Da leggere sottovoce, nell’intimità…

 

“Sulla riva del mare” di Abdulrazak Gurnah

“Oceano Mare” di Alessandro Baricco

“Il vecchio e il mare” di Ernest Heminway

“Quattro drammi sul mare” di Alexandre Dumas

“Ventimila leghe sotto il mare“ di Jules Verne

“Moby Dick” di Herman Melville

“Mare al Mattino” di Margaret Mazzantini

 

La lista è lunghissima, questa è solo un esempio, perché il mare non ha confini, non ha limiti geografici al di là di quelli imposti da se stesso…

Il mare è parte della mia vita, è parte dei miei ricordi da sempre, lo respiro con l’anima!

Mi manca se non lo vedo, se non lo sento.

Il mare è movimento, è apertura mentale, sono orizzonti che si perdono fino a che non vuoi tu.

 

Il mio mare per eccellenza è il mio Oceano Pacifico, potente, con onde che ti possono travolgere, con colori intensi e profondi, un blu che a volte è oscuro come la pece, ma anche un verdino trasparente e innocente pieno di luce, accogliente e pericoloso, con un forte odore mescolato di sale e alghe (il cochayuyo, immagine dell’articolo, alga commestibile ricca di iodio che predomina nelle acque del Cile, della Nuova Zelanda e dell’Oceano Atlantico), e con sabbie bianche e sottili, con grandi spiagge dove da piccola correvo ad immergermi sprofondando le mani dentro la sabbia per riscaldarmi.

 

L’oceano Pacifico è freddo! E’ potente, ti attira irrimediabilmente e ti fa paura, lo sai che è forte, che ti ingoia quando vuole.

Cullarmi sulle sue spesse acque giocando a fare la morta, è stata sempre la mia attività preferita in mare. Potevo, e lo faccio ancora oggi, stare a lungo, flottando, sentendo il mare sotto di me, profondo e denso, protetta come quando ero nel ventre della mamma, proiettata verso il cielo a sognare…

Il rapporto con il mare è un rapporto intimo, è qualcosa che avviene tra me e lui, tutto il resto non conta, è un tempo sospeso, mio, è un ritorno alle origini.

Mi è costato prendere confidenza con il Mediterraneo. All’inizio, il primo mare che ho “assaggiato” in Italia è stato quello della baia dello Scrajo, vicino a Napoli, e sentire l’acqua tiepida, senza onde forti, a volte quasi trasparenti mi sembrava strano, non ero abituata. Dopo, è venuto il mare di Ostia, tanti anni fa, con la sorpresa di tanta plastica abbandonata tutt’attorno, una brutta sensazione, e poi quello di Capri e le sue rocce, quello di Vulcano, con le sue acque sulfuree, e così ho imparato a lasciarmi portare, a cullarmi come avevo sempre fatto nel mio mare.

Recupero me stessa, ogni volta che posso farlo, senza confini, territori, frontiere, linguaggi che non siano quelli mie… assaporando una libertà infinita!

Di mari oramai, ne ho assaggiati tanti, ma ho capito che posso recuperare me stessa ogni volta che voglio, basta lasciarmi andare…dimenticandomi del quotidiano, delle incombenze pratiche della vita, delle preoccupazioni e delle piccolezze che ci mantengono così occupati durante le giornate, che sembrano sempre più corte, le ore a disposizione non bastano mai.

Sono tutte sciocchezze, tutto passa, tutto finisce, tutto cambia, l’essenza di me stessa resta a cullarsi sul mare… 

 

La famiglia e il mare, i ricordi d’infanzia, felici, spensierati, divertenti, lunghi periodi che si trascorrevano tutti insieme in vacanza, accumulando ricordi pieni di amore, gioia e felicità per gli anni a venire. Mio padre nuotava bene, stile libero, e ha insegnato a tutte le mie sorelle e a mio fratello a nuotare; essendo io nata quando i miei genitori erano già grandicelli – sono la quinta e ultima figlia- le lezioni di nuoto date a me sono state scarse, qualche volta in piscina sabato o domenica, pochissime volte al mare. Di fatto, non ho mai imparato a nuotare come si deve! Nuoto come mia madre, stile ottocentesco, di fianco, come una specie di sirena storta. Riesco ad essere molto veloce, ma non so respirare bene sott’acqua, dunque evito e mi arrangio, per così dire. Un rimpianto che non ho mai superato del tutto, ma che non mi ha mai impedito di godermi il mare o la piscina che sia!

Un costume da bagno blu marino con delle bretelle bianche, avrò avuto 10 anni circa e cominciavo a capire che la vita era altro, non solo i miei giochi da bambina. Ho una foto dove guardo l’orizzonte e sembra che già io intraveda terre lontane. Il mare, sempre il mare…

Il Mediterraneo, la cui caratteristica principale è stata sempre il suo calore, le sue acque tiepide ed accoglienti, si è trasformato nel cimitero di tanti corpi senza vita, di donne, bambini, ragazzi e giovani adulti e uomini che cercavano una vita migliore, ed invece hanno trovato solo la morte, rimanendo lì, dove nessuno più li può trovare. E così, il mare diventa paura, diventa terrore sconosciuto e lapide di tutti i sogni.

 

Chi sta a riva a prendere il sole, aspettando lo yacht che deve passare a raccoglierli, non può capire la paura del mare di chi non sa neanche nuotare, di chi non lo ha mai visto, non sa cosa significhi, ha sentito soltanto delle storie tramandate da quelli che sono stati fortunati e ce l’hanno fatta a tornare un giorno a raccontare come se la sono cavata. La strada dove li ha portato il mare è una strada piena di miseria, di umiliazioni, di corruzione e povertà, di dignità umana mancata.

Mentre il mio mare mi spinge a sognare, quel mare lì ammazza tutti i sogni, non dà scampo, ed io, questo, non lo vorrei sapere… 

Non ho lo yacht che venga a raccogliermi sulla riva del mare, e spero di poter assistere al giorno nel quale tutti potremo continuare a sognare, ricevendo sulla nostra pelle lo stesso sole caldo, sentendo lo stesso tepore e guardando allo stesso cielo…

 

La storia siamo noi…

Vorrei chiudere con un ringraziamento, che viene dal più profondo, all’Oceano Pacifico per averci restituito nostra madre!

Questo è un fatto realmente accaduto e che ha segnato la vita dei miei genitori e di tutti noi in famiglia, tanto che da piccoli – senza capire l’implicazione reale del fatto in sé – chiedevamo a nostra madre di raccontarci la “storia del Moraleda” come potevamo chiederle di raccontarci Cappuccetto Rosso o Biancaneve.

Intorno al 1938-1940, i miei genitori vivevano a Punta Arenas, la capitale della Regione di Magellano e dell’Antartide Cilena. Mio padre era il Direttore dell’Agenzia della Banca Centrale del Cile, erano giovani, con due figli piccoli (noi tre ultime figlie neanche minimamente immaginate) e le cose andavano molto bene.

Nell’inverno del 1940 (in Sudamerica Agosto è pieno inverno e Gennaio piena estate) mia madre era andata a Santiago per vedere la sua famiglia e all’epoca si viaggiava con delle navi passeggeri per una parte del lungo viaggio.  Al ritorno, dopo un mesetto, era in viaggio con il fratello più piccolo di mio padre, suo cognato Humberto Herreros Walker, visto che mio padre lo aveva convinto ad andare a cercare fortuna a Punta Arenas.

La nave, più che altro un “vaporetto”, era il “Moraleda” e quella sera d’inverno – una sera senza luna, oscura e con una fitta nebbia – a notte inoltrata, circa alle tre/quattro del mattino, purtroppo chi era al comando della nave non vide l’isolotto di Fairway, e così la nave in pochissimo tempo, si incagliò. Morirono 67 persone, compreso il fratello di mio padre, il cui corpo non fu mai recuperato. 

Si salvarono solo 33 persone, di cui 17 passeggeri di prima classe, e i 16 restanti tra viaggiatori della seconda classe e personale dell’equipaggio. Furono trovati sullo scoglio quasi nudi e congelati dal freddo da una nave norvegese – la prima ad arrivare – e messi in salvo, ma sfortunatamente, tra i morti si contavano anche tanti bambini di diverse età!   

E fu per nostra grande fortuna, che in quella grande tragedia accaduta il 03/08/1940 all’isolotto di Fairway, nello Stretto di Magellano, tra i sopravvissuti ci fosse mia madre!!!

Il giornale riportava che la signora Herreros, moglie dell’Agente della Banca Centrale era salva, ed un altro ancora parlava di Marta Urrutia de Herreros; mia madre si chiamava Maria Urrutia, però ho l’assoluta certezza che fosse lei.

Questa storia, che mi ha accompagnata per tutta la vita, ha preso tutta un’altra dimensione quando per curiosità scrivendo questo articolo ho fatto alcune ricerche in Internet e con la mia grande sorpresa ho trovato i giornali dei giorni successivi al naufragio che riportavano quell’incidente!

Vederlo così, come si suol dire, nero su bianco, mi ha fatto capire molto meglio la dimensione della tragedia che era toccato vivere a nostra madre e contemporaneamente mi ha riconfermato la sua grande forza e la voglia di vivere che lei ha sempre avuto!!!

 

Infatti, posso testimoniare di aver preso insieme a lei – senza alcun problema – il vaporetto per andare da Napoli a Capri, o anche la piccola barca per entrare alla Grotta Azzurra, malgrado avesse vissuto quella vicenda, durante la quale si era trovata – salva – a fianco di cadaveri che galleggiavano, senza poter fare nulla, riuscendo ad essere riportata dal mare all’interno della nave. L’unico indizio che si poteva avere, del segno che le aveva lasciato, era che preferiva dormire con la porta della camera da letto socchiusa, mai chiusa del tutto…

 

Per questo so bene che l’Oceano Pacifico è potente, duro, ma può anche essere misericordioso…   

L’acqua, il mare, è nascita … e rinascita!

 

L’ultima sorpresa, trovata anche in Internet: il figlio di una carissima amica di famiglia, scrittore, ha pubblicato un libro “Il naufragio del vapor Moraleda” de Fernando Sanhueza Olea Editorial Primeros Pasos