il cyberspazio è la terra della conoscenza e l’esplorazione di quella terra

è il più alto compito a cui la nostra civiltà è chiamata”

 

Mi sono imbattuto recentemente in Alvin Toffler (1928-2016), e credo che alcune sue intuizioni possano arricchire sia la conoscenza del pensiero manageriale che la stessa pratica della progettazione organizzativa, con lo sviluppo delle adhocrazie (organizzazioni non burocratiche centrate sul cliente) e il nuovo ruolo dei prosumer (fusione progettuale del produttore con il consumatore). 

Ma il suo pensiero, come si vedrà alla fine dell’articolo, ci aiuta a capire, anche, l’attuale disorientamento sociale e politico, alla base della odierna delegittimazione delle istituzioni economiche e sociali nazionali nonché sovranazionali. 

La sua stessa biografia personale (soprattutto anagrafica), è un punto di osservazione privilegiato dei cambiamenti sociali e tecnologici succedutisi nel corso del XX secolo e (da lui) previsti per i primi decenni del XXI secolo (digitalizzazione in corso). Anche la sua formazione è poliedrica, oscilla, infatti, tra mondo materiale (lavoro in fabbrica) e immateriale (poesia, romanzi e lavoro giornalistico), approdando al mondo delle aziende con il suo primo libro “Future Shock” (1970), che preannunciava i rapidi e imprevedibili mutamenti cui andavano incontro le organizzazioni nelle nuove condizioni sociali, istituzionali e tecnologiche del loro futuro ambiente di riferimento (oramai turbolento). 

In effetti, il suo processo formativo è indicativo per comprendere appieno lo sviluppo della propria riflessione, perché le scienze umanistiche e la tecnologia sono sempre al centro dei suoi interessi, permettendogli di mescolare idee e tecniche, razionalità e senso, il tutto proteso a disegnare gli scenari prossimi dell’organizzazione sociale e i nuovi assetti istituzionali della modernità. Egli si muove, infatti, fra trend storici e previsioni a venire, a volte profetiche, ecco perché pur non avendo inventato il futuro ha certamente concepito il business della futurologia.

È indubbio, inoltre, che il salto di qualità personale avviene quando le sue capacità di divulgazione scientifica spingono la IBM a commissionargli un paper sull’impatto del computer nell’organizzazione delle imprese, permettendogli di entrare in contatto con i “guru” della rivoluzione digitale, in corso dagli ultimi decenni del ‘9001

Egli stesso è considerato un “guru” del management, nel senso più profondo del termine, cui si attribuisce la funzione di guida spirituale e di maestro intellettuale. Ebbene “guru” in sanscrito deriva da “gu”, che significa “oscurità” o “ombra” e da “ru” che significa “disperdere”, il guru è cioè colui che disperde l’oscurità, l’ombra e consente di vedere la luce della vera conoscenza. Altri attribuiscono alla sillaba “ru” il significato di “luce” ed il “guru” sarebbe quindi colui che dalle tenebre porta alla luce.

L’oggetto della sua “rivelazione” sarà, a questo proposito, la società post-industriale, con i profondi mutamenti tecnologici, professionali e ambientali in corso, che determinano una “terza onda” (storica) di innovazioni sociali economiche, tecniche e lavorative, nonché finanziarie, che promuovono nuove opportunità di crescita. Ma anche, alla luce delle più attuali incertezze, disoccupazione e diseguaglianze sociali crescenti, che seguono alla stabilità della “prima e seconda onda” (seguendo le precedenti scadenze storiche delle rivoluzioni industriali, dal XIX sec ai primi decenni del XX sec.).

Ciò che stava cambiando rapidamente, per Toffler, era l’assetto ottimale delle imprese, che imponeva profonde ristrutturazioni. Per  esempio, ridurre le gerarchie ed espandere le adhocrazie (organizzazioni ad hoc), sostituire le complesse burocrazie con organizzazioni flessibili, smantellare gli investimenti strutturali (costosi e rigidi) con progetti innovativi e duttili, basati sui comportamenti (degli attori) e gli obiettivi piuttosto che le regole e i controlli (delle routine).

È fondamentale, a questo proposito, il concetto di adhocrazia, introdotto negli anni’60 da Warren Bennis (1925-2014), e reso popolare, in seguito, dal futurologo Alvin Toffler. In quanto costituisce una forma organizzativa che non segue i principi classici del management, essendo una organizzazione fluida, basata sulle competenze dei soggetti, e distinta, nella versione “operativa” (che risponde a precise richieste del cliente) e “amministrativa” (che innova per una richiesta interna del proprio sistema organizzativo). In ambedue i casi, la macrostruttura è caratterizzata dalla dominanza dello staff di supporto (gli esperti) e nucleo operativo (i professionisti), con il principale meccanismo di coordinamento che è quello del “reciproco adattamento”. E con microstrutture (il lavoro delle persone) improntate ai processi formativi delle posizioni organizzative, nell’ambito di modelli di OL, oramai decisamente, motivazionalisti. 

Secondo Toffler, questo è il modello organizzativo del futuro.

Il quale risponde meglio a domande di prodotto (o servizi) complessi e individualizzate, progetto organizzativo di tipo organico (opposto a quello meccanico), con struttura organizzativa aperta, libera, flessibile, creativa e spontanea, perfetta antitesi alla grande impresa tradizionale2 (quella gerarchico-funzionale).

Tra l’altro, in un articolo del 1965, “The future as a way of life”, egli afferma che il cambiamento costante e l’incertezza sarebbero stati le caratteristiche (prevalenti) del futuro prossimo. Per lui lo “shock del futuro” corrisponderà ad uno shock culturale, ossia all’ingresso in un’altra “cultura”, spesso disorientante ma necessaria ai tempi a venire. D’altronde, all’epoca della sua elaborazione teorica, siamo (negli anni ’60 e primi anni ’70) in pieno “fordismo”, con colossi industriali al culmine della potenza, inconsapevoli della crisi petrolifera incombente, cosicché gli economisti  continuavano a prevedere un futuro roseo e l’assenza di “limiti” allo sviluppo industriale.

Siamo, insomma, a quel tempo, in una fase sistemica espansiva, ma anche di certezze (ideologiche) e arroganza manageriale, mentre il messaggio che Toffler cercava di veicolare (all’opposto) era l’insicurezza e l’umiltà, lontano dall’idealismo utopico, radicato in una realtà (diversa) che andava rapidamente profilandosi3

Dunque, il clima generale era tale per cui la maggioranza degli analisti pensava che si dovessero solo raccogliere i frutti dello sviluppo economico e tecnologico raggiunti, lavorare di meno e consumare di più, insomma un’era di piacere che non si è, di fatto, mai materializzata. La stessa tecnologia dei processi lavorativi (e i suoi sviluppi) era interpretata in maniera problematica da Toffler, non come liberazione dal lavoro ma come un modo diverso di lavorare, caratterizzato dalla sincronizzazione di macchina e uomo, vincolato (quest’ultimo) sempre più alla tecnologia insieme al complesso della sua organizzazione sociale. Preveggente visione, che anticipa la futura saturazione sociale del lavoro, nell’ambito dei modelli della “produzione snella”, di origine nipponica, ma diffusisi successivamente anche in Occidente (con le opportune varianti tecniche).

Comunque, la tecnologia e la conoscenza rimangono due pilastri della visione di Toffler, costantemente presenti nella sua opera. L’ufficio del futuro sarà, secondo lui, l’ufficio elettronico, con pesanti ricadute organizzative e relazionali (sociali, psicologiche ed economiche) all’interno delle aziende (con meno gerarchia, meno occupazione, più informazioni e più decisioni). 

Mentre con i suoi successivi lavori, “The Third Wave” e “War and Anti-war” (siamo oramai negli anni ’80 e ’90), egli si distacca da una visione micro-aziendale dello sviluppo delle nuove tecnologie informatiche, della comunicazione digitale e della conoscenza, per avanzare delle ipotesi di scenario a livello macro-sociale. 

Secondo Toffler, infatti, siamo dinanzi ad una nuova civiltà. 

La più creativa ristrutturazione di tutti i tempi, la cosiddetta “terza ondata” della industrializzazione, epoca digitale o dell’informazione (ma anche, di fonti di energia diversificate e rinnovabili, nuovi metodi produttivi, nuove forme sociali e familiari, superamento della fase di mercato, il cui esempio classico è la figura del prosumer). Sviluppo che seppellisce la “seconda ondata”, in declino, fatta di standardizzazione, specializzazione, sincronizzazione, concentrazione, massimizzazione e centralizzazione dei processi organizzativi. 

In effetti, una vera e propria rivoluzione sociale e tecnica, a partire dai nuovi mezzi di comunicazione e diffusione delle informazioni (anch’esse catalogate in tre grandi ondate, vecchi media, mass-media e self-media), che aumentano la capacità di immagazzinare, archiviare, ricordare e attingere ai dati, dando vita a vere e proprie comunità elettroniche (e tanto più aziendali). 

Per questo motivo, il mondo che sta nascendo ha nuovi valori e nuove tecnologie, nuove relazioni geopolitiche (nonché economiche), e richiede nuove idee e analogie, classificazioni e concetti completamente nuovi per affrontare il nuovo mondo. 

Cambiano in questo modo, e profondamente, i modelli di produzione, dalla produzione di massa alla customizzazione di massa. Se il lotto della “seconda ondata” (industriale) è gigantesco, costituito da milioni di prodotti identici e standardizzati, il modello della “terza ondata” (post-industriale) è un piccolo lotto di prodotti parzialmente o totalmente customizzati, da cui emerge la, già citata, figura del prosumer, odierna combinazione di producer e consumer, l’attuale cliente o utente di una, vera e propria, corrente modernità (industriale)4

D’altronde anche la nostra vita quotidiana, oltre l’ufficio del futuro, è stata radicalmente trasformata dall’apprendimento dell’uso del PC e dei suoi software, un processo informale che non ha avuto bisogno dell’intervento delle scuole o istituzioni formative, con l’apprendimento che ha proceduto da persona a persona, dando luogo a una intelligenza distribuita che ha moltiplicato (in modo esponenziale), le nostre potenzialità individuali (lavorative e manageriali).

Ma che cosa sarebbe accaduto, secondo Toffler, nel mondo delle organizzazioni? Nelle singole regioni o nell’ambito di un futuro scenario globale? 

 

 

La demassificazione in corso avrebbe, senz’altro, aperto le porte a nuovi regionalismi e alla diffusione di media locali, cosi come le variabili spazio-temporali, a seguito delle trasformazioni operate dalle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (ICT), avrebbero, a livello organizzativo, intensificato i tempi e dilatato lo spazio della produzione. 

Mentre la sua previsione, rispetto all’azienda del futuro, fu lo sviluppo di una “istituzione multiscopo”, in grado di ridefinirsi attraverso cinque forze: i cambiamenti dell’ambiente fisico (assumersi una maggiore responsabilità per gli effetti delle loro attività operative sull’ambiente); i cambiamenti nell’”allineamento delle forze sociali” (maggiore impatto rispetto alle altre istituzioni, educazione, associazioni civili, lobby politiche); i cambiamenti nel ruolo delle informazioni (queste diventano fondamentali per la produzione, con la proliferazione degli “information manager”); ma i cambiamenti sono visibili anche nel mondo politico (maggiore interazione tra politica ed economia); infine, i cambiamenti avvengono nella morale (per cui, scrive Toffler “l’azienda viene vista sempre di più come produttrice di effetti etici”)5.

Alla fine, la sua prospettiva del futuro (terza ondata) si fonde con quella storica (prima e, soprattutto, seconda ondata). 

Nel suo libro del 1990 “Powershift” egli afferma che “tutte le istituzioni sociali progettate per la seconda ondata, per una produzione di massa in una società di massa, sono in crisi”, dal sistema familiare a quello educativo, dai sistemi di protezione sociale e sanitari ai vari sistemi ecologici, insieme ai nostri sistemi valoriali ed epistemologici. Il conflitto tra agricoltura (prima onda), industrialismo (seconda ondata) e post-industrialismo (terza onda) caratterizzerà il ventunesimo secolo, con effetti imprevedibili (e a volte devastanti) come le migrazioni forzate, la disoccupazione e l’estendersi delle disuguaglianze sociali (espresse, al loro culmine, dall’implodere delle povertà relative e assolute). 

Ma il discorso di Toffler si fa, progressivamente, anche molto individualistico, con l’uomo al centro delle sue riflessioni. 

Considerando che nel suo libro “Lo choc del futuro”, prima citato, vede gli individui differenziati e impauriti rispetto alla società del futuro, con una gran parte di essi che reagisce positivamente vivendo pienamente la società iperstimolata e iperconnessa, vedendola come una gigantesca opportunità, mentre un’altra parte, solo apparentemente minoritaria, fatica a tenersi a galla, e cerca costantemente un appiglio a cui afferrarsi. “Nel frattempo, per quanto tenti di restare al passo, vede la grande nave del mondo allontanarsi sempre più verso l’orizzonte lontano”. Come acutamente scrive Roberto Paura, in un suo report sull’autore, pubblicato il 1 luglio 2016, sulla rivista elettronica “FUTURI”6, affermando, ancora, che queste sono “le vittime dello choc del futuro”, si direbbe oggi, i vincenti e i perdenti della globalizzazione. “Da un lato le élites transcontinentali, abituate a trascorrere una vita da pendolari a bordo di aerei di linea per curare i propri affari e consolidare le proprie carriere, e dall’altro l’aumento forsennato dei trasferimenti e dei traslochi delle famiglie, uno sradicamento territoriale frutto della flessibilità del lavoro, che se per molti rappresentava una situazione stimolante, per altri costituisce un autentico trauma, impedendo la costruzione di legami stabili e duraturi, non solo sul piano personale ma anche su quello della comunità circostante”. 

Anche l’informazione sovradimensionata (il sovraccarico di informazioni), rappresenta, innegabilmente, un problema, perché esiste un limite naturale alla nostra capacità e celerità di elaborazione dell’informazione. Oltre il quale non possiamo spingerci, soprattutto sul piano delle decisioni organizzative, anche se oggi il legame a doppio filo tra “algoritmi” e “intelligenza artificiale”, sembra fornirci soluzioni di calcolo e previsione totalmente innovative rispetto al passato.

Ma è il problema odierno degli effetti sociali e individuali della “terza onda” a tenere banco.

Ancora Roberto Paura, nello stesso testo prima citato, osserva che “Toffler ci aveva, già, messo in guardia, rispetto allo choc del futuro, sulle conseguenze, nelle nostre società, delle derive di destra, delle reazioni del ritorno al passato,  cavalcata dai politici della destra reazionaria. Ne è un esempio politico attuale la Brexit, che l’Economist (2016) interpreta come la risposta di una fetta della popolazione “tagliata fuori” dai benefici della società post-industriale (o post-moderna), tecnologica e globalizzata, per la quale la promessa di un futuro di opportunità sconfinate è rimasta, per l’appunto, solo una promessa”. La sensazione è che il mondo stia diventando sempre più incomprensibile e incontrollabile e che il progresso è ciò che è accaduto solo ad altri, visto che una buona parte della popolazione (da esso) non ha tratto che disagi e svantaggi (o esclusione sociale).

Ma Toffler non era un critico del progresso, era solo realista, per evitare lo choc del futuro, scriveva “non ci occorre né una cieca accettazione né una cieca resistenza, ma tutta una serie di strategie creative per forgiare, deviare, accelerare o decelerare selettivamente il mutamento”.

 

  1. http://www.interruzioni.com/rivoluzione_digitale.htm
  2. http://qualitiamo.com/miglioramento/adhocrazia/adhocrazia.html
  3. S. Crainer, D. Dearlove, Il grande libro dei Guru, ETAS, 2006.
  4. Cfr., Gibson e Rowan (a cura di), Rethinking the Future, Nicholas Brealey, Londra, 1997.
  5. S. Crainer, D. Dearlove, Il grande libro dei Guru, op. cit.
  6. www.futurimagazine.it/osservatorio/cosa-ci-ha-insegnato-alvin-toffler/