1900 – Corteo di lavoratori per la manifestazione del 1° maggio (Il Socialista)

 

 “Se un’idea non sembra inizialmente assurda, allora è senza speranza.”  (Albert Einstein)

Protopia (pro di processo o progresso e topos dal greco per luogo) è un neologismo utilizzato da Kevin Kelly per indicare, semplificando, una specie di via di mezzo tra utopia (non luogo), distopia (cattivo luogo) e eutopia (buon luogo).

La distopia che viene immediatamente alla mente è “La città del sole” di Tommaso Campanella del 1600. Proprietà privata totalmente vietata, vita privata completamente controllata dallo stato, qualsiasi trasgressione punita severamente sino alla condanna a morte. Principi fascisti o stalinisti.

Per l’utopia il riferimento è naturalmente alla Repubblica di Platone ed a Tommaso Moro, anche per l’eutopia.  La letteratura disponibile sull’argomento è veramente vasta. Conviene partire dalla definizione più semplice e sintetica:

“L’utopia è un luogo buono/bello ma inesistente, o per lo meno irraggiungibile”, ecco.

 

Altra definizione può essere: “utopia è un assetto politico, sociale e religioso che non trova riscontro nella realtà, ma che viene proposto come ideale e come modello. Il termine può anche riferirsi ad una meta intesa come puramente teorica e del tutto irraggiungibile; in questa accezione, può connotare sia un punto di riferimento idealistico verso cui orientare azioni ancora pragmaticamente attuabili, sia una mera illusione e un ideale vuoto”.

«Una cartina del mondo che non contenga Utopia non è degna neppure di uno sguardo, perché tralascia il paese nel quale l’umanità continua ad approdare. E, quando vi approda, l’umanità si guarda intorno, vede un paese migliore e issa nuovamente le vele. Il progresso è la realizzazione di Utopia.» Oscar Wilde

 

Le critiche più interessanti all’utopia, in special modo filosofica, dopo Rousseau che nel Contratto sociale ha avanzato idee di uguaglianza nei diritti e una certa centralizzazione del potere, vengono da filosofi liberali tra i quali Karl Popper. Quella che ci interessa è sicuramente la critica al totalitarismo dell’utopista. Per i critici dell’utopia, coloro che intendono realizzarla sono fermamente avversi ad ogni pratica gradualista e riformista, poiché, dovendo cambiare il mondo nella sua interezza, non pensano che ci sia alcun bisogno di intervenire sui problemi e le questioni attuali. È anche però importante notare che l’utopista in generale non entra nei dettagli. D’altra parte, molte radicali modifiche al nostro modo di vivere la socialità e l’ambiente che sembravano solo immaginazioni utopistiche fino a poco tempo fa sono e saranno realtà.

L’utopista può essere colui che indica un percorso che ritiene al contempo auspicabile e pragmaticamente perseguibile.

 

A questo punto è possibile formulare una protopia orientata ad una politica post-lavoro: Puntare ad un futuro senza lavoro.

 

Con «lavoro» intendiamo il tempo che vendiamo a qualcun altro in cambio di un reddito. Un futuro post-lavoro non è un mondo di pigrizia: piuttosto, è un mondo dove le persone non saranno più schiave del lavoro, ma libere di vivere le proprie vite in modo incondizionato.

Gli elementi che possono favorire il perseguimento di questa protopia sono diversi:

  1. Il neoliberismo sta dimostrando la sua incapacità a mantenere le promesse; le crisi economiche si susseguono con sempre maggior frequenza; le manifestazioni di protesta sono sempre meno pacifiche; politica e sindacati manifestano sempre più la propria impotenza. “La politica è l’arte del possibile”. Che altro poteva enunciare uno statista prussiano come Otto von Bismarck. Questa definizione ci dice che la politica serve a confermare la situazione esistente. I politici quindi, il cui unico obiettivo sembra nella maggior parte dei casi quello della rielezione e del mantenimento del posto di lavoro, non possono permettersi opinioni e decisioni troppo estreme. Le loro idee devono pertanto essere tenute nei limiti dell’accettabilità e delle previsioni elettorali. Se solo si esce, anche di poco da questi margini, si viene tacciati di irrealismo ed irragionevolezza. Ed invece, per chi lo ricorda, nel ’68 dicevamo: “Siamo ragionevoli, chiediamo l’impossibile!”. La Politica deve rendere l’impossibile reale.
  2. Della Quarta Rivoluzione Industriale ormai si parla in tutti gli ambienti e quasi a tutti i livelli. Big Data, Intelligenza Artificiale, Robotica, Bio Ingegneria, Internet delle Cose, Connessione Totale ed altro ancora avranno, e stanno già avendo, enorme influenza sul nostro modo di vivere la realtà. Ne abbiamo anche parlato su questa rivista. (vedi “La scienza e la tecnologia non possono essere fermate” “Il Lavoro” ). Importanti studi ci informano che nei prossimi vent’anni il 50% delle professioni e mestieri che conosciamo oggi spariranno. L’automazione e l’Intelligenza Artificiale progrediscono sempre più velocemente in tutti i campi: agricoltura, industria, servizi.

 

 

 

 Dalla Sicilia al Gastarbeiter – pensionato in Germania

 

 

 Ecco ora il percorso da seguire o da assecondare per la protopia

 

Puntare ad un futuro senza lavoro

 

  1. PIENA AUTOMAZIONE. le macchine produrranno tutti i beni e i servizi necessari alla società, liberando da questo peso gli esseri umani. Tendenza già in atto, si tratta quindi di promuoverne l’accelerazione e contrastare la tendenza a scarsi investimenti privati: perché comprare nuovi macchinari quando dei lavoratori sottopagati possono svolgere gli stessi incarichi con meno spesa? Si tratta quindi di richiedere maggiori investimenti statali anche sulla ricerca all’innovazione non solo per accrescere le capacità dei lavoratori ma per la loro sostituzione. Sarà necessario tener conto del fatto che il capitalismo pretende comunque il profitto e preferirà il lavoro umano se questo è più economico rispetto a nuovi investimenti. Dovrà quindi essere previsto l’aumento di salari minimi ed incentivi per la sostituzione dei lavoratori umani. La piena automazione dovrebbe anche essere perseguita per quello che riguarda i cosiddetti lavori domestici. La piena automazione è quindi una rivendicazione che mira a ridurre il più possibile la quantità di lavoro umano necessaria.
  2. RIDUZIONE DELLA SETTIMANA LAVORATIVA. diversi sondaggi registrano come la maggioranza dei lavoratori sia favorevole ad una settimana lavorativa più corta. Questa può quindi essere una rivendicazione che, tra le altre cose, potrebbe dare più forza alle organizzazioni della sinistra.
  1. REDDITO BASE UNIVERSALE. Deve essere tale da permettere la sopravvivenza; deve essere disponibile a tutti e supplementare al welfare. Quali ostacoli si frappongono all’istituzione di un reddito base? Il problema di trovare i fondi per finanziare una simile misura sembra insormontabile: servirebbe tagliare quei programmi alternativi che un reddito base renderebbe ridondanti, aumentare la tassazione sui ricchi, e poi imposte di successione, tasse sul consumo, carbon tax, taglio della spesa militare, taglio dei sussidi all’industria e all’agricoltura, e una stretta sull’evasione fiscale.
  1. RIFIUTO DELL’ETICA DEL LAVORO. Uno dei problemi più grandi per la costruzione di una società post-lavoro, è quello di superare la pressione sociale che porta a interiorizzare l’etica del lavoro. Lasciarsi alle spalle l’etica del lavoro sarà dunque un obiettivo ineludibile per qualsiasi futuro tentativo di costruire un mondo post-lavoro. Per quanto degradante, sottopagato o scomodo esso sia, il lavoro viene comunque considerato come un bene in sé. Il fatto che tante persone non riescano neppure a immaginare una vita che abbia significato al di fuori del proprio impiego dimostra quanto in profondità l’etica del lavoro abbia plasmato la nostra psiche.

 

 

 

 Raccolte di Pomodori, anno 2015, L’INKIESTA

 

 

Concludendo (si fa per dire) il nostro “futuro senza lavoro” ha buone possibilità di essere considerato una protopia: non è assolutista anzi prevede una gradualità nell’attuazione e, portando avanti uno studio accurato, ha anche buone possibilità’ di non andare contro i principi precauzionali. Si tratta in sostanza di costruire un mondo nuovo ed è quindi possibile sorgano nuovi problemi.

In effetti alcuni ostacoli possono essere facilmente prevedibili: per la piena automazione sarà necessario vincere la ritrosia della classe imprenditoriale per importanti investimenti soprattutto nella ricerca di base; sarà anche difficile vincere le resistenze sia per la riduzione della settimana lavorativa sia per il reddito base universale.

L’ostacolo più difficile da affrontare resta però quello riguardante l’etica del lavoro. Si tratta in questo caso di una vera rivoluzione culturale. Su questo argomento vale la pena di guardare al passato e cercare di utilizzare le metodologie, purtroppo vincenti, degli avversari.

Mi riferisco alla Mont Pelerin Society. Nel 1947 Friedrich von Hayek fondò la Mont Pelerin Society con l’intento di aggregare varie personalità del mondo intellettuale al fine di ridiscutere il liberalismo classico, quindi si parlò di neoliberismo. Come ha sostenuto Milton Friedman, uno degli aderenti alla società fondata da Hayek, il periodo storico, caratterizzato dalla forte ascesa da parte degli statalismi un po’ ovunque nel mondo, fece vedere agli occhi di tutti la Mont Pelerin Society come baluardo dell’ideologia liberale, punto di incontro annuale dei sostenitori del libero mercato.(lib. da Wikipedia). Si considera questo avvenimento come nascita del cosiddetto neoliberismo e  si considera il neoliberismo come nettamente opposto al concetto di economia keynesiana (in cui vi è correzione da parte statale del sistema economico con opportune misure di politica industriale a sostegno dell’interesse pubblico).

Da cui poi Scuola di Chicago, i cosiddetti Chicago boys, il fondatore della scuola Milton Friedman, e Sebastian Piñera e quindi Pinochet e poi Margaret Thatcher e Reaganomics, Alberto Fujimori e altri governi dittatoriali sudamericani. Tutto il male possibile, naturalmente.

Si tratterebbe quindi di costruire una Mont Pelerin Society, con esponenti di gran peso, non politici, dedicata al “futuro senza lavoro”.

 

 

RIFERIMENTI

Post-Lavoro: appunti per il futuro, Giuseppe Monti

Utopia for Realists, Bregman, Rutger.

Il reddito minimo universale, Van Parijs, Philippe.

Basic Income, Parijs, Philippe Van.

La terza rivoluzione industriale, Jeremy Rifkin

Il capitale nel XXI secolo, Piketty, Thomas.

Inventare il futuro, Nick Srniceck & Alex Williams