La libertà non è star sopra un albero

non è neanche un gesto o un’invenzione

la libertà non è uno spazio libero

libertà è partecipazione. (da Gaber)

 

cantavano attori e spettatori nel finale di un mio spettacolo tanti anni fa a Palermo, e ci si credeva tutti o forse lo si sperava tutti.

 

Ripensandoci.

Non appena cominciamo a camminare e a capire come e quando riusciamo a soddisfare i nostri bisogni elementari di base ci mandano a scuola.

Speravamo finalmente di scoprire il mondo e conoscere altri esseri simili a noi, invece zitti e buoni, salvo momenti prestabiliti. Zitti e buoni ad ascoltare principi preconfezionati, impararli a memoria, essere sottoposti a ricatti di note cattive e bocciature. A scuola apprendiamo  che non si deve esercitare lo spirito critico, e che si devono imparare a memoria le verità che l’insegnante ci presenta esattamente come sono, senza discutere.

Giunti poi  ai 13 anni è necessario scegliere liberamente  in prospettiva del lavoro che vorremmo fare da grandi. Cioè  iniziano a catalogarci e a etichettarci. Non esiste un corso di studio il cui scopo sia far esprimere il vero potenziale di ogni essere umano. Si chiede solo che scuola e università sfornino macchine programmate per svolgere un preciso ruolo. Gli studenti devono convincersi  nella maniera più assoluta che non possa esistere un’altra realtà, altrimenti non sarebbero più disposti ad accettare in modo libero e volontario le assurdità dell’odierna società.

 

Parentesi

Stiamo vivendo un clima eccitato, eccitante, plumbeo di riforme, controriforme, restaurazione, ipocrisie, falsa modernità, neoliberismo implacabile, veloce e accelerata mobilità fisica e intellettuale. Sembra tutto sia in movimento. C’è però qualcosa assolutamente immobile da una eternità. Da dopo la fase peripatetica la scuola non ha fatto un passo, indietro o avanti. Immobile come una pietra miliare nei secoli e millenni, nonostante tutto.

Sarebbe invece ora di cominciare oggi a rivedere, anzi reinventare l’educazione delle persone che tra dodici, quindici o vent’anni dovranno essere in grado di trovare la propria collocazione nella vita che avranno scelto di trascorrere. Questo tenendo conto delle trasformazioni a cui sta andando incontro l’umanità intera.

La revisione della terminologia e delle metodologie è una delle cose da fare con urgenza. Docenza, didattica, formazione, formatore, professore, cattedra su pedana, orario, registro, prova, interrogazione, appello. Piena obsolescenza e talvolta presunzione e arroganza.

La parola scuola deriva da “skhole”, la parola greca per “tempo libero” o “riposo”. L’origine e le implicazioni della parola erano orientate a discussioni e risposte provvisorie a “come dovremmo goderci al meglio la nostra vita?” L’educazione originariamente mirava a guidare le persone a trovare il proprio scopo nella vita.

Oggi, l’obiettivo dell’educazione sembra essere esclusivamente quello di apprendere le abilità per consentire di guadagnare uno stipendio e quindi il diritto di vivere. Purtroppo, questa continua evoluzione verso un’istruzione orientata alla vendita del proprio tempo sembra non debba terminare mai – non c”è alternativa nel futuro dell’istruzione. Sembra che sia necessario rivedere lo scopo dell’istruzione.

Piuttosto che incoraggiare la creatività e l’immaginazione, sembra che le scuole insegnino agli studenti a eseguire esercizi ripetitivi e guidati da regole, proprio le attività in cui le macchine sono più efficaci ed efficienti degli umani. Questo modo di fare educazione è addirittura entrato a far parte della nostra cultura. Quello che è certo, invece, è che tutti noi abbiamo la capacità di essere altamente creativi. La prova di ciò si trova nel parco giochi. In sostanza, guardare i bambini mentre giocano rende evidente che tutti hanno una capacità di immaginazione e creatività. Il motivo per cui in genere perdiamo questa capacità da adulti risiede certamente nell’attuale sistema educativo.

 

Ed ecco che dopo altri cinque anni abbiamo un’altra libera scelta da fare: continuare a studiare o andare a lavorare. Continuare a studiare forse non possiamo permettercelo e quindi sempre liberamente cerchiamo il lavoro. Prima il lavoro che ci piacerebbe fare poi, dopo un po’ di tempo, un lavoro qualsiasi. Dopo mesi di libere ricerche, finalmente riusciremo a trovare un lavoro e saremo liberi d’iniziare a lavorare. A questo punto ci si rende conto di non avere più tempo per fare niente al di fuori dell’ambito della propria attività lavorativa. Il lavoro diventa la vita e la vita diventa il lavoro. Ci si chiude liberamente per otto dieci ore al giorno per almeno quaranta anni. Lavorare piace tanto che si sfruttano tutte le occasioni per non farlo. Il lunedì mattina poi non si vede l’ora di tornare al lavoro. Sindrome della domenica caratterizzata da apatia, ansia, angoscia, insonnia, difficoltà di concentrazione, lacrimazione agli occhi e tensione muscolare.

 

 

La teoria X

La Teoria X, che riassume l’approccio tradizionale ai problemi di gestione delle risorse umane e che Douglas McGregor ritiene maggiormente diffusa nelle pratiche manageriali del periodo considerato si basa su alcuni ben identificati presupposti:

L’uomo medio ha un’evidente ripugnanza per il lavoro e, se possibile, ne fa volentieri a meno. In base a questa considerazione i dirigenti si preoccupano di porre l’accento sulla produttività del lavoro, sui danni di un basso rendimento, sulla riduzione della produzione e sui premi di produzione, in breve la direzione deve fare di tutto per opporsi alla tendenza connessa alla natura umana di evitare il lavoro.

A causa della caratteristica umana di detestare il lavoro, la maggior parte delle persone deve essere costretta, controllata, comandata, minacciata di punizioni, allo scopo di far si che realizzi uno sforzo adeguato per il conseguimento degli obiettivi dell’organizzazione. La ripugnanza per il lavoro è così forte che neanche la promessa di un’adeguata ricompensa può essere sufficiente a superarla. Solo la minaccia di punizioni otterrà l’effetto voluto. Conseguenza di questo atteggiamento è una tendenza alla centralizzazione del potere.

L’uomo medio preferisce essere diretto, cerca di evitare la responsabilità, ha ambizioni relativamente scarse, desidera sopra ogni cosa la sicurezza (da Il giornale delle PMI)

 

Parentesi

Durante l’antichità, il lavoro era riservato a servi, servi e schiavi, in modo che altre classi sociali potessero fare altro. Il lavoro è un’invenzione recente. E sembra proprio che gli umani rifuggano da questa attività quando e come possono. Tuttavia, la società e la nostra cultura ci condizionano a definirci in base ai lavori che svolgiamo. L’aspirazione alla corsa al successo non sembra far parte della natura umana. I bambini dai 5 ai 10 anni chiedono spesso ai genitori “perché devo lavorare?”.