Il Novecento è stato testimone di una rivoluzione silenziosa che apparentemente non ha scalfito la nostra vita quotidiana: la relatività dello spazio e del tempo. Lo scorrere del tempo diviene un concetto relativo a un determinato punto nello spazio. E due punti diversi anche se vicini vivono una diversa dimensione spazio-temporale. Elementi diversi di una stessa immagine vivono realtà in qualche modo separate.

 

   

 

 

Reflecting Pool è un’opera – manifesto che si materializza nei pochi minuti della durata di un’immagine elettronica. Raramente un video ha raggiunto livelli di tale intensità di significati sulla natura dello spazio e del tempo e sul loro innesto nella realtà ordinaria. Il video realizzato nel 1977 dall’artista americano Bill Viola dura solo sette minuti e mostra un uomo che si tuffa in una piscina circondata da un bosco: un corpo che sparisce- immobilizzandosi- prima di entrare in acqua. Dopo un tempo imprecisato – all’interno della scena- che corrisponde a qualche minuto dell’osservatore, l’uomo riappare nella piscina, ne fuoriesce e ritorna nel bosco da dove era venuto. Nell’intervallo fra queste due azioni succede qualcosa che rivoluziona il modo di vedere il tempo naturalmente collegato a un’immagine. Mette in discussione il nostro modo di intendere le cose e le azioni dipendenti da un tempo unico lineare ciclico o immobile che sia. Queste sono le nostre concezioni di tempo che riusciamo a collegare alle cose e allo spazio: il tempo lineare della nostra esistenza dalla nascita alla morte, il tempo ciclico nel ripetersi dei giorni, dei mesi, degli anni. Il tempo immobile del nulla, della morte, della trascendenza. Nella moderna idea della fusione del tempo con lo spazio il blocco quadridimensionale viene percepito come qualcosa di fisicamente immobile e solo illusoriamente in movimento secondo delle coordinate che rappresentano la storia personale delle cose. Nell’opera di Viola le coordinate temporali sono dissolte, non esiste un prima e un dopo, non esiste un tempo lineare né ciclico né immobile. O meglio: esistono tutti, allo stesso modo. L’uomo al bordo della piscina effettua un salto, resta immobile a mezz’aria in una posizione fetale al centro della scena che visivamente si divide in due: sotto l’acqua e sopra il bosco, il cielo, il rumore di un aereo che passa, gli uccelli, la vegetazione. Sotto l’acqua della piscina che riflette il quadro superiore e che in qualche modo lo comprende.

L’immagine fetale congelata nell’azione del tuffarsi lentamente scompare, viene riassorbita nell’immobilità improvvisa del bosco. Il quadro superiore non è più nel tempo: l’uomo e il paesaggio sono passati nel reame dell’atemporalità. La vita si è spostata sulla superficie della piscina, nelle increspature di piccole onde concentriche. Le onde si immobilizzano- innaturalmente- ritornano su sé stesse in un tempo rovesciato per poi invertirsi di nuovo provocate da un invisibile gocciolio. Il bosco immobile nel riquadro superiore è vivo nel riflesso dell’acqua. Riflessi di due figure umane che camminano sul bordo piscina. Solo il riflesso di corpi che non esistono nella realtà di sopra- quella del bosco immobile. Poi il buio, l’acqua riflette il nero ma qualcosa la attraversa. Forse una figura umana. Si ritorna al tempo lineare, la luce riflessa è la luce reale del bosco che emerge dal suo immobilismo. Un uomo emerge dall’acqua e ritorna nel bosco. Una dissolvenza e l’uomo, nudo di spalle, sparisce per alcuni passi per poi ricomparire già inoltrato nel bosco da cui è venuto.

 

Viola mette in scena la molteplicità del tempo nell’unicità della percezione. La mente sperimenta più durate temporali che si sovrappongono, si affiancano scorrendo secondo molteplici geometrie nella scena unica dello spazio percepito. Il tempo del reale, scandito dalle lancette, e che sincronizza tutta la Terra è affiancato dal tempo mentale che l’io mette in moto visitando mondi simultanei. Ognuno con le sue diverse velocità.

 

Anche il tempo mentale si rivela nel suo passaggio attraverso cambiamenti di geometria dello spazio. Tutto si riversa nel mondo delle cose che pur essendo di per sé stesse atemporali sono soggette continui movimenti, scontri- incontri che le portano fuori da mondi per comparire in altri. In questa apparente creazione distruzione della forma dello spazio il nostro io è l’asse trascendente riferimento e centro costante e immobile della vita di ogni mondo. Emanuele Severino nei suoi scritti ci ha mostrato come le cose entrano ed escono dal regno del visibile senza esserne mai annientate ma solo nascondendosi così come – metafora mitica- il sole che nell’arco della giornata compare e scompare sull’orizzonte. Nelle antiche visioni il sole al tramonto si inabissa all’orizzonte per entrare nel mondo dei morti per poi fare ritorno in questo mondo all’alba seguente. In Reflecting Pool il mondo dei vivi e quello dei morti combaciano. Il mondo dell’immobilità e della sparizione è nella stessa prospettiva di quello del ritorno alla vita. La compenetrazione dell’acqua nell’aria attraverso misteriosi riflessi restituisce unità a tutta la scena. L’osservatore è centrato, deve situarsi davanti alla scena costruita secondo la prospettiva pur deviando l’attenzione da essa per porre in essere la molteplice simultaneità di mondi. Bill Viola si serve dell’artificio della riflessione e della trasparenza – compenetrazione. I due mondi, uno sull’altro si rispecchiano così come si rispecchiano paradiso e inferno nelle antiche visioni dell’aldilà. È Schopenhauer a dirci “da dove avrebbe potuto ricavare Dante gli elementi del suo inferno, se non dal suo stesso mondo?”

 

Nell’immaginario di Reflecting Pool l’altro mondo non è l’inferno ma il mondo di passaggio della trasformazione: il Bardo, lo stato intermedio della mente in cui la coscienza si separa dal corpo per poi riemergere alla vita in un altro corpo. Lo sdoppiamento in due piani narrativi ricorda il Grande Vetro di Duchamp e la somiglianza non è solo formale: le due opere sono entrambe delle macchine che generano spazi immaginari. Il grande vetro agisce attraverso il funzionamento delle sue macchine celibi che formano un motore che – nelle parole di Duchamp – è alimentato dal desiderio d’amore, che produce lo “sboccio” della Sposa. Reflecting Pool è un generatore di utopia, di un luogo senza luogo. Lo specchio della piscina genera uno spazio irreale che permette di vedere quello che non c’è, di scoprire un’assenza-presenza. Uno spazio altro che è lo specchio dove, in definitiva, si riflette lo stesso osservatore. Un duplice gioco quindi che provoca un corto circuito nel rapporto fra opera e osservatore. Si assiste a una frantumazione dello spazio e del tempo, alla distruzione del luogo reale e alla sua rigenerazione nel mondo immaginario.