Esecutori della guerra, ricordate le due antiche sentenze che aprono e chiudono la Regola del nostro corpo: la guerra è padrona di tutte le cose, di tutte regina. Mentre alla fine è detto: alla guerra, là da dove tutte le cose provengono, tutte le cose ritorneranno, dopo aver restituito ai reprobi la loro malvagità, secondo l’ordine del tempo

G. Di Costanzo, I Nemici

Ma non solo.

La guerra non è una novità e non sparirà dalla storia, cambiano solo le armi e le sue dimensioni spaziali e temporali. Le configurazioni nazionali, continentali o globali. Le sue ragioni sono spesso economiche, a volte solo politiche o più semplicemente ideologiche. A innescarle sono quasi sempre le élite governative a subirle i popoli. In generale sono sempre un affare economico, le armi vengono prodotte e usate, le infrastrutture civili distrutte e ricostruite. I confini politici modificati, le nazioni o regioni annesse, dissolte o disgregate a volte eliminate. Le culture contrapposte, sostituite e mescolate. Le guerre vengono di volta in volta definite necessarie, giuste o di liberazione. Raramente si riconosce l’aggressione ma sempre ritenute difensive da qualcos’altro, reazione ad invasioni esterne, necessità di ridefinire i confini geopolitici non più corrispondenti agli effettivi interessi dei paesi coinvolti. Le guerre hanno poi bisogno di un nemico e di alleanze dando luogo a “blocchi contrapposti” con una finalità comune non sempre univoca e a volte patteggiata. Le ragioni storiche non vengono mai riconosciute, è più facile di volta in volta schermarle, nasconderle, cinicamente negarle. Dietro ogni guerra c’è un leader politico, la comunicazione interna o propaganda ma a volte, meno banalmente, una visione sistemica e spesso imperialista della comunità internazionale. Tutte le guerre hanno un “centro di gravità permanente” nel potere. Il confronto e la negoziazione, anche di interessi legittimi, non trovano posto nei conflitti bellici, siamo nel campo dell’istinto, dell’irrazionalità, c’è solo un obiettivo: annullare il nostro nemico per giustificare le proprie ragioni, meglio i nostri interessi. In questo contesto anche il concetto di verità vacilla. Ci sono tante verità in gioco e solo approssimativamente una verità storica si affermerà a posteriori. È solo il tempo a stabilire le responsabilità di una guerra sempre convivendo con le tante opinioni contrarie che sopravvivranno alla verità ufficiale. Perché inevitabilmente la storia la scrivono i vincitori. Il dubbio, dunque, è sempre legittimo? È certo che noi amiamo ciò che vediamo e ciò che vediamo non esclude che ci siano altre cose da vedere e il nostro giudizio è pur sempre filtrato da altri valori e credenze. Dobbiamo credere a ciò che vediamo o al dubbio su ciò che vediamo e ascoltiamo? Siamo sempre in grado di cogliere il “giusto” tra le tante possibilità di giudizio che abbiamo? La nostra esperienza è sempre limitata, la narrazione soggettiva, l’interpretazione influenzata. Da tempo viviamo nella logica della “razionalità limitata” dovendoci accontentare di una razionalità pur sempre solo “sufficiente”. Anche se abbiamo gli strumenti per accrescere la razionalità delle nostre scelte, delle nostre decisioni, attraverso l’accettazione di un principio fondamentale: la molteplicità. La pluralità scansiona le nostre vite e la nostra coscienza obbligandoci alla tridimensionalità delle nostre percezioni e convinzioni. L’essenziale è capire che i nostri convincimenti non sono ciechi punti di arrivo ma snodi verso mondi multipli, nuovi percorsi di conoscenza e visioni della realtà, tappe intermedie verso i diversi livelli di verità possibile.

Gli americani vogliono che noi continuiamo a combattere ma non per vincere, quanto piuttosto per logorare i russi

Mohammed Ismail Khan, comandante dei Mujaheddin afgani a Herat (1986)

A mio parere la guerra di Putin non è la sola.

Il conflitto regionale tra Russia e Ucraina è molto più di una guerra locale e affonda le sue radici nella notte dei tempi.

All’origine vi è lo scontro tra due mondi contrapposti: capitalismo e socialismo. Due modelli di economia: mercato e stato. Due concezioni della società: individualismo e collettivismo. Dopo la caduta del “muro” lo slittamento della Storia ha creato una divisione tra democrazie occidentali e democrazie autoritarie mentre dall’altra parte del globo prendeva il volo il “capitalismo di stato asiatico”.

Gli attori principali di questo teatro, USA, EU, Federazione Russa e Cina.

Ognuno di questi soggetti politico-economici ha avuto negli ultimi decenni la sua verità storica o “missione” da compiere: gli USA hanno “esportato la loro democrazia” puntando come sempre sulle “economie di guerra”; l’UE ha cercato un equilibrio impossibile tra neo-liberismo e welfare, indebitandosi inesorabilmente sui mercati finanziari; la Cina ha capito subito che in gioco non c’era più un’idea alternativa di società ma lo sviluppo economico perseguito in forma travolgente e compatibile con un regime assolutistico; la Russia è rimasta nel guado, non c’era più l’URSS ma neppure una completa dissoluzione del suo sterminato impero; potendo contare, nel passaggio ad “una così detta economia di mercato”, su immense risorse agricole nonché inesauribili risorse minerarie e aziende specializzate in diversi settori dell’economia; pur sempre caratterizzata da una crescita confusa e contraddittoria affidata a gruppi di potere.

Mentre i paesi dell’est Europa ex URSS sono stati progressivamente assorbiti nel bazar Occidentale per due evidenti ragioni: l’allargamento indiscriminato dell’unione europea ad est per estendere i suoi mercati e l’attrazione fatale di questi paesi verso le “democrazie consumistiche” occidentali; importando allo stesso tempo diffusi e contraddittori spunti nazionalistici, spesso in contrasto con gli stessi ideali e politiche UE.

Ritorniamo alla guerra di Putin.

In questo contesto un ruolo centrale ha svolto la NATO a trazione americana con la sua inarrestabile espansione verso l’Est europeo, dalla caduta del “muro” in avanti. È importante segnalare, a questo proposito, che i leader dei maggiori paesi della Nato avevano promesso a Mosca che l’Alleanza atlantica non sarebbe avanzata verso Est “neppure di un centimetro”. Una promessa, non scritta, smentita dai fatti, visto che da allora ben 14 paesi sono passati dall’ex impero sovietico all’alleanza militare atlantica. D’altronde l’omologo patto di Varsavia ha avuto fine il 25 febbraio 1991. Se la NATO ebbe come scopo originario quello di contrastare la minaccia dell’espansione russa in Europa nel dopoguerra, oggi le sue funzioni sono molto diverse; da un certo punto di vista non avrebbe più ragione di esistere, al compimento del suo obiettivo: la caduta dell’URSS. La sua sopravvivenza è dovuta al proprio tentativo di reinventarsi. La nuova missione globale post 11 settembre 2001 ha quindi modificato la natura della NATO: da alleanza difensiva ad alleanza offensiva, e ci sarebbe da pensare. Prima i Balcani poi l’Afghanistan e l’Iraq. Dunque, dai Balcani all’Asia centrale, l’atlantismo in marcia. Ora di nuovo contro la Russia, che Putin, dopo lo sfacelo della caduta dell’URSS, ha ricostruito, richiamandola ad un ruolo di protagonista sulla scena mondiale. Gli USA all’epoca avrebbero voluto una “caricatura” di paese ma Putin ha rimesso in piedi il gigante, con l’instaurazione di un sistema di potere in equilibrio tra un assetto di governo formalmente democratico e una pratica politica autoritaria. Fino all’idea di uno “Stato-civiltà” da opporre alla “natificazione” del mondo. In questo quadro, per capire anche meglio la voglia di annullamento dell’identità della Russia da parte americana, occorre ricostruire i successi della Putinomics. Nonostante la guerra delle sanzioni occidentali, ben prima dell’aggressione militare all’Ucraina, la Russia è sopravvissuta grazie ad una attenta governance di politica economica: stabilità macroeconomica, mantenendo bassi il livello del debito e l’inflazione, prima di ogni altra cosa. Salari più alti e crescita economica. In terzo luogo, ha lasciato che il settore privato migliorasse la sua efficienza ma solo finché non entrasse in conflitto con gli obiettivi politici.

Il ruolo dell’Unione europea non si capisce; siamo letteralmente colonizzati dalla coscienza americana anche per l’inesistenza un apparato difensivo militare autonomo, dovendo necessariamente appoggiarsi alla NATO legittimandola, di fatto, in ogni sua azione. Mentre è chiara la missione degli USA, deporre ove possibile “l’uovo del serpente” secondo “la genesi di una malattia mortale insediatasi nel corpo della storia”: il neo-liberismo e le sue regole; spesa pubblica notevolmente ridotta, la deregolamentazione, la globalizzazione, il libero scambio e le privatizzazioni. La distanza crescente tra ricchi e poveri a livello globale ne attesta il successo. Perché Il problema dell’economia mondiale non è la scarsità delle risorse, ma la mancata redistribuzione. A questo punto la Russia risulta sempre più stretta nella morsa del “pensiero unico” e costretta a tragiche scelte e decisioni, a volte irrazionali, perché accerchiata dalla NATO, che con la “guerra di Putin” prende due piccioni con una fava: indebolisce l’Europa e sembra riuscire a mettere “fuori dalla storia” la Russia, che l’Europa avrebbe dovuto inglobare in un disegno geo-politico più avanzato sul piano delle sia pur fragili democrazie occidentali. Su questo scenario complicato, un personaggio ambiguo e fortemente ultra- nazionalista come Volodymyr Zelens’kyj da anni armato e corteggiato dagli USA e Inghilterra, ed ora anche dalla UE, si prende la scena con la sua tuta militare, espone senza scrupoli il suo popolo alla distruzione della guerra, parla a nostro nome di terza guerra mondiale e viene applaudito dai parlamenti europei e, naturalmente, dal congresso USA.

Vorrei tacere per “carità di patria” sulla omologazione dell’informazione e dei politici nostrani, che condannando giustamente la guerra ne ignorano le ragioni storiche, tutti appiattiti sul confort del mainstream atlantista dominante e impropriamente rassicurati della necessaria “natificazione” del mondo.

Se la Russia cerca di rianimare invano il suo impero anche l’America sembra a fine corsa. Nei prossimi decenni il suo modello mondiale di sfruttamento delle risorse, basato sulle guerre con grande dispendio di energie belliche ed economiche, verrà molto probabilmente sostituito dal nascente modello economico cinese interno ed esterno, sintetizzabile nella metafora dell’”oceano”, di una vastità tale da sopravvivere a ogni tempesta.

La illusoria “terra dell’abbondanza” verrà sostituita da quella che Xi Jinping chiama la “prosperità condivisa? E il “nuovo colonialismo americano”, basato sull’occupazione arbitraria dei territori strategici, cederà il passo all’economia e agli investimenti esteri della Cina in un nuovo ordine globale che “tra gerarchia e mercato” rispolvera una vecchia strategia orientale come le funzioni integrative del “clan”? Sostituendo nelle relazioni commerciali mondiali alle incertezze del mercato e all’esercizio del potere, la strategia soft della “fiducia”.

Di fatto la Cina vuole stabilire un’alternativa all’assetto mondiale occidentale e liberale.

Resta il problema della guerra di Putin.

In una recente videochiamata tra Biden e il presidente cinese Xi Jinping, ricorrendo a Confucio, quest’ultimo ha detto “è di chi ha legato il sonaglio al collo della tigre il compito di toglierlo”.