali per, appunto, il giardino: Primrose.

Sfogliandolo ci imbattiamo in alcuni nomi noti curiosamente italiani e collegati, merceologicamente tra loro: Mariastella, Umberto, Renato, Ignazio, Stefania, Giorgia, Giulio. Chissà perché ci venivano in mente una serie di cognomi: Gelmini, Bossi, Brunetta, Larussa, Prestigiacomo, Meloni, Tremonti.

Una coincidenza?

Il dubbio ce lo siamo tolti interrogandoci a cosa erano associati? A dei contenitori per il compostaggio!

Dopo i bunga-bunga, a Londra arrivarono i bidoni della spazzatura con i nomi dei nostri ministri dell’epoca. Tipico esempio del sottile umorismo inglese; me li immagino dopo le facce esterefatte per la scoperta del bunga bunga, mentre sogghignano all’associazione mentale con cui Primrose individuò i vari bidoni per il compost.

 

I più bassi istinti politici riemergono

Anche per noi la tentazione era incontenibile: poter ogni giorno aprire le fauci di Tremonti e scaricarci dentro tutti i nostri umori e odori. Oppure in quelle di Larussa, individualmente ben più meritorio…

Fu dunque merito di questi elevati istinti politici se entrammo nella dimensione mentale del compostaggio: tutto l’umido, cioè i prodotti putrescibili, prodotti in casa finivano nelle ingorde (poi le cronache ci spiegarono quanto) fauci di Umberto (Bossi).

Il ciclo era chiuso. Rientrando, fortunatamente, nell’area di città dove l’Ama, la nostra onerosissima municipalizzata dedicata a raccogliere i rifiuti e far fumare i suoi operatori mentre conversano per strada, aveva attivato la raccolta differenziata, di giorno in giorno diminuivano i rifiuti familiari destinati alle discariche.

Prima per effetto di un’accurata divisione e distribuzione dei rifiuti; successivamente per le scelte d’acquisto:

  • aboliti latte e succhi di frutta contenuti da cartoni Tetrapack a favore delle bottiglie di plastica o (raramente) di vetro.
  • ridotti i biscotti contenuti da confezioni di carta rivestita d’alluminio (Mulino bianco, Doria), a favore dell’acquisto di biscotti sciolti (artigianali) o incellophanati e confezionati in una scatola di cartone (Gentilini).

Non essendo esperti di chimica, cercando di orientarci da soli, appena appena, certamente meno del minimo sindacale, aiutati dalla municipalizzata, nel decidere cosa era riciclabile e cosa non lo era.

Il gioco si trasformò, prima in passione, poi in ossessione. Le rare buste “con finestrella”, già sgradite perché per lo più contenitori di fatture e bollette, vengono sezionate: da una parte la finestrella, dall’altra la busta; il pane raffermo si trasformava in briciole; le briciole di pane finiscono nel patio per gli uccellini; l’ingresso autodeterminato di una gattina con i suoi piccoli ci ha permesso di rimettere nell’economia circolare anche la carne in procinto di andare a male.

I tappi delle bottiglie di plastica proseguono la loro carriera per trasformarsi, miracolosamente, in acquedotti africani. 

I risultati? brillanti! Prendendo il sacchetto di plastica (riciclabile) della spesa come unità di misura, possiamo portare questo buon bilancio:

  • un sacchetto al giorno di plastica e vetro (per quattro quinti plastica);
  • un sacchetto ogni tre, quattro giorni di carta;
  • un sacchetto ogni quattro, cinque giorni nella raccolta indifferenziata (tradotto seppelliti nella discarica);
  • un sacchetto ogni sei giorni nella fauci voraci di Umberto;
  • un sacchetto ogni quattro, cinque mesi di tappi delle bottiglie di plastica nell’apposito contenitore.

 

Il senso dell’economia circolare

Il cerchio è il simbolo della natura, la piramide dell’istinto sociale primitivo, la linea della sequenzialità causa effetto.

L’economia circolare è un modo diverso di concepire l’input e l’output di ogni processo produttivo.

Probabilmente collegato al principio di linearità del tempo, iconicamente rappresentato dai Pert insegnati dalle business school statunitensi, l’orologio simula una circolarità del tempo, i processi, e, quindi, anche la produzione industriale (cifra della nostra epoca) si sviluppa in una sequenza lineare di filiere.

Si parte dai prodotti primari, gli ingredienti del processo produttivo; trasformandoli si convertono in merci, che, acquistate e utilizzate si trasformano in rifiuti che seppelliti o inceneriti si disperdono nell’ambiente. Un tot di ingredienti che, dopo un po’, si trasforma in un tot di rifiuti. Tutto a favore dell’entropia.

Il modello lineare industriale è, dunque, diventato una dispersione di risorse e un disastro ambientale che rende inefficiente la prospettiva economica futura. Non è una grande forzatura affermare che il modello lineare di produzione diventa radice e simbolo della crisi economica mondiale, così come quello della piramide il simbolo della crisi sociale del pianeta mentre quello della finanza simbolo della lotta di classe vinta dai ricchi e persa dai poveri.

Guardando al futuro il sistema produttivo può rinnovarsi, generando i germi anti crisi proprio perseguendo un modello di “economia circolare” appellandosi alla società della conoscenza.

Saranno le capacità progettuali e il merito creativo a definire nuovi processi di produzione integrata e coordinata, dove i prodotti saranno studiati in funzione dei co-prodotti e sotto-prodotti  che il ciclo di vita del prodotto madre potrà garantire.

Verranno progettati nuovi prodotti facili da riparare o da riciclare riportandoli allo stato di materia prima; in altre parole in un’economia circolare le merci verranno preventivamente progettate per essere aggiornate o completamente riutilizzate.

 

Longevità e flessibilità saranno le nuove parole d’ordine.

Un’economia potrà essere definita circolare quando gli scarti del processo di produzione saranno minimizzati e rientreranno nel processo in forma di materie prime riciclate.

In una presentazione, Green Growth: A Role for Policies to Trigger the Circular Economy, il direttore generale di Eurostat, Walter Radermacher, ha sottolineato che solo una minima parte delle materie prime viene attualmente riciclata: meno di un terzo dei sessanta metalli più comuni viene riciclato per più del 25 per cento.

La causa è, principalmente dovuta all’inerzia che plasma i comportamenti aziendali; ma esistono, e sono conosciute, diverse best practice di imprese che sono riuscite a ridurre gli scarti grazie a idee innovative in fatto di design, produzione, distribuzione, consumo, raccolta e riciclo.

 

 

Purtroppo troppo spesso le imprese sviluppano soluzioni circolari quando ci sono incentivi a farlo e il ruolo delle politiche pubbliche diventa centrale per ribaltare i fattori inerziali e liberare il potenziale di circolarità.

L’altra faccia della medaglia è che l’industria europea presenta ancora significativi margini di miglioramento nella progettazione dei prodotti. Secondo il report “Towards the circular economy”, realizzato, su commissione della Ellen MacArthur Foundation, da McKinsey, consulente globale delle principali industrie che operano secondo gli schemi dell’economia lineare, l’introduzione di una mentalità circolare nei processi di produzione potrebbe tradursi in consistenti risparmi stimati in 630 miliardi di dollari all’anno, cifra pari al 23 per cento dell’attuale spesa in materie prime e a circa il 3,5 per cento del Pil europeo.

E questo solo se le risorse venissero utilizzate in maniera più efficiente.