Avevo 14 anni. Mia madre mi disse di andarle a prendere il suo orologio, Corsi a cercarlo, lo trovai e lo feci cadere a terra. Non funzionava più. Lei ne aveva bisogno perché organizzava certi programmi radio per il Medio Oriente. Mi disse:

“Ne prenderò uno nuovo da Hausmann  al Corso. Fra due settimane mi daranno il mio riparato e darò a te quello nuovo che compro subito.”

 

 

Lo pagò 500 lire. Era molto bello. Quando lo ebbi al polso, lo guardavo per non fare tardi a scuola. La mattina quando mi svegliavo e in varie occasioni non lo guardavo molto a lungo, poi controllavo quanto fossi capace di   stimare che ora fosse. È un buon esercizio. Lo portavo sempre e, da ragazzo, misuravo il tempo in cui riuscivo a stare senza respirare: sempre sotto i 2 minuti.

Lo tenevo sul tavolo quando studiavo. Credo che l’esame più noioso che io abbia mai preparato fu quello di Tecnologie Speciali Meccaniche del Professor Oberziner a Ingegneria. I testi relativi erano lunghi parecchie migliaia di pagine. Ogni pagina delle dispense era scritta a mano in corsivo e riprodotta mimeograficamente. I margini erano ampi e venivano riempiti di note e richiami. Quando compravo testi già usati, rileggevo qualche nota presa da proprietari precedenti. Tendevo ad accelerare i tempi di lettura – in particolare per un volumone sulla metallurgia delle leghe metalliche ferrose e non ferrose. Guardavo il mio Hausmann e registravo quanti minuti mi ci volessero per leggere una pagina – e per scriverne un riassunto stilato a mano o battuto a macchina su una Lettera 22. Rileggevo solo quello  per il ripasso della materia. Lo Hausmann era strumento indispensabile per aiutarmi a sfidare me stesso e a ridurre quei tempi dedicati a formarmi una accettabile competenza in tecnologie poco entusiasmanti.

Nel quinto decennio del secolo scorso, la mia famiglia era poco danarosa. Mio padre era in pensione e l’Università spesso ritardava i pagamenti. Mia madre lavorava al Ministero per la Costituente. Mia sorella faceva lavoretti vari. Io avevo imparato il tedesco abbastanza bene ed incontrai il Prof. Luigi Gedda. Oltre che presidente dell’Azione Cattolica, faceva studi di genetica. Non sapeva il tedesco e nell’arco di vari anni mi diede da tradurre migliaia di pagine di articoli scientifici sulle malattie ereditarie e non ereditarie di gemelli uni-ovulari e bi-ovulari. Per capire quel che dovevo tradurre, studiai sulla Treccani decine di articoli di biologia, medicina e genetica. Anni dopo ebbi problemi medici a Zurigo e sorpresi quei dottori con la mia competenza.

Inizialmente guadagnavo poche decine di lire a pagina tradotta, poi arrivai a poche centinaia. Avevo poco tempo, perché continuavo a studiare. Il vecchio Hausmann mi era di continuo aiuto per misurare e aumentare la mia produttività. [è un concetto rilevante nell’industria e in economia). Anche trasformare  rapidamente strutture sintattiche tedesche  in quelle italiane è un buon esercizio. Serve a evocare un vocabolario vasto e a produrre rapidamente testi italiani: note, rapporti, articoli, utili  in ogni mestiere.

A quei tempi i cinturini erano di cuoio. Quando quello dello Hausmann defunse, ne comprai a La Spezia uno costituito da una lamina di acciaio inossidabile con una serie di fori e da una seconda lamina recante un dentino stampato che si impegna nel foro corrispondente alle dimensioni del polso. È un sistema sicuro e indistruttibile. Dopo più di sette decenni, funziona perfettamente. In caso di emergenza quelle lamine si possono usare per serrare viti o per svitarle o per raschiare superfici.

Anni dopo facevo il manutentore del primo grande computer usato in Italia al CNR. Portavo un camice bianco. Feci a pugni amichevolmente con un collega che, contro il mio cinturino, si procurò parecchie piccole  ferite alle mani. A ogni colpo che mi dava, lasciava una traccia di sangue sul mio camice. Poco dopo capitò un visitatore che mi chiese:

“Ma lei che fa? L’ingegnere o il macellaio?”

 

Pubblicato su L’Orologio, 28/6/2021