In coda alla cassa dell’ipermercato mi capita di pensare a tutte le volte in cui mi sono trovato così, in fila, con il carrello più o meno pieno di mercanzie. Guardo figure vaghe di persone, sole o accompagnate, individui senza volto, dissimili solo per l’acconciatura e l’abito, e le vedo come parti di un’unica matriosca. In quei momenti ricordo una conversazione che ebbi con mio padre davanti al camino acceso nella nostra casa di campagna.

 

 

PADRE: Quella macchina è lo strumento di un’opera livellatrice. Nella tramoggia vengono posti sassi d’ogni misura e ne esce un insieme uniforme e minuto. Si tratta in definitiva di una macchina costituita da  lamiere sagomate, bulloni, crivelli. E’ posata sul greto del fiume, che scorre ad ovest della città, dove compie il lavoro inesorabile del continuo macinare sassi. Grossi e minuti. La tramoggia viene riempita, non si sa da chi, poi dal grande vaglio si produce una cascata di sassi tutti uguali. Intorno non vi è anima viva e questo crea un’atmosfera misteriosa. Un qualcosa di inesplicabile. Se uno di quei sassi volesse essere diverso, più grosso o più minuto, non vi sarebbe nulla da fare. Il programma della macchina continuerebbe inesorabilmente a realizzarsi nella più assoluta immutabilità.

FIGLIO: Non c’è che dire, la macchina produce materiale uniforme. Da dove viene? E perché?

PADRE: Molti credono che quella sia opera di un dio terreno, un grande demiurgo. Sassi di uguale pezzatura hanno le medesime esigenze e di conseguenza richiedono si fornisca loro un’attenzione comune. Il dio terreno, ammesso ne sia l’artefice, avrebbe realizzato ciò che la natura della comune consistenza materiale, della loro uniformità ha permesso: l’uguaglianza.

FIGLIO: Molti credono che il progresso produca benessere e favorisca l’uguaglianza, anche se non capisco perché le aziende continuino a licenziare e a chiudere. La mia generazione non si aspetta più niente dalle vecchie ideologie e dal loro ipocrita proselitismo. La lotta di classe, l’impegno politico, l’opposizione tra capitale e lavoro ci suscitano soltanto sorrisi di commiserazione. A furia di non essere più utilizzate, alcune parole paiono prive di senso. Ne sono arrivate altre che si sono imposte per valutare azioni e individui: la performance, la competizione, il profitto. Ormai il successo è l’unico valore trascendente che definisce un individuo, che esalta il nuovo arricchito e celebra le persone dalla parlantina sciolta. Competitività, precarietà, occupabilità, flessibilità… Noi viviamo in discorsi ripuliti, li ascoltiamo appena, mettiamo in parole vita ed emozioni. Dipendenza, resilienza, depressione, alcolismo, frigidità, anoressia, infanzia difficile, niente è più vissuto senza profitto. Comunichiamo le esperienze e le fantasie intime, offriamo modelli alla verbalizzazione del nostro ego. Allarghiamo il bacino di conoscenze comuni e aumentiamo la rapidità mentale. Le fasi dell’apprendimento sono diventate sempre più precoci. La lentezza dei ritmi scolastici irrita i ragazzi che digitano a tutta velocità. Scriviamo parole chiave per essere travolti da migliaia di siti, per attingere in disordine pezzi di frasi che ci trascinano verso altri brandelli di testi in una caccia al tesoro di ciò che non stiamo cercando. Discutiamo con sconosciuti, insultiamo, corteggiamo, inventiamo un’identità. Gli altri sono immateriali, senza voce né odore né gesti, la loro sorte non ci tocca. Ciò che conta è quello che ci si può fare con loro, come possiamo usarli, quanto siamo potenti e impuniti. Trasformiamo il mondo in un cicaleccio. Ma nella mescolanza dei discorsi è sempre più difficile trovare una frase per sé, la frase che, pronunciata in silenzio, aiuta a vivere. Evolviamo nella realtà di un mondo di oggetti senza soggetti.

PADRE: Noi vivevamo in un mondo di soggetti con pochi oggetti che avevano una propria funzione. Non buttavamo via nulla. Vivevamo nella scarsità degli oggetti, delle immagini, delle distrazioni, delle spiegazioni di noi stessi e del mondo. Ci spostavamo a piedi o in bicicletta in un viavai regolare, tracciando itinerari che attraversavano la tranquillità delle strade. Il silenzio era il sottofondo delle cose e la bicicletta misurava la velocità della vita.

FIGLIO: Il susseguirsi sempre più rapido degli oggetti cancella il vostro modo di vivere, il passato. Le persone non si chiedono più a cosa servano le cose, hanno semplicemente voglia di possederle e soffrono di non guadagnare abbastanza per poterle comprare subito. Scoprono le agevolazioni di pagamento, i prestiti. Sono a proprio agio con le novità, felici di usare questi oggetti, contenti di poter toccare la mercanzia prima di averla comprata. Si sentono libere, non chiedono niente a nessuno. Non si annoiano, vogliono approfittare subito di ciò che accade. Si sentono senza età. Non sono più le stesse persone che andavano a fare spese nei negozi. Sono totalmente diverse da come eravate voi. La vostra vita non gravitava intorno all’acquisto delle cose.

PADRE: La rappresentazione della società si è atomizzata in soggetti definiti innanzitutto secondo criteri esteriori. Il linguaggio si è scollato dalla realtà. La società commerciale è senza limiti, non conosce barriere, fagocita ogni forma di sapere esplicitandola a suo favore, adattandola al proprio uso e consumo. Strumentalizza il linguaggio ecologico e psicologico, si addobba di umanesimo e di riscatto sociale, combatte contro il caro vita, accompagna, prescrive, impone. E’ una filosofia, la convenzione inoppugnabile delle nostre vite. La nostra esistenza. E’ una dittatura affascinante e gioiosa contro cui non ci ribelliamo, ma cerchiamo soltanto di proteggerci dai suoi eccessi, di trasformarci in consumatori etici e consapevoli, che è la più umana definizione dell’individuo divenuto merce.

FIGLIO: E’ vero, ma è poco etico e consapevole che nessun cittadino occidentale si indigni del fatto che i prodotti arrivino da ogni parte del mondo e circolino liberamente mentre gli esseri umani siano espulsi alle frontiere o siano costretti a nascondersi nei container, trasformandosi in merce esanime, e muoiano soffocati, dimenticati dal camionista nel parcheggio di un’area di servizio sotto il sole rovente.

 

 

PADRE: Non vi è nulla da fare. Il programma della macchina continua inesorabilmente a realizzarsi nella più assoluta immutabilità. Vuoi sapere la conclusione della mia storia? Nei giorni seguenti venni a sapere che alla tramoggia erano giunti splendidi cristalli, una ricca varietà di geometrie corrispondenti a preziose pietre che, allo stesso modo di quelle comuni, la natura aveva generato nel suo ribollire. Ma l’immutabile programma della macchina ne aveva fatto polvere informe.