(A Betta amica di vita, la mia piccola amata labrador bionda, morta il primo giorno di luglio)

Quando col sole che calava lentamente rientravo in casa dei nonni, le zie mi chiamavano un po’ adirate per la mia lentezza nel salire su dal giardino,  venivo avvolta da pipistrelli in cerca di  zanzare  condivise con i grigi gechi dai cerulei occhi.
Ero spaventata perché la leggenda narrava che si attaccassero ai  capelli e  che le loro ali fossero taglienti, comunque  fraternizzare con quei mammiferi alati, denominati vampiri, non mi sembrava un buona idea.
Le mie paure erano legate alla terra, ero un esemplare di umanità legata alla natura circostante, ai fiori, ai frutti, agli insetti, agli animali.
Ero una bambina selvaggia, crescevo dentro il perimetro di un largo giardino di un paese di mare…
di cui ignoravo l’esistenza. Solo campagna, verde, giardino…il mare era lontano e inascoltato.
I bambini, i cuccioli dell’uomo.
I bambini quando nascono rappresentano gioia e fortuna, ma è necessario del tempo per imparare ad amarli veramente. Il lavoro, la fatica, la responsabilità, i sacrifici, gli affanni…sono queste le parole
per raccontare i primi anni di chi cresce un bambino. E le parole di un bambino quali sono?
Paura di non farcela a vedere il mondo, paura del buio e paura della luce, paura di non potersi alzare e paura di dover capire le cose, valutare gli altri, decriptare i nomignoli, gli squittii giocosi, imparare i suoni, imparare le parole.
Paure ancestrali, poi si cresce e le paure diventano quelle dei protagonisti delle favole. Abbandonati, maltrattati, perseguiti da orchi e streghe, ma i bambini riescono sempre a salvarsi. Nelle favole. E nelle pubblicità.
I bambini, i cuccioli dell’uomo, nella vita reale spesso non si salvano. Violati, uccisi, buttati giù da balconi in alto nel cielo, affogati in fresche azzurre piscine, naufraghi nel mare, spiaggiati come balene.
I bambini quando nascono portano la gioia e la fortuna, poi arriva la guerra degli adulti, arrivano gli orchi e le streghe e tutto va in malora. E il Mar Mediterraneo diventa una fossa comune di tanti e tanti bimbi ai quali si era promesso una vita migliore. Il fondo di un oceano a pochi passi dalla salvezza.
La felicità per me erano le feste: a Natale c’era la processione per la nascita del Bambin Gesù, gli zii recitavano la parte dei re Magi, noi piccoli angeli al seguito, a volte si organizzavano spettacoli comici, le mie sorelle imitavano gli adulti: il nonno con le sue perle di saggezza “Qui due sono le cose: o si vince o si perde, da qui non si esce”, gli zii con i loro tic, le zie con le loro rimostranze e lamentele.
Le mie sorelle erano bambine speciali. La mia famiglia era una famiglia speciale.
Anche allora non mancavano i predatori, uomini che frequentavano cinema e luna park.
Mia sorella più grande era sempre attenta che non venisse a sedere un uomo accanto a noi.
Ricordo quelle mani che si avvicinavano alle mie gambe smilze, ricordo la paura di dir qualcosa, di cambiar  posto, di denunciare.
I predatori non smettono mai di esistere. Durante le crisi, nei momenti più difficili diventano più forti. Ed è possibile che la morte corra sul fiume,  in un incubo ricorrente che fa urlare la notte.
Charles Laughton, grandissimo attore inglese vissuto  ad Hollywood, dirige  un solo film, un capolavoro: “The night of the hunter” “La morte corre sul fiume”.

E’ un film onirico, favolistico, claustrofobico nel suo bellissimo bianco e nero, immagine pura dell’espressionismo tedesco.
E’ un film del 1955.  Virginia occidentale sul fiume Ohio,  anni 30, gli anni della Grande Depressione. Harry Powell è un predicatore evangelico, sulle nocche della mano destra ha scritto LOVE, su quella sinistra HATE. La sua anima è quella del  predatore.  E’ un cacciatore crudele, un serial killer inarrestabile. In un’America  impoverita dalla crisi e dalla disperazione le sue parole
si innalzano contro un cielo inerme, il populismo delle sue idee, il  fondamentalismo del suo credo religioso si attacca come colla sulla carne dei diseredati, delle donne rimaste sole, di tutto  un popolo di gretti puritani. Il predicatore e la sua gente rappresentano la parte peggiore dell’America.
Laughton descrive un mondo alla deriva, dove nemmeno i bambini possono salvarsi.
Eppure i piccoli John e Pearl, con la sua inseparabile bambola, novelli Pollicini, riescono  a fuggire, allontanandosi  sul fiume,  prede sacrificali.
Come nelle fiabe i simboli aiutano a capire ciò che viene narrato, così vediamo la madre dei bambini in fondo al fiume Ohio, dove  Herry Powell l’ha sepolta: i suoi capelli fluttuano insieme alla alghe, divenuta anche lei parte inestricabile della natura. Animali rappresentano i protagonisti, e l’ombra nera del cacciatore appare in controluce, in lontananza come l’imponderabile, come un animale in agguato.
I bambini si salvano sempre nelle favole: così si  narra di una fata che  raccoglie i due fratelli alla fine del viaggio, è  una signora che raccoglie  i bambini senza famiglia, che combatte l’orco e lo distrugge.
Robert Mitchum è il magnifico cattivo  di questo film, rappresenta il male, si avvicina cantando una canzoncina dedicata alla morte “Leaning! Leaning! On the everlasting arms” , abbandonati nelle braccia eterne della morte, musica soave ed ingannevole.
Hitchcock nel bellissimo libro intervista di Francois Truffaut afferma : “… la  grande regola: più riuscito è il cattivo, più riuscito sarà il film”.
Robert Mitchum è un cattivo riuscitissimo, “La morte corre sul fiume” un capolavoro assoluto.