Nell’excursus sui sistemi naturali pubblicato nel mese di febbraio (“Complessità: una sintesi personale”), abbiamo riferito la “complessità” ai sistemi collettivi aperti aventi elementi interconnessi in modo “non lineare” e “parallelo” (rete o campo). I regimi stabili di tali sistemi, che abbiamo denominato strutture dinamiche complesse (SDC), esibiscono una struttura relazionale interna distribuita su diverse scale spaziali e temporali, frutto del rapporto dinamico con l’ambiente ma avente caratteristiche autonome.

Ad una analisi di insieme (o “sistemica”, che, come abbiamo visto, per le SDC diventa “olistica”), si percepisce una azione collettiva organizzata non direttamente deducibile dalle interconnessioni tra i singoli ma “proprietà emergente” dalla suddetta struttura relazionale. In ultima analisi, si genera un rapporto di “causalità circolare” tra i singoli elementi e l’azione collettiva: l’azione emerge dalla “cooperazione sincronica” (sinergia) tra i singoli e, questi, da essa sono asserviti. Agli occhi di un osservatore, il risultato è l’implementazione di uno SCHEMA organizzativo mirato, attraverso varie funzioni, all’esecuzione efficace delle specifiche finalità della struttura e garante della stabilità nel divenire (omeostasi). La funzione principale è l’autopoiesi (la vera novità dei sistemi collettivi) cioè l’utilizzo di risorse esterne, materiali ed energetiche (anche nel loro aspetto informativo), per rinnovare continuamente la struttura avverso l’ineluttabile azione della dissipazione. Naturalmente, per complessità crescenti, lo SCHEMA e le funzioni si articolano esponenzialmente.

In base alle risposte esibite dalle SDC alle variazioni ambientali critiche, le abbiamo distinte in due tipologie. La prima è quella delle SDC “organizzativamente aperte”, come la gran parte delle strutture formate dalla materia inerte, che, in virtù dell’assenza di vincoli per gli elementi, sono “adattative” e possono mostrare sia riorganizzazioni complete che aggiustamenti parziali conservativi dell’identità (“resilienza”, come avviene nelle instabilità strutturali dei sistemi minimali nella zona al “bordo del caos stocastico”). La seconda è quella delle SDC “organizzativamente chiuse”, come le strutture biologiche, che fuori dai margini della stabilità omeostatica perdono completamente l’identità di sistema (si rompono, muoiono). Ciò specificando la peculiarità di tali strutture di includere, da un certo grado di complessità in su, un apparato organizzativamente aperto ma conservativo dell’identità (il cervello) che elabora informazioni esterne ed interne e concepisce risposte, consapevoli o inconsapevoli.

 

 

La “complessità” costituisce sicuramente un problema per la “conoscenza” perché è sinonimo di imprevedibilità; però può anche essere una opportunità poiché, come abbiamo visto, ha caratteristiche universali e ciò consente di trasferire cognizioni e metodologie dalle discipline più accessibili e sistemate, come la fisica e la chimica, verso le attività afferenti all’Uomo, in particolare alla Scienza delle Organizzazioni. Al riguardo, con la nota pubblicata lo scorso aprile abbiamo ipotizzato che una adeguata metafora per le moderne Organizzazioni sia quella che le vede come “umanoidi” organizzati in strutture dinamiche complesse, aperte organizzativamente ma conservative dell’identità. In analogia con i viventi evoluti, abbiamo anche presupposto uno SCHEMA organizzativo duale cervello-macchina. È opinione comune, infatti, che, nel moderno mondo globalizzato, le Organizzazioni operano in un ambiente fortemente complesso e, pertanto, per poter agire mitigando rischi e cogliendo opportunità devono avere esse stesse caratteristiche complesse. Si sottolinea la novità, rispetto ai viventi, di richiedere per le Organizzazioni una struttura organizzativamente aperta in quanto “eterne” (almeno nelle intenzioni) e, quindi, necessariamente adattative.

Con tali assunti, abbiamo implicitamente selezionato nell’ambito delle Organizzazioni due collettività:

  • quella degli Elementi di Organizzazione (EdO), la componente “macchina” o lineare, deputata a produrre, secondo protocolli prestabiliti,  l’esecuzione efficace ed efficiente delle funzioni e delle finalità della Organizzazione;
  • quella umana, la componente complessa o non lineare, deputata a realizzare le funzioni dell’organo cerebrale, compresa l’emanazione della MENTE, a supporto delle decisioni della Leadership gerarchica (o il “board”) nella sua attività di valutazione e ridefinizione della strategia di alto livello. Questa, in estrema sintesi e in armonia con le definizione di SDC, consiste nella progettazione e adattamento continuo dello SCHEMA organizzativo (omeostatico e resiliente) e nell’autopoiesi.

Allora, focalizzando sulla componente complessa, l’interrogativo che si pone è: in una collettività organizzata artificialmente, quale è l’ingrediente che fa emergere spontaneamente le adeguate causalità circolari?
Premessa una Leadership gerarchica aperta al supporto bottom-up e garante di politiche del personale mirate a sviluppare motivazione e senso di appartenenza, concentriamo l’attenzione sul modo di operare dei singoli individui.
Ogni nostra azione mirata a risolvere problemi o a conseguire obiettivi richiede lo sviluppo delle capacità di conoscere, di prevedere e di concepire decisioni. Sono capacità complementari che, secondo il Metodo galileiano, si compiono ciascuna attraverso il continuo scambio di informazioni tra osservazioni ed inferenze, nell’ambito di un processo analisi-sintesi e valutazione delle conclusioni. In più, in particolari contesti predittivi e decisionali (come, appunto, le Organizzazioni), debbono essere create le condizioni, per poter implementare prontamente, a tutti i livelli (fatte salve le diverse ampiezze di controllo ), sintesi straordinarie, nella forma di iniziative proattive o di risposte reattive.

Abbiamo visto che gli elementi interni della complessità sono: una rete di connessioni non lineari e una certa libertà di azione dei singoli. Allora, nell’ambito di un canonico ciclo decisionale, la risposta al quesito che ci suggerisce il mondo della complessità è l’attitudine dei singoli alla ricerca continua di comunicazioni e alla possibilità di esplicare sintesi individuali.

Si può ipotizzare che una tale attitudine possa diventare un “generatore di sinergie” e funzionare da “algoritmo genetico” della struttura relazionale interna all’Organizzazione, distribuita su diverse scale spaziali e temporali, nella quale scorrono continuamente flussi, top-down, di indirizzi, finalità, visione e strategia dell’Organizzazione e, bottom-up, di situazione (interna ed esterna), esigenze e proposte.

Il risultato potrebbe essere che, coerentemente con la metafora proposta, l’azione collettiva si concretizzi in capacità implicite integrative di quelle di istituto. La MENTE collettiva agirebbe da “sensore” ed “elaboratore di pensiero”, costituirebbe la “memoria” degli indirizzi e delle disposizioni ed, infine, funzionerebbe da “attivatore” degli organi effettori. Al contempo, la circolarità (o asservimento) manterrebbe sempre i singoli accordati sulle linee, regole e princìpi dell’Organizzazione (MENTE ologrammatica, condivisione delle caratteristiche globali) e coordinati per l’esecuzione efficace dei rispettivi compiti; inoltre, ne stimolerebbe l’analisi ambientale e interna, ne incentiverebbe la creatività e l’iniziativa, minimizzando gli aspetti negativi del “fattore umano”.

Sul paradigma esposto è, ad esempio, basato il modus operandi Comprehending, Acting and Leading (CAL), proposto in letteratura (Giancotti F., Shaharabani Y., Leadership agile nella complessità. Organizzazioni, stormi da combattimento, Guerini e Associati, 2008), concepito a supporto della decision-making in un ambiente complesso ed incerto.