Cattedrale di san Nicola a Galway

Richard Blake era ricco. Lo chiamavano Rich i suoi amici, ma ne aveva pochi: era antipatico e non pagava i debiti. Era suo creditore per forti somme anche il Comune della sua città, Galway sulla costa occidentale dell’Irlanda circa 100 kilometri a Nord di Limerick. Quegli amministratori avevano deciso di installare quattro grandi orologi sui quattro lati del campanile della chiesa di San Nicola. Il comune, però, era a corto di soldi. Così gli orologi furono solo tre. Rimase senza la facciata Nord che guardava verso le proprietà di Blake, che fu privato, quindi, del time of day, di vedere dalla finestra che ora fosse.Sono passati vari secoli da allora e alcuni hanno proposto un altro mito, forse fantasioso. Sarebbe stato il priore di San Nicola a lasciare senza orologio chi abitava a Nord, per dispetto verso il convento francescano di clausura, Poor Clares, delle suore di Santa Chiara, con le quali aveva qualche bega o divergenza di opinione.L’espressione time of day si trova già in Shakespeare: nel I atto, scena II del Riccardo III. Stanley Conte di Derby, saluta la regina Elisabetta con le parole:

“Good time of day unto your Royal Grace”.

A metà del secolo XIX si diffuse negli Stati Uniti la frase (usata ancora oggi da alcuni):

“I wouldn’t give him the time of day
[se me lo chiedesse] non gli direi nemmeno che ore sono.”

Intesa a bollare la persona di cui si parla come una spiacevole nullità da non tenere in alcun conto e a cui non rivolgere nemmeno la parola.

Un’altra preclusione di una veduta notevole, che presenta una vaga analogia con quella di Galway, ebbe luogo a Roma nel 1735. L’architetto Nicola Salvi aveva cominciato a costruire la Fontana di Trevi, secondo alcuni la più bella del mondo. Un antipatico barbiere, che aveva la sua bottega sul lato destro della piazza, lo criticava continuamente. Salvi, allora, fece costruire a uno dei suoi scultori un grosso vaso di marmo che posizionò in modo da impedire al barbiere di vedere la fontana. Il vaso sta ancora al suo posto e da tre secoli si chiama “l’Asso di Coppe” per la sua somiglianza con la carta da gioco napoletana.

Ci sono strumenti travestiti da orologi: danno l’ora, ma servono a molti altri scopi. Fra questi primeggiano gli smartphone, che contengono enciclopedie, atlanti, navigatori, macchine fotografiche e telecamere. Possono essere molto utili, anche se le funzioni che offrono si ottengono con altri mezzi tradizionali o moderni. Certi orologi da polso incorporano telecamere nascoste con cui agenti di polizia, o anche impiccioni, riprendono surrettiziamente azioni o dichiarazioni di qualcuno.

Certi orologi non sono nascosti, ma è come se non esistessero perché l’informazione che generano è illeggibile o può essere acquisita con estrema difficoltà. Alcuni di questi, analogici, hanno il quadrante privo di numeri e di tacche; chi li guarda può fare soltanto una rozza stima della posizione delle lancette ed è molto probabile che si sbagli.
Altri sono troppo piccoli. Altri, grandi, installati all’aperto, sono illeggibili quando il sole è abbagliante dietro di essi o si riflette sul vetro anteriore o tramonta e non sono illuminati.
Accade spesso che messaggi visivi non siano ricevibili. Certe lampade-spia su strumenti moderni [televisori, cruscotti di auto] sono tanto piccole e fioche da essere invisibili già alla distanza di qualche decimetro. Certe scritte stradali ..sono in caratteri tanto piccoli e sbiaditi che riesce a leggerle solo chi va a piedi – chi guida non ne ha il tempo. Si trovano messaggi e testi registrati in blog o trasmessi con e-mail in corpo 6 [illeggibili, appunto] o in corpo 8 [leggibili con difficoltà anche da parte di giovani.]
Io scrivo i miei testi in corpo 13: vanno bene per la stampa o in corpo 16 per le e-mail che invio ad anziani.
Poi c’è il problema della scarsa leggibilità che dipende dai contenuti: dalla scelta delle parole, dalla struttura delle frasi, dalla concatenazione dei concetti: ma qui il discorso diventerebbe assai più lungo.

* Pubblicato in: L’OROLOGIO, del 24 novembre2020