Parte I

In una precedente nota (Il Caos Management n. 105) abbiamo parlato dell’impatto sulle Organizzazioni della imprevedibilità del moderno mondo globalizzato e della maturata consapevolezza, tra gli studiosi del settore, che anche le Organizzazioni debbano avere opportune caratteristiche complesse. Al riguardo, abbiamo ipotizzato che una adeguata metafora per le moderne Organizzazioni sia quella che le vede come “umanoidi” organizzati in “strutture dinamiche complesse” e, in analogia con i viventi evoluti, abbiamo presupposto uno schema organizzativo duale cervello-macchina. Ciò con la novità, rispetto ai viventi, di richiedere una struttura “organizzativamente aperta”, pur conservativa dell’identità, per consentire adattamenti strutturali.

Cercheremo ora di valutare l’adeguatezza della proposta attraverso una riflessione sull’evoluzionismo.

 

 

Prima dell’avvento della vita, il massimo grado di complessità realizzabile era quello che oggi osserviamo nei sistemi collettivi inerti ovvero, ad esempio, le celle di Rayleigh-Bènard, il laser, gli orologi chimici, ecc.. Con la vita, la natura si è sbizzarrita e la deriva darwiniana ne ha prodotto uno sviluppo orizzontale, nel senso del numero di specie viventi, ed uno verticale, nel senso della loro complessità. Siamo interessati allo sviluppo verticale e cercheremo di capire quale ne sia stato il motore.

Partiamo da una considerazione sui processi di autorganizzazione dei sistemi collettivi inerti. La finalità che attiva le transizioni è quella di ristabilire un equilibrio chimico, fisico e statistico con l’ambiente. Sappiamo che, nelle macchine, la collettività viene organizzata artificialmente dall’Uomo per degli scopi pratici ed ogni elemento è assemblato e collegato agli altri per compiere uno specifico compito che si armonizza con il compito globale. I sistemi complessi inerti, invece, agiscono in autonomia e, in prossimità di una destabilizzazione (punto critico), avviano un processo di esplorazione della nuova situazione (“processo informativo” mediante fluttuazioni) effettuando, al contempo, la ricerca e la verifica di soluzioni semplici e locali. Non appena diventa “percepibile” la criticità della situazione, aumenta il livello di allarme con forti fluttuazioni e la ricerca di soluzioni più efficaci. Una volta individuate (in genere, per i sistemi inerti, sono le più costo/efficaci e, se più di una, sono equiprobabili), ne viene selezionata una casualmente. Per la sua implementazione, il sistema progetta e costruisce da sè lo SCHEMA organizzativo ovvero i “pezzi” o gli “organi” che andranno a costituire il dispositivo finale e ne individua le relazioni ottimali.

Allora, cercando le analogie, la ricerca della stabilità imposta ai sistemi inerti dai princìpi fisico-statistici, con la vita si trasforma nella ricerca della fitness ambientale e la finalizzazione non avviene con una transizione del sistema ma con la speciazione. Questa, a seguito di varie prove (le fluttuazioni), ha portato ad integrare le strutture biologiche con sofisticati dispositivi quali regolatori, trasduttori ed effettori vari. È un processo di autorganizzazione distribuito nel tempo e tra le specie che ha avuto come risultato il suddetto sviluppo verticale. Una ulteriore considerazione sui sistemi inerti. Se intendiamo il “saggiare l’ambiente circostante” come una forma di cognizione primordiale, percepiamo già nei sistemi inanimati la presenza di un elemento pre-cognitivo, anche solo passivo o reattivo, che empiricamente assembla una componente “macchina” finalistica. Il sistema raccoglie elementi di informazione e, attraverso un processo inferenziale, opera scelte preconfezionate. Però, ogni volta che si ripresenta lo stesso problema, a parità di condizioni, il progetto che si realizza è sempre lo stesso e il sistema ripete tutto il ragionamento; “risolve” ma “non apprende”. Le uniche imprevedibilità sono legate al timing di realizzazione. L’analogia evidenzia quanto sia sottile la differenza tra sistemi collettivi inerti e mondo vivente.

Veniamo agli organismi biologici. Il concetto di complessità in uso presso i biologi è legato alla quantità di cellule diversificate presenti in un organismo ovvero al grado di articolazione in “tessuti” e “funzioni”. D’altra parte, la caratteristica comune alle generiche strutture dinamiche complesse è (con linguaggio mutuato proprio dalla Biologia) la “produzione di sè” (l’autopoiesi) avverso l’ineluttabile e naturale azione della dissipazione. Nei viventi, con uno SCHEMA organizzativo sofisticato e fortemente articolato, la complessità è correlata anche all’autonomia con cui riescono a fronteggiare la mutevolezza ambientale conservando la “stabilità nel divenire” (omeostasi).

Proviamo a inferire il percorso effettuato dalla natura. Un aggregato di macromolecole organizzato in struttura dinamica complessa risente molto dell’aleatorietà ambientale; si conserva solo se ha uno SCHEMA organizzativo molto adattativo. L’adattamento intrinseco però è molto dispendioso per cui è molto improbabile e non ha avuto successo evolutivo; variazioni ambientali critiche possono essere fatali. Ciò che ha avuto successo è stata, invece, la “conservazione a seguito di replica” attraverso particolari macromolecole autocatalitiche presenti, per caso, all’interno di tali strutture. Infatti, molto probabilmente la vita è comparsa grazie alla combinazione di due fenomenologie frequenti in natura: la formazione di strutture dinamiche chimiche e l’autocatalisi di una particolare macromolecola. Tuttavia con la semplice replica tali strutture soffrono ancora della mutevolezza ambientale per cui è risultata vincente la “replica con piccoli errori”; ciò ha creato la diversificazione necessaria all’adattamento (“caso” e “necessità”) ed ha consentito l’avvio della naturale proliferazione di quelle che oggi denominiamo le specie viventi. Cellule biologiche possono essere comparse ed estinte più volte nelle varie epoche; ad ogni modo, oggi sembra accertato, dall’analisi del genoma, che tutti gli organismi delle diverse specie biologiche conosciute, fossili o viventi, provengano da un unico progenitore denominato LUCA (Last Universal Common Ancestor).

Il meccanismo di diversificazione oggi acclarato consiste in piccole ma continue mutazioni genetiche neutrali (non soggette, quindi, a immediata selezione ambientale) ma potenzialmente utili per adattamenti successivi (“evoluzione neutrale costruttiva”). Una prima considerazione che si può fare è che le singole cellule, pur avendo “escogitato” sofisticati meccanismi di diversificazione e articolazione (mutazioni, simbiosi, ricombinazione del DNA), non possono generare complessità in quanto hanno dei meccanismi interni che le conducono a instabilità strutturali terminali. Ciò accade proprio per il fatto che, quando maturano particolari condizioni chimico-fisiche, si auto-replicano nel senso che la membrana cellulare si rompe temporaneamente per dare “vita” a due nuove cellule indipendenti. Dalla cellula “madre” prendono forma due cellule “figlie” (la terminologia in uso non è molto felice infatti è abbastanza disagevole a questo livello parlare di madri e di figlie, anche perché la madre … scompare). Possiamo pensare alle cellule come strutture “a tempo determinato”. Paradossalmente, la finalità implicita è proprio l’instabilità!

Possiamo cominciare a parlare di incremento di complessità con le colonie di cellule. Una colonia è costituita da un insieme di microrganismi autosufficienti (batteri o lieviti), nati da un’unica cellula madre, che formano un “tessuto” primordiale che potenzia lo scambio di informazioni e consente la ripartizione di alcune funzioni attraverso la regolazione dell’espressione genica (ereditabile, come oggi conferma l’epigenetica).

Le colonie sono state fondamentali per la nascita dei primi organismi pluricellulari. Questi sono costituiti da gruppi di cellule (vive) aggregate e diversificate in organelli e tessuti specializzati per specifiche funzioni ma non autosufficienti senza la rimanente parte. Nasce così l’essere vivente stabile, nella forma di un organismo collettivo con precisa identità. Contrariamente alle singole cellule, il funzionamento degli organismi pluricellulari è teso proprio alla stabilità, fatte salve le irreversibili modificazioni cellulari che, col tempo, portano l’organismo alla morte per vecchiaia. Nella storia evolutiva, quindi, il vero salto qualitativo avviene con la formazione di organismi pluricellulari e con il nuovo stratagemma di diversificazione, la riproduzione sessuale, che sostituisce la divisione cellulare.

La vita, così, inizia anche il suo percorso verticale verso l’incremento di complessità. Allora, ci chiediamo, premesso che la finalità implicita degli esseri viventi è la fitness ambientale (di se stesso, della comunità e della specie), quale è stato il motore dell’incremento di complessità e dell’adozione del particolare SCHEMA organizzativo duale cervello-macchina?
Nella seconda parte le nostre considerazioni.