Intervista all’autore.

Siamo molto lieti di presentare una nuova intervista a Roberto Veronesi a distanza di tantissimi anni! La prima era stata fatta nel lontano 2008: “Intervista non convenzionale sulle differenze nell’azione manageriale tra staff e gestione: ne parliamo con Roberto Veronesi”.

Questo libro ci porta all’interno delle aziende dove “vivono” circa 18 milioni di persone che qui passano la loro giornata, si relazionano, pensano, producono. In fondo questo mondo lo abbiamo sempre esplorato poco, abbiamo raccontato storie “fantozziane” oppure scritto grandi libri di management ma la “vita reale”, le dinamiche personali sono state raccontate poco.

 

E’ un mondo vivo, può essere un mondo creativo, sano, costruttivo ma anche un mondo tossico pieno di frustrazioni. Da cosa dipende nella tua esperienza?

Il cosiddetto clima aziendale è dato da molti fattori come la situazione economica della organizzazione, dal settore, dal contesto, da fusioni o smembramenti, ma fondamentalmente dipende dalle persone che vi lavorano e in particolare dall’imprinting dei ruoli di vertice, dei capi, di coloro, più esposti e che devono dare l’esempio, creare condizioni perché si sviluppi la collaborazione e la creatività. Io ho avuto la grande fortuna di incontrare quasi sempre capi illuminati, ma non è sempre così

 

Quando si parla di “aziende” in realtà si deve considerare che le aziende le fanno le persone con le loro idee e i loro comportamenti. Come osservi l’azienda con il tuo libro?

Provo a osservarla uscendo totalmente dai canoni tradizionali, quelli che studiamo sui libri all’università o in svariati manuali di management (e che bisogna conoscere per capire, ci mancherebbe). I meccanismi che regolano la vita delle organizzazioni sono spesso sottovalutati o non colti. L’assunzione, il comportamento, la carriera, delle persone è spesso guidato da questi meccanismi.

 

Qualche esempio?

ne ho inseriti molti nel romanzo. Per esempio il nome delle persone, gli abiti che indossano, il fisico, la pausa pranzo, la mensa, come camminano, i colori delle pareti. Fate caso, è mai possibile che in un settore si chiamino tutti Fabrizio, Maurizio o addirittura Maurizio Brizio? O in un altro tutti portino gli occhiali? Tanti anni fa nel settore qualità di una azienda in cui lavoravo c’erano 8 persone, tutte bionde/i con occhi chiari meno uno. Molto bravo. Trasferito in organizzazione dopo 3 mesi. E se al vertice di una azienda sono tutti robusti, per non dire grassi, cosa ci fa uno magro? Verrà cacciato, è ovvio. O come e cosa mangiano. Mi fermo qui per non spoilerare altre osservazioni che spero risultino divertenti. Ancora qualche giorno fa ho conosciuto una persona a capo di una organizzazione molto importante che mi ha detto che voleva presentarmi i suoi collaboratori più stretti, poi si è fermata e ha detto “ma guarda si chiamano tutti Paolo, non ci avevo mai fatto caso”.

 

Parliamo del protagonista, di Ricardo. È un consulente, abbastanza giovane, in fondo non ha mai vissuto la vita di azienda ma decide di entrarci. Perché lo fa? Per ambizione? per curiosità? E come si accorge che la realtà è diversa da come se la aspettava?

Ricardo coglie l’occasione che si presenta. Ha 30 anni, è laureato, ha un master, è brillante e curioso. Un po’ per caso gli viene offerta una posizione molto interessante all’interno di un grande Gruppo che opera praticamente in monopolio ma che sta per vedere svanire questa posizione di privilegio e allora decide di sparare alto fa richieste importanti (retribuzione, prospettive di carriera) che gli vengono accordate. E così entra in gioco nel vero senso della parola, prima aveva lavorato da esterno, da consulente, da osservatore, da suggeritore. Assistente al direttore generale per favorire il cambiamento. Ha quindi una posizione privilegiata, un po’ dall’alto per osservare numeri, dati, incontrare persone. E per lui non è difficile capire che l’organizzazione deve fare in fretta per porre rimedio a una situazione che sta diventando critica, indici e numeri in calo, concorrenza alle porte, comportamenti rigidissimi, rituali sempre uguali ripetuti all’infinito. Si confronta con il direttore generale, ma ogni tentativo di modificare le regole incontra la resistenza passiva dei vertici, un muro di gomma che conosce un solo modulo di gioco, adotta quello all’infinito, incolpa il “mercato” delle performance in calo e non fa nulla per cambiare perché non vuole modificare il proprio status quo.

 

Mi sembra che Ricardo si scontri con un tema che troviamo spesso nelle dinamiche sociali, quello del “potere”, di un organismo dove le persone non sono tanto interessate a far crescere azienda nel mercato quanto piuttosto a mantenere ed accrescere il proprio potere…. quasi il mitico “Il potere logora chi non ce l’ha…”

Si si vero. Il potere e l’uso del linguaggio nelle organizzazioni permea il successo o l’insuccesso di una azienda e non esagero. Fammi fare una breve digressione. Come vengono, veniamo chiamati quando lavoriamo in azienda. DIPENDENTI, IMPIEGATI, SOTTOPOSTI. Sono tutte parole terribili che accendono nel nostro cervello determinate immagini. Non sarebbe meglio usare la parola PERSONE? Torniamo al potere. Non è né buono né cattivo ma ha in sé un portato negativo che può indurre a comportamenti negativi. Pensa all’iconografia classica del potere, potere = tirannia, autoritarismo. Mi piace molto di più pensare e usare la parola responsabilità. Chi è a capo di una struttura ha la responsabilità, più che il potere. Ricardo si scontra con il potere, quello che decide del futuro delle persone e della azienda, quello che richiede ubbidienza, e le tre d, dedizione, delazione e devozione a prescindere, che controlla tutto, che fa si che tutto cambi perché nulla cambi. Il potere nella sua versione brutta

 

Per un po’ Ricardo si diverte, mette in piedi diverse iniziative che vogliono creare un clima nuovo, più ingaggiante per le persone, ottiene qualche successo tra le persone e scatena qualche invidia. Nella realtà però non entra appieno nelle regole per cui viene chiamato dal Direttore Generale che lo striglia un po’ e lo mette di fronte ad una scelta: o si integra nella cultura dell’azienda o lascia perché non può cambiare una organizzazione senza farne parte….. è un po’ un punto di svolta per il nostro protagonista.

E’ uno dei passaggi chiave del libro. E’ vero, Ricardo si diverte perché gli sembra di essere entrato protagonista di una telenovela o di una fiction diremmo oggi, ogni giorno una nuova puntata con personaggi molto caratterizzati. Ricardo ha la capacità di vedere se stesso e gli avvenimenti in terza persona. Ricardo ha evidenziato al dottore problemi e ipotesi di soluzione comportandosi da consulente, criticando valori pensieri e comportamenti dominanti. Il dottore sa che ha ragione e condivide, ma con il suo approccio pacato gli fa capire che o si mette a giocare e a partecipare dall’interno o non può fare il censore esterno e basta

C’è una bella vignetta in circolazione sul cambiamento. In un primo momento c’è il popolo che lo invoca ma quando ci si accorge che il cambiamento può toccarci cercano tutti di scappare.. in tutto questo contesto c’è una figura, il Direttore generale che viene sempre chiamato “il dottore” che è un secondo attore protagonista almeno della prima parte del libro, cerca di portare il cambiamento ma viene osteggiato dalle persone in completo beige presenti in azienda e alla fine finisce in un loculo adibito ad ufficio quando viene fatto fuori proprio per i tentativi di cambiare lo “status quo” perché, come nel calcio, paga l’allenatore…

E’ proprio così, a parte il fatto che bisogna sempre dire cambiamento verso cosa. Cambiare costa fatica e implica modificare in tutto o in parte le nostre zone di comfort. Ma cambiare deve essere un principio di vita per non fare la fine della rana bollita

 

Emblematica della resistenza al cambiamento la vicenda del “giornale interno”: ce la racconti?

Certo, siamo agli inizi degli anni 90, albori di telefonino e internet. Non esistono intranet, gruppi whatsapp, teams ecc. Siamo nell’epoca degli ”Illustrato Fiat” per capirci e Il dottore decide, per rendere più trasparente e più informata l’intera organizzazione di lanciare un house organ, un giornale aziendale, Parliamo di una organizzazione con circa 5.000 persone. L’idea, fintamente piace a tutti, ma in realtà la parte più conservatrice della dirigenza la osteggia in tutti i modi. Nella progettazione e realizzazione di questo progetto, che a Ricardo piace moltissimo, incontra persone gradevolissime, un po’ ai margini, ma con cui stringe rapporti di fiducia e di amicizia. La realizzazione dell’house organ procede tra mille difficoltà fino a quando Ricardo, rimasto solo per motivi che non racconto per non anticipare troppo la storia, si trova a dover decidere. Decidere se proseguire e portare a termine in qualche modo il lavoro o lasciare stare, fermarsi. Le due decisioni inevitabilmente comportano conseguenze diverse. Potere e responsabilità …

 

Una domanda secca che prende spunto dal titolo: Come mai è importante ridere in azienda?

E’ importante ridere nella vita. Cercare il lato positivo di ogni cosa. Il lato leggero, che non vuol dire sciocco. Penso alla leggerezza di Calvino. Ridere fa bene alla salute, ridere libera la fantasia e la creatività, fa bene agli altri, aumenta le energie è contagioso, è produttivo, riduce lo stress e la fatica. E’ un atteggiamento mentale, siamo noi a decidere di fronte a ogni cosa se vedere la parte negativa o quella positiva. In azienda allora è fondamentale ridere per capire, per approfondire, per non prendere e non prendersi troppo sul serio, per lavorare in armonia. Per fare cose serie e importanti con leggerezza e Capita spesso di presentare un progetto, una idea, una iniziativa e vedere due atteggiamenti diversi, chi ne vede subito e solo possibili difficoltà e chi si entusiasma e approfondisce per poi evidenziare le criticità Il secondo tendenzialmente è più capace di ridere.

 

In fondo questa entità “l’azienda” è uguale dappertutto, leggendo il libro mi è sembrato di conoscerle le persone di questo libro. La domanda è: come si fa a restare se stessi dentro ad una cultura che ha le sue logiche? Alla fine anche Ricardo si piega per ottenere la dirigenza, si veste di marrone e si taglia i capelli, a prezzo di grandi sofferenze anche fisiche..

Il primo passaggio è quello di capire bene la cultura e i valori di una organizzazione. Se cultura, valori, comportamenti sono coerenti con la persona o sono simili, non ci sono problemi. Se sono diversi, molto diversi, ci sono diverse opzioni. Prima di tutto riconoscere che non sono giusti o sbagliati, sono diversi. Poi chiedersi se posso contribuire, suggerire a cambiare per migliorare i risultati, il clima ecc. Poi ancora adeguarsi o rimanere se stessi con grande consapevolezza. Infine andarsene, se si può. L’importante è essere consapevoli. Tornando a Ricardo, si decide di adeguarsi completamente con l’obiettivo di fare carriera in fretta di salire, risalire ai vertici della organizzazione, da dove può finalmente agire con più leve per indurre l’organizzazione ad adeguarsi a un contesto in forte evoluzione. E’ uno sforzo psico fisico per lui sovrumano e ne pagherà le conseguenze, ma sarà anche un grandissimo insegnamento per la vita

Credo che se un insegnamento lo si può trarre da questo libro è che lavorare nelle aziende con leggerezza aiuta a star bene…

Ma certo, è proprio quello che dicevamo prima. Nelle organizzazioni qualsiasi organizzazione, facciamo cose importanti ogni giorno. Molto serie che hanno effetti su altre persone, sul futuro nostro e dei nostri cari, sui clienti, sull’ambiente. Risultati impegnativi e obiettivi da raggiungere. La differenza la fa il come. Dall’atteggiamento mentale, dalla ricerca costante del lato positivo, dalla capacità di vedere le cose in terza persona, dal chiedersi, se fosse una fiction e i personaggi fossero … cosa succederebbe se?

 

Un accenno a qualche personaggio del libro come il mitigo Tartaruga sempre vestito con tonalità del marrone o la scena del corso outdoor dove i partecipanti devono fare la prova di fiducia ma finiscono a terra massacrati….

Tartaruga è un personaggio classico di molte organizzazioni, tanto che più di una persona che ha letto il libro mi ha detto che ha riconosciuto questo o quell’altro. Tartaruga è il totem, il simbolo, l’essenza della cultura. Esiste in ogni azienda. Nel nostro romanzo veste di marrone sempre, ha i calzini bianchi, è vanitoso, il collegamento tra l’azienda e la politica, tra i vertici e i reparti più operativi, sa tutto di tutti in termini di pettegolezzo, gossip, vicende familiari, i potenti si appoggiano incondizionatamente su di lui e tutti lo temono e quando Ricardo lo incontra va in panico, fino a quando si ricorda che è stato consulente e allora adotta tutte le tecniche adulatorie per entrare in fiducia con lui. L’outdoor è un episodio che ho vissuto in prima persona e che ho inserito nel libro, preferirei non raccontarlo e lasciarlo al gusto del lettore

 

Il libro è ambientato in un contesto anni 90 e poi inizio 2000. In questi ultimi anni abbiamo visto, complice la pandemia, nascere nuove forme di lavoro come il lavoro a distanza o ibrido che stanno cambiando profondamente anche le logiche. Anche la fedeltà all’azienda, il mitico “posto fisso” di Checco Zalone che accetta di andare al Polo Nord pur di mantenere il posto è entrato in crisi e si vede una mobilità incredibile dei giovani. Le logiche che descrivi nel libro sono ancora valide o sono destinate a mutare?

E’ cambiato tanto, le condizioni al contesto sono molto diverse e costringono a cambiare. Attenzione all’ambiente, a nuovi valori, le modalità operative, la pandemia e il conseguente smart working appunto hanno fatto saltare assiomi che sembravano inossidabili come il controllo fisico, l’orario rigido ecc. Come dice Baricco abbiamo fatto un salto di 5 anni. Soprattutto i giovani si spostano con una frequenza e facilità estrema, alcuni lasciano il lavoro fisso per avere più tempo per sé. Il fenomeno degli abbandoni è un trend in crescita. I capi intermedi vedono perdere di significato il proprio ruolo di controllori. Si tratta di trend. Il mondo del lavoro però è molto variegato e confrontandomi con molti colleghi e rappresentanti di varie associazioni, ecco diciamo che comunque le organizzazioni esprimono ed esprimeranno una loro cultura, valori e comportamenti dominanti

 

Domanda a bruciapelo: ma Ricardo sei tu?

Ricardo siamo noi, quando siamo entrati in una organizzazione. Ricardo sono io quando racconto episodi che ho vissuto in prima persona. Ricardo è l’io curioso di tutti noi che vuole capire e non si da per vinto, che gioca la sua partita senza fare fallo se non quando proprio deve e senza rinunciare a essere se stesso

 

ll libro termina lasciando lo spazio ad un seguito: la storia di Ricardo termina qui o continuerà?

Continuerà perché Ricardo, in un modo o nell’altro, rimanendo se stesso, ma non rivelo il finale a sorpresa, finirà con ricoprire una posizione di vertice assoluto in una fabbrica. A quel punto comincia per Ricardo una nuova storia. A quel punto avrà potere di e responsabilità di e sarà interessante capire se ha imparato e come si comporterà ora che è lui a guardare dall’alto e dare l’esempio. Ora ha tutte le leve in mano per agire.

 

NB: Il libro è disponibile su tutte le piattaforme online (Amazon, Mondadori, Feltrinelli ecc.) e ordinabile in libreria.