Monza, dicembre 1998

Stavamo passeggiando per via Italia a Monza quando Marina, mia moglie, ed io entrammo in un noto store di musica e libri per scegliere un cd musicale.

Lei si diresse al bancone della cassa a chiedere le informazioni che le servivano ed io, come d’abitudine, mi misi a curiosare fra i vari libri. Venni subito attratto da una grande pila colorata, era formata da tantissimi libri di Robert H. Hopcke “Nulla succede per caso. Le coincidenze che cambiano la nostra vita”. Psicoterapeuta, dirige il Center for Symbolic Studies, una scuola di formazione per psicoanalisti e psicoterapeuti di area junghiana. Vive e lavora a Berkeley, in California. Tutto questo lo appresi dopo, in quel momento fui attratto dal titolo del libro che mi parve azzeccato e pensai che se “nulla succede per caso” forse era opportuno leggerlo, così feci.

Lo apprezzai molto.

 

Firenze, domenica 27 settembre 2020, 15:45

Anche in questa occasione stavamo passeggiando. Questa volta tra le strade che creano un dedalo nell’intorno di Piazza del Mercato Nuovo, dove tanti turisti si recano per strofinare il muso del cinghiale: i visitatori toccano il muso di questa fontana bronzea per essere certi che torneranno a Firenze.

Guardando il selciato ho intravisto un lieve disegno, sicuramente opera di qualche madonnaro.

Era un semplice disegno a gessetto quasi completamente cancellato dal calpestio indifferente di tanta gente alla ricerca di un’isola che non c’è. A pochi passi dalla famosa Piazza della Signoria.

Mi è immediatamente sorto il desiderio di fotografarlo, e l’ho fatto.

 


 

Certe volte il tempismo è essenziale.

Un attimo dopo infatti…

 

 

…mi sono dovuto scansare velocemente per permettere il passaggio di questa spazzatrice per la pulizia delle strade il cui percorso coincideva proprio con il luogo in cui era disegnato il volto di donna da me fotografato così istintivamente.

Riponendo la reflex nello zaino prendo lo smartphone per guardare l’ora e mi accorgo di avere una notifica di WhatsApp: è un messaggio di Barbara, un’amica. “Me lo fai un regalo? Il 10/10 compio gli anni e vorrei uscire con la Rivista. Mi scrivi qualcosa da pubblicare, così ci sarai anche tu? Mi farebbe piacere…

Ovviamente il piacere è stato grande nel leggere questa richiesta sicuramente motivata da anni di stima reciproca e di grande amicizia, per di più in occasione di un evento significativo come un compleanno.

Grazie mille per poterti essere vicino” rispondo immediatamente ed aggiungo: “Martedì ti scrivo il pezzo, adesso non sono a casa. Hai un argomento filo conduttore?” e per risposta ottengo: “Il titolo del mio articolo sarà «Una nuova vita fluirà»

 

Sincronicità?

La parola sincronicità[1] deriva dalle radici greche syn (“con”, che segna l’idea di riunione) e khronos (“ora”): riunione nel tempo, simultaneità.

 

Jung in particolare definisce la sincronicità in questo modo:

«Gli eventi sincronici si basano sulla simultaneità di due diversi stati mentali.»

«Ecco quindi il concetto generale di sincronicità nel senso speciale di coincidenza temporale di due o più eventi senza nesso di causalità tra di loro e con lo stesso o simile significato. Il termine si oppone al ‘sincronismo’, che denota la semplice simultaneità di due eventi.

La sincronicità significa quindi anzitutto la simultaneità di un certo stato psichico con uno o più eventi collaterali significanti in relazione allo stato personale del momento ed, eventualmente,  viceversa.»

 

Il meravigliato sguardo al disegno abbozzato sul selciato di una strada di Firenze e la sua istantanea fissazione su supporto digitale grazie alla fotografia, il repentino passaggio distruttore  della macchina spazzatrice ed il contestuale messaggio di Barbara si sono fusi in una danza vorticosa che ha fatto volteggiare un’idea… di sincronicità, appunto.

Jung asseriva «Voglio dire per sincronicità le coincidenze, che non sono infrequenti, di stati soggettivi e fatti oggettivi che non si possono spiegare causalmente, almeno con le nostre risorse attuali.»

Quindi? Che nesso c’è fra tutto questo? Cosa devo dedurre da questa concatenazione di pensieri? Come posso soddisfare l’esigenza di “scrivere un pezzo da pubblicare[2]” in modo che possa essere decorosamente coerente con le aspettative ed in sintonia con la tematica centrale delineata da «Una nuova vita fluirà»?

Il concetto di “principio sincronico”[3] apparve molto discretamente, per la prima volta, in un elogio funebre per Richard Wilhelm nel Neuen Zürcher Zeitung del 6 marzo 1930:

“La scienza dell’ ‘Yi King’ non è basata sul principio di causalità ma su un principio che non è stato ancora nominato – perché non appare nella nostra cultura – che chiamo provvisoriamente il PRINCIPIO SINCRONICO. Il mio lavoro con la psicologia dei fenomeni dell’inconscio mi ha costretto, già diversi anni fa, a cercare un altro principio esplicativo, perché il principio di causalità mi è apparso insufficiente per spiegare certi strani fenomeni della psicologia dell’inconscio.”

Nelle sue Tavistock Lectures del 1935, Jung risponde a una domanda sul parallelismo psicofisico:

“Il corpo e lo spirito sono due aspetti dell’essere umano, e ciò è tutto ciò che noi sappiamo. Per questa ragione preferisco dire che le due cose sopravvengono assieme in un modo misterioso restandone qui, perché non si può immaginare le due cose come una sola. Per il mio uso personale, ho concepito un principio che deve mostrare questo fatto di “essere assieme”, affermo che lo strano principio della sincronicità agisce nel mondo quando certe cose si producono in un modo più o meno simultaneo. comportandosi come se fossero la stessa cosa, pur non essendo tali dal nostro punto di vista[4].”

La sincronicità, secondo Jung, si riferisce a degli avvenimenti dove succedono cose nella realtà esterna che sono in corrispondenza significativa con un’esperienza interiore.

I fenomeni sincronici sono delle coincidenze significative dove lo spazio e il tempo appaiono come delle grandezze relative. Sincronicità non vuol dire “nello stesso tempo” ma “con lo stesso senso”. La parte del fenomeno sincronico che si produce nella realtà esterna è percepita dai nostri sensi naturali. L’oggetto della percezione è un avvenimento oggettivo.

La sincronicità rimette  in questione il concetto fisico di OGGETTO, così come il concetto classico di SPAZIO e di TEMPO.

Jung si trascinò per anni le sue idee sulle “coincidenze significative” senza dare loro una forma definitiva; inoltre ha esitato per molto tempo prima di presentarle al pubblico.

Dopo una conversazione con Pauli[5], nel novembre 1948, i due hanno iniziato uno scambio di lettere intensivo, nel quale Pauli ha incoraggiato Jung a redigere i suoi pensieri sull’argomento; da questa amicizia è scaturita una collaborazione de facto in cui Pauli ha poi vivacemente preso parte all’ulteriore perfezionamento del concetto junghiano[6] di sincronicità.

In effetti, grazie al continuo confronto di idee che avvenne tra Pauli e Jung nell’arco di quasi un ventennio, i percorsi della fisica quantistica e della psicoanalisi sembrano intrecciarsi in più punti[7]. I concetti junghiani di archetipo, alchimia, simbolo, inconscio collettivo e sincronicità, apparentemente astratti, diventano per Pauli terreno fertile dove maturare le intuizioni sui quanti e sul “principio di esclusione”, la teoria che gli è valso il Nobel nel 1945.

Il principio junghiano di sincronicità nella versione quantistica di Pauli è affascinante. Il geniale fisico è riuscito a rendere questo concetto apparentemente astratto, in qualche cosa di perfettamente dimostrabile, tramite la fisica quantistica e il suo “principio di esclusione”.

Questo principio, formulato nel 1925, sostiene che due elettroni non possono trovarsi in un medesimo stato di moto. Sintetizzando e semplificando al massimo, succede che se al nucleo si aggiungono altri elettroni, secondo il “principio di esclusione” essi occuperanno stati unici e successivi, andando a formare così altri atomi. Anche se non è connessa da alcuna forza fisica, ogni particella appartenente ad uno spazio fisico si comporta in modo coordinato e sincronizzato con le altre particelle, manifestando correlazioni pur in assenza di qualsiasi forza dinamica che ne sia responsabile e le spieghi.

Tutto attorno a noi è sempre “significativamente” connesso… anche se da fili invisibili.

 

Torniamo a noi.

Torniamo a noi, si diceva. Torniamo alla fotografia del disegno a gessetto quasi interamente cancellato. Mentre lo osservavo attraverso l’obiettivo della reflex mi vennero alla mente le riflessioni del prof. Manzelli sulla visione[8], ma al momento non mi soffermai più di tanto su quel pensiero. Fu il titolo dell’articolo di Barbara a fare da agente catalizzatore.

Il riduzionismo meccanico ha indotto a credere che la percezione visiva anziché essere organizzata dalla mente fosse oggettiva in quanto realizzata da un inesistente “soggetto isolato” capace di vedere  direttamente l’ambiente esterno. Così, ad esempio, nel quadro cognitivo della cultura meccanica ci siamo convinti della possibilità di vedere la luce, mentre è facile dimostrare che un flash di luce intensa, bruciando rodopsine e iodopsine, nella gran parte dei fotoricettori  nella retina, impedisce la costruzione attiva della visione per alcuni minuti.  Pertanto dobbiamo ammettere che vediamo e percepiamo coscientemente solo ciò che viene filtrato da ciò che conosciamo cognitivamente.  Di conseguenza la luce che vediamo non è direttamente quella dei fotoni esterni, ma in vero è quella che viene stimolata da impulsi del nervo ottico e che pertanto viene prodotta dalle sinapsi elettriche nel cervello le quali generando spark di biofotoni simultaneamente illuminano il cervello.  Ciò spiega anche come sia possibile vedere la luce anche in sogno, in fase REM (Rapid Eye Movement), quando alcuni fotoni intrappolati nella retina vengono liberati così che in risposta al segnale dei fotoricettori si può sognare producendo una visione in cui la luce è viva e splendente anche di notte.

Ciò significa che quando normalmente apriamo gli occhi non vediamo oggettivamente la luce esterna. La sensazione di luce che percepiamo “non” è oggettivamente quella dei fotoni della luce interagenti nell’ambiente esterno, ma proviene dalla sensazione cerebrale interiore che crea un’immagine (di luce diffusa) ed è esclusivamente prodotta dal cervello[9].

Con altre parole potremmo dire che  l’impulso neuronale, generato dalla reazione fotochimica dei coni e bastoncelli della fovea, va a stimolare le sinapsi cerebrali, in particolare quelle bioelettriche che avvicinando il “gap” tra le cariche positive e negative emettono “sparks” di luce (“biofotoni”);  quindi è la produzione cerebrale di luce all’interno del nostro cervello quella che genera la effettiva sensazione di luminosità che vediamo[10].  

Ecco perché Manzelli sostiene la fallacità dei nostri soli sensi quali strumenti per “rappresentare” la realtà. Fortunatamente la tecnologia, avvalendosi dello sviluppo delle conoscenze scientifiche, ha permesso all’Uomo di costruire strumenti sempre più potenti per ampliare il proprio spettro cognitivo e superare i naturali limiti percettivi tipicizzanti la nostra struttura corporea. Noi siamo limitati, dicevamo, ma i ragionamenti che possiamo elaborare hanno permesso prima la comprensione e poi il superamento di questi limiti stessi.

Dal significante al significato[11]: la questione è che la somma di tutti questi pensieri ha richiesto così tante parole per descrivere una sensazione di un’attimo. Un pensiero veloce che come un lampo ha rischiarato la notte per una frazione di secondo, ma con una potenza tale da permettere una chiara visione di tutto il paesaggio circostante.

Ho interpolato elettronicamente la tenue immagine impressa digitalmente sulla memoria della reflex al fine di superare i limiti cognitivi di cui parlavo antecedentemente. Ho bilanciato il riconoscimento dei colori ed ho applicato una correzione di parallasse per riportare l’immagine frontale all’osservatore e non più obliqua come in fase di ripresa.

Il risultato ottenuto grazie ad una piccola App di un piccolo smartphone è questo:

 

 

 

Una nuova vita fluirà? E che nuova vita sia, perché il bello lo possiamo vedere ovunque se osserviamo con attenzione e dove ciò accade c’è sempre spazio per far nascere qualcosa di veramente nuovo!

 

Buon compleanno, Barbara



[2] Per poter rappresentare un pensiero, un concetto, bisogna essere il più precisi possibile, documentarsi con fonti attendibili e utilizzare al meglio le parole che altri, meglio e prima di te, hanno saputo accostare per descrivere ciò che si vuole narrare. Userò pertanto delle citazioni tratte dai lavori che, a mio personale avviso, meglio si prestano nel contesto del ragionamento che sto cercando di palesare. Le fonti sono tutte riportate come note a pié di pagina in modo di dare al lettore – se lo desiderasse – la possibilità di verificare ed approfondire i concetti espressi.

[4]“L’Oriente fonda il suo pensiero e la sua valutazione dei fatti su un altro principio. Non c’è nemmeno una parola che rifletta questo principio. L’Oriente ha certo una parola per questo, ma noi non la comprendiamo. La parola orientale è TAO…Io utilizzo un altra parola per nominarla ma è abbastanza povera. Io la chiamo SINCRONICITÀ.“

[5]Wolfgang Ernst Pauli è stato un fisico austriaco. Fra i padri fondatori della meccanica quantistica, suo è il principio di esclusione, per il quale vinse il Premio Nobel nel 1945, secondo il quale due elettroni in un atomo non possono avere tutti i numeri quantici uguali.

[6]La versione definitiva di Jung è stata il risultato di molte revisioni – ispirate dai commenti critici di Pauli – ed è apparsa nel 1952 col titolo “La sincronicità come principio di relazioni acausali” in un volume pubblicato assieme a Pauli e intitolato “Spiegazione della natura e della psiche.”

[8]https://www.edscuola.eu/wordpress/?p=107673

La MENTE QUANTICA ED IL PENSIERO – “ La visione come rappresentazione illusoria della realtà”- “Arthur Schopenhauer”