“Se fosse vero che l’economia è una scienza esatta, che insomma poggia sui numeri e sulle formule matematiche, allora non avremmo crisi economiche, non ci sarebbero state neppure tante guerre e la gente vivrebbe felice e contenta.

Come la sociologia, l’economia è una disciplina che poggia sui rapporti umani e quindi è spesso imprevedibile, volerlo negare peggiora il funzionamento della cosa pubblica e prova ne è la crisi attuale. Il fiasco dell’euro, la crisi del debito sovrano, le difficoltà contingenti dei paesi della periferia sono frutto di scelte sbagliate a livello politico, giustificate da principi economici enunciati dalla classe politica come fossero leggi fisiche”.

(Loretta Napoleoni)

 

 

 

Fin da piccolo sono stato poco attratto dai numeri. Giocare con parole e immagini mi è sempre piaciuto, mentre ho considerato numeri e calcoli come fastidiosi o insipidi obblighi scolastici.

Ho vissuto a lungo questa mia propensione come una caratteristica negativa, una menomazione che non mi faceva essere bravo in matematica, una sorta di frivolezza interiore di fronte alla concretezza di mio nonno che nel gestire la sua azienda viveva maneggiando i numeri di profitti e perdite, incassi e costi. 

Il fantasma dei numeri, implacabili, misteriosi e minacciosi è sempre aleggiato sopra di me, rappresentando la contrapposizione fra ciò che è sfumato, ipotetico, fantasioso, emozionante, e ciò che è preciso, incontrovertibile, definito e definitivo.

Poi, crescendo e aprendo le gabbie della mia mente, ho scoperto varie cose.

Intanto il famoso “2 più 2 fa 4” non è poi così indiscutibile. Due sedie più due lacrime fanno quattro che cosa? Poi è venuta la virgola mobile e l’approssimazione dei decimali, per non parlare dei concetti assolutamente metafisici di Zero e Infinito. La statistica usa i numeri non tanto come quantitativi fissi, quanto come dati fluttuanti che servono a mostrare andamenti e tendenze. Alla precisione delle cifre si aggiunge la valutazione “almost”, l’ordine di grandezza, la forbice statistica, la biforcazione caotica, le catastrofi, le procedure ricorsive dei frattali.

Ho scoperto che, come le parole e le idee, i numeri sono di vari tipi: cardinali, numerali, interi, frazionari, logaritmi, radicali, trascendenti, immaginari. E che un numero non ha senso se non viene incluso in un insieme, così come la parola non ha senso se non è inserita in un contesto.

 

Ma soprattutto è stato importante per me capire che il numero, come tutte le altre cose, non esiste in sé, ma nella percezione costruttivista che ne abbiamo, nel senso che lo stesso numero può essere visto in un modo o nell’altro a seconda del nostro punto di vista. Ne sanno qualcosa i pubblicitari che hanno tradotto i 30 metri del rotolo di scottex in “dieci piani di morbidezza”.

Il fenomeno si manifesta in modo tragicomico nei talk show dove il politico di turno esibisce i suoi numeri, fatalmente differenti da quelli del politico di parte avversa, e interpretati ognuno a modo suo dagli altri partecipanti alla conversazione. Dello stesso fenomeno c’è uno che mostra tabelle e grafici, l’altro che dice: ma io ho altri numeri. 

Nel problem solving si cerca di arrivare a più di una soluzione, perché se la prima soluzione non funziona, ce n’è subito una seconda, e poi una terza. Le operazioni aritmetiche producono un solo risultato corretto, tutti gli altri sono sbagliati. Spesso alla complessità del problema si contrappone la semplificazione dell’operazione. Il fatto che questa generi un solo risultato giusto la fa sembrare più concreta ed efficace (2+2=4) rispetto ai dubbi della problematica (se 2 sono un paio, 2+2=2 paia; se sono due antitesi, 2+2=1 sintesi) e alla diversità di punti di vista e contesto (2 arabi e 2 israeliani = 2/o/2; 2 orecchie + 2 bocche = 2 facce).

Una grande forza dei numeri è la capacità di rendere quantitativo il qualitativo. Solo che la cosa funziona bene se il conteggio si basa su elementi semplici: se 5 palle vanno in rete da una parte, 3 dall’altra, è facile stabilire chi ha vinto per 5 a 3. Se invece si deve giudicare un quadro, un film, un balletto, l’intelligenza di un allievo, la capacità di un collaboratore, è molto più difficile se non addirittura arbitrario scegliere indicatori e relative scale di quantificazione. Misurare l’intangibile, come la soddisfazione del cliente, è uno dei problemi cardine del Total Quality Management.

Un altro mito da sfatare è la presunta oggettività dei numeri, di fronte agli oggetti. In realtà gli oggetti sono abbastanza stabili. Quello che fluttua sono i  numeri ad essi associati (prezzo di vendita, confronti percentuali, margini di profitto). Al mio commercialista, che una volta mi disse: “beato te che fai un lavoro fantasioso, mentre io ho a che fare solo con i numeri…” risposi “veramente non c’è niente di più creativo e fantasioso di una relazione di bilancio!”

La stessa distanza fra economia reale e finanziaria dimostra l’assoluta irrealtà dei numeri, che da un computer all’altro muovono capitali virtuali che non hanno più nessuna relazione con le cose, la vita, le persone.

In conclusione, i numeri sono dati. E il futuro sarà sempre più di chi può accedere a dati significativi, e sa estrarne i significati utili a ciò che intende fare.

Poeti, artisti, musicisti, scrittori, se di fronte alle vostre opere c’è qualche manager che con aria di superiorità vi dice: questo non si vende, è una bella fantasia, ma le cifre sono cifre, rispondete con gentilezza: le cifre in che senso?  Relative a che cosa? In quale arco di tempo? Quelle cifre così dure e implacabili, dopo un po’ si dissolveranno in forme fluttuanti.

 

http://www.treccani.it/enciclopedia/numero_(Enciclopedia-Italiana)/

http://www.magiadeinumeri.it/terminologia.html

http://www.magiadeinumeri.it/prefissi_2.html 

www.umbertosantucci.it