ll VIrus Corona/ Covid 19 e la guerra in Ucraina ci hanno tolto le poche esili certezze che ciascuno di noi maneggiava con cura su questo “stanco” Pianeta.

Solo piccole cose: memorie infrante e ricostruite con doveroso nastro adesivo.

Pensieri sottili come fili di refe infilati a forza nella cruna di un vecchio ago spuntato.

Sorrisi perduti in una notte di piena estate.

 

“Capitano, mio Capitano!”

Alfredo non sapeva disegnare. Non nelle sue mani risiedeva la sua arte. Raccontava che la sua inarticolatezza era tale che aveva appreso ad annodarsi le scarpe a diciott’anni compiuti. Era certamente una versione giocosa della storia, ma spiegava bene quelle linee sbilenche tracciate per descrivere il suo lavoro in nuce. Il suo talento nel ricreare la bellezza, il suo bisogno di armonia, la sua ansia di semplicità era tutto dentro la sua testa. Dentro il suo corpo. Quel suo corpo piccolo ma imponente, in quei suoi occhi azzurri, nel movimento delle sue mani, nel raccontare lento e pensoso della sua voce.

Il suo segno grafico aveva raggiunto un tale grado di personalità da venir riconosciuto al primo sguardo.

Una “cifra nel tappeto”. Non c’era bisogno della sua firma: i suoi lavori rappresentavano il suo mondo, la sua anima, il suo intelletto.

In un manifesto richiestogli dal suo amico e mentore Renato Guttuso si sosteneva per voce di Puskin “Descrivi senza fare il furbo”. Questo era ciò in cui Alfredo credeva sia nella sua amata professione che nella sua stanca vita.

 

 

“Azzurro”

La mia città sta sotto un cielo di un azzurro imbarazzante. E ad Aprile-Maggio dentro questo spasmodico colore comincia a prendere forma una figurina nera garrula e nervosa. C’è sempre una prima rondine come formica in avanscoperta. Poi sparisce per un breve tempo per ricomparire insieme alla famiglia, agli amici, ai vicini di casa e ai conoscenti. E’ solo allora che io so per certo che sono tornate le rondini, reduci da un lungo viaggio, sotto i tetti nei loro nidi.

 

“Un gatto all’opera”

Non conoscevo Alberto Mattioli, ma l’ho subito amato.

Mio nonno sfiniva tutti con l’opera lirica ed io ho dovuto impararla da lui. Cantavo notissime arie dalla Traviata e dalla Boeme, senza neanche capire ciò che dicevo. Quando un mattino arrivò in casa un ragazzo proveniente dalla “terra” del nonno con i frutti appena raccolti nei campi, fu torturato incessantemente dalla mia voce che gli cantava a squarcia gola “Amami Alfredo”, solo perché questo era il suo nome.

Tornando a Mattioli, quando l’ho sentito affermare : “I cantanti lirici si dividono in due categorie: la Callas e gli altri” me ne sono innamorata.

Nulla di più vero. La sua voce nella “Casta Diva” mi ha accompagnato per anni nella scrittura dei mie articoli.

Il suo talento non ha eguali. C’è lei e poi tutti gli altri.

 

“I ragazzi del Pallonetto”

Eccoli all’improvviso i ragazzi dei motoscafi Riva che trafiggono le onde nelle Bocche di Capri con il loro carico di Marlboro. Contrabbando alla Corto Maltese, belli come pirati, bande rosse nei capelli.

Luciani del borgo di Santa Lucia, che bacia gli scogli del Molosiglio.

Scugnizzi del Pallonetto, saraceni dagli occhi azzurri, normanni dagli occhi bruni.

Erano vento e sale.

Ora non più eroici naviganti ma sedentari venditori di morte e camorristi.

 

“Comme è bella ‘a stagione”

Quando arrivava Maggio, oltre alle rose dai profumi soavi sbocciavano i corpi delle ragazze: braccia nude, abiti col vento dentro e pelli bronzee. Avanzavano come su di un tappeto rosso circondate dai fischi degli “apprezzatori seriali”. Ragazze in fiore che coloravano la via spavalde, orgogliose delle loro fattezze.

I segni di ammirazione non erano ancora considerati molestie. Erano dolci nutrimenti dell’anima.

Poi qualcosa è mutato: i fischi troppo rabbiosi, le parole insolenti, le strizzatine d’occhi dissacranti, sono divenuti prodromi di violenza.

 

“Foreste”

Alberi dentro alberi. Foglie svettanti nell’aria. Senso di purezza e di storia. Il tempo è un albero che cresce incessantemente. Una palma sventrata ricorda la morte. C’è il gelso da carta, cinese, che splende di bacche rosate. E un muro di verde edera che si arrocca lungo la parete di tufo, ornandola di spirali simili a candelabri ebraici. La Foresta Amazzonica sta morendo come una strega data alle fiamme. Il verde è corpo vivo: si lamenta e grida. C’è ancora qualcuno che lo ignori?

 

 

“Nisiuti”

Pier Paolo morì in un giorno di festa ai primi di Novembre.

Era il 1975 ed io ero a Firenze.

In un autobus ripieno di turisti mi si parò davanti agli occhi una prima pagina di un quotidiano con un enorme titolo in neretto “Pasolini assassinato”. Pensai fosse una provocazione, tanto era inaccettabile una tale notizia. Quando mi fu chiara la realtà di quel “assassinato” per un lungo interminabile momento, durato un millennio, morii anch’io.

Pasolini era steso in terra, disfatto, abbattuto come un animale braccato.

Avrei voluto coprire il suo corpo profanato con il viola di glicini in fiore. Fargli sentire il profumo carnale di quegli esili petali.

Pier Paolo, fratello, amato, perduto Fratello.

 

“Un matrimonio possibile”

Una visione politica dell’esistenza è ciò che dà senso alla vita: è logica dentro la materia grigia, energia dentro il pulsare delle vene, ardore dentro il battito del cuore.

E’ ciò che controlla le scelte, anche le più semplici, le più naturali, dal cibo agli abiti, dalle letture agli affetti.

La scienza invece è L’Altrove, l’Immaginario, la Fascinazione. L’unica forma poetica del mondo.

E’ il luogo in cui si incontra l’inconosciuto, si trovano risposte alle domande, si sentono gli altri vivere, crescere, splendere. Il luogo in cui si aprono le porte della conoscenza.

Il fascino della scoperta scientifica è come una favola ascoltata per la prima volta da un neonato.

E’ un poema epico raccontato da Omero o da Shakespeare.

Insieme ad una Politica di buon senso, la Scienza salverà questo agonico Pianeta.