Il Piano B del Worldwatch Institute è un’alternativa al business as usual, ossia all’andazzo del sistema economico, finanziario e politico del mondo, che se continua così ci porterà alla rovina, se non addirittura all’estinzione del genere umano. Dal punto di vista del problem solving rappresenta la classica via d’uscita rispetto alle tentate soluzioni disfunzionali, ossia alle cose che aggravano i problemi invece di risolverli: se il piano A non funziona, si deve passare il più presto possibile al piano B.

Lo ha proposto nel 2003 Lester R. Brown, agronomo e scrittore USA che nel 1974, con fondi della Fondazione Rockefeller, ha creato il Worldwatch Institute che per primo si è dedicato all’osservazione dei problemi ambientali mondiali. Il libro ha avuto moltissime traduzioni e riedizioni, ha continuato ad aggiornarsi con l’apporto della rete, e nel 2010 è stata pubblicata la versione 4.0.

La pubblicazione è divisa in due parti. Nella prima parte c’è una relazione sintetica della situazione attuale e delle previsioni, alcune delle quali si spingono fino al 2050, altre fino al 2100. I temi sono l’aumento della popolazione, la riduzione di terre coltivabili per desertificazione e cementificazione, la riduzione delle risorse idriche per eccessivo uso di fiumi e laghi, i cambiamenti climatici, la transizione energetica da petrolio e carbone ad altre fonti che però incidono sul prezzo dei cereali usati come carburanti, la riduzione di biodiversità vegetale e animale. Nella seconda parte ci sono le possibili vie d’uscita che consistono nello stabilizzare il clima con interventi sull’efficienza energetica e sulle fonti rinnovabili; nel progettare città a misura d’uomo, non di speculazione edilizia; nel debellare la povertà e stabilizzare la popolazione, che cresce nelle aree più povere; nel risanare la terra restituendole il tempo di rigenerarsi; nel nutrire bene otto miliardi di persone. Il rapporto si conclude con l’invito a mobilitarci subito perché alcuni fenomeni hanno già superato il punto di non ritorno o stanno per farlo.

La lettura del libro è terrorizzante, perché il quadro generale è fallimentare su tutta la linea. Dai primi allarmi sono passati 15 anni, e non solo si è fatto poco o nulla, ma in troppi casi si è ulteriormente peggiorata la situazione. Poiché mercati, finanza e imprese sono  insensibili a tutto ciò che non sia il profitto, l’equilibrio dovrebbe venire dalla politica. Ma le difficoltà crescenti spingono i cittadini più deboli a mandare al potere personaggi inquietanti che pensano a chiudersi nei propri confini e fare la faccia feroce verso gli altri, invece di mettersi tutti insieme per fronteggiare pericoli che riguardano tutti. Basti pensare che Trump dice che il riscaldamento globale è una campagna di disinformazione con cui i cinesi vogliono indebolire l’industria americana! E che da noi il referendum sulle trivelle non ha raggiunto il quorum. E che 20 delle oltre 400 super-petroliere che solcano i mari in lungo e in largo inquinano come tutte le automobili che circolano nel mondo.

Invece di chiudersi nei propri confini ci si dovrebbe mettere tutti insieme per prendere provvedimenti a livello globale, ma temo che questo non accadrà. E che quindi andremo verso l’inevitabile catastrofe, anche perché nella nostra vita quotidiana continuiamo con l’usa e getta, con gli sprechi energetici, con l’andare in ufficio ogni giorno invece di lavorare da casa.

Per avere un’idea di quanto certi fenomeni non possano essere affrontati a livello statale, questa è l’immagine satellitare di una delle sempre più frequenti tempeste di polvere e sabbia che nel settembre 2015 ha interessato Israele, Libano e Siria.
http://www.ilgiornale.it/gallery/tempesta-sabbia-sul-medioriente-1168141.html

Queste invece sono le enormi isole di rifiuti che si formano nel Pacifico, le cui correnti tendono ad accumulare nel tempo tutto quello che buttiamo nel mare. In esse sono stati trovati rifiuti che risalgono agli anni ’50 del secolo scorso.
http://www.mnn.com/earth-matters/wilderness-resources/blogs/the-8th-continent-pacific-ocean-garbage-patch

 

 

Per chiudere il positivo, ecco un progetto visionario di Vincent Callebaut, un giovane architetto francese che ha progettato questi oceanscraper o ripulitori di oceani, grandi dimore acquatiche a forma di meduse con cupole galleggianti e tentacoli sommersi con cui nuotano e generano energia, stampate in 3d riciclando la plastica dell’isola di rifiuti di cui sopra. Callebaut progetta come se scrivesse un racconto di fantascienza in cui si parla dei Meriens, una gran parte dei 250 milioni di rifugiati climatici scappati da zone costiere e isole sommerse in seguito allo scioglimento dei ghiacci polari, che vivono in un villaggio galleggiante al largo di Rio de Janeiro in queste cupole che contengono spazi di co-working, botteghe artigiane, impianti di riciclaggio, laboratori scientifici, strutture educative, campi sportivi. L’acqua si ricava da impianti di fitodepurazione. Il cibo è prodotto da fattorie aquaponic, allevamento di alghe, plancton e molluschi, frutteti e orti coltivati in cima alla struttura della cupola. Io non ci sarò, ma per i più giovani sarà questo il futuro?

http://www.futurix.it/2015/12/aequorea-oceanscrapers-stampati-in-3d.html