Qual è il fine ultimo di un’opera d’arte o dell’attività di un artista?

«L’arte è opera del genio e ha il fine di cogliere idee eterne per poi riprodurle e comunicarle all’interno di diverse forme espressive, come l’architettura, la scultura, la pittura, la poesia», la musica.

Su questa definizione di  Schopenhauer possiamo trovare l’accordo di molte intelligenze.

Anche la politica deve avere la sensibilità per individuare le idee eterne, gli archetipi, e il suo compito è trasformarle in agire sociale. Quindi anche la politica è, può essere, deve essere, arte

Il pensiero di Arthur Schopenhauer (1788-1860) prende spunto da una netta presa di posizione contro la filosofia hegeliana e si sviluppa a partire dalla rielaborazione di alcuni temi kantiani sfociando in una complessa visione metafisica della realtà che costituisce il presupposto imprescindibile per comprendere la sua concezione dell’arte.

Hegel vuole dimostrare che la storia segue i dettami della ragione e che quindi sia possibile una filosofia della storia che riveli come il progresso storico mondiale sia dovuto al procedere dialettico e quindi allo svolgimento nella storia dello Spirito assoluto.

Alla visione hegeliana della storia come progressiva rivelazione e comprensione di sé e dello spirito attraverso il superamento dialettico dell’esteriorità, Schopenhauer contrappone, nella sua opera principale, “Il mondo come volontà e rappresentazione” (1819), quella di un mondo interamente mosso e dominato da un principio irrazionale, la volontà.

“La sua origine unica è la conoscenza delle idee; il suo unico fine, la comunicazione di tale conoscenza.”

Questa definizione dell’arte di Schopenhauer può tranquillamente essere ri-letta come la definizione della scienza della politica.

La sua trasposizione nel reale, il passaggio della conoscenza delle idee in comportamenti coerenti, diventa il fine della politica.

L’attività politica può essere vista, anzi deve essere vista, come un’attività artistica. Infatti il suo compito è gestire le risorse e le opportunità per generare felicità e benessere. In sintesi creare armonia, equilibrio sociale, cioè bellezza.

Tutte le discussioni sulla bellezza e il suo significato sono iniziate nell’estetica greca e si basano fondamentalmente sulla visione del mondo dei filosofi dell’epoca, secondo cui la vita e l’arte sono fondate su equilibrio, simmetria, armonia e proporzionalità.

Socrate, uno dei tre principali pensatori dell’antica Grecia (V secolo – 470 a.C.), credeva che la bellezza fosse il risultato di una condivisione degli occhi e delle orecchie, ossia qualcosa di percepibile attraverso i sensi.
Secondo Socrate, “il bello è l’utile”, cioè la bellezza non è associata all’aspetto di un oggetto, ma a quanto questo risponde ad una funzione. In questo senso la bellezza ha un carattere pratico, come risultato di un prodotto o di una situazione concreta.

Per il filosofo greco Platone, (Atene 427 a.C. – Atene 347 a.C.) la bellezza non dipende da chi la osserva, è universale, perché è contenuta nell’oggetto stesso, nella creazione.

Per Platone tutto ciò che esiste nel mondo sensibile (imperfetto) è una copia di ciò che si trova nel mondo intelligibile (perfetto).

In uno dei suoi miti più noti, il mito della caverna, raccontato all’inizio del libro settimo de La Repubblica, viene presentata una chiara allegoria su come la nostra percezione di ciò che chiamiamo realtà sia il prodotto di una costruzione soggettiva, spesso influenzata da un “inconscio collettivo” che ci condiziona e imprigiona.

Aristotele, discepolo di Platone, aveva un altro concetto di bellezza. Per lui un’opera poteva essere considerata bella solo se era in grado di promuovere la catarsi nei suoi ammiratori.

Per Aristotele la catarsi era la  purificazione dalle proprie passioni di chi assisteva alla rappresentazione di una tragedia, poiché l’arte drammatica era per lui imitatrice della realtà e, riproducendone fatti gravi, sanguinosi o luttuosi, li “sublimava” in un sentimento di pietà e di terrore insieme, ponendo in qualche modo rimedio alle angosce quotidiane.

Dopotutto, era attraverso il teatro tragico che la gente rifletteva su ciò che l’opera mostrava, a differenza della commedia che, sebbene divertente, non promuoveva la riflessione, ma solo uno stato di “entusiasmo” temporaneo su condizioni umane poco nobili o, addirittura, inopportune secondo la società greca classica.

In questa concezione, la catarsi non è altro che la purificazione dell’anima e delle idee di un’opera d’arte e, per Aristotele, la catarsi avviene nella tragedia!

Il concetto di “tragedia” ci trasporta dal concetto di politica in senso generale all’attuale situazione di governo in Italia: appunto, una tragedia!

La politica è bella e genera bellezza se crea armonia, equilibrio, simmetria. E’ questo il suo compito.

Il ruolo della politica: gestire il benessere

Partiamo da un dato storico rilevante, “fattuale”, direbbe Vittorio Feltri. Per secoli e millenni (con qualunque regime) l’umanità ha avuto una vita breve (media di 33 anni) e grama, è rimasta povera, analfabeta, con poco cibo.

La politica (l’insieme delle scelte di chi, in genere un elité, sta al potere) non produce ricchezza, ma distribuisce quella, poca o molta, che un paese riesce a creare con il lavoro dei suoi abitanti e con le tecniche di cui dispone.

Tutto è cambiato solo ed esclusivamente per l’apparizione (prima lentamente, poi, man mano, più velocemente) di tecniche e conoscenze che hanno permesso a chi ha avuto la capacità di utilizzarle, di migliorare la propria vita e quella del proprio paese.

E’ la disponibilità di questi strumenti che consente alla politica di svolgere il suo importante ruolo: gestire la crescita.

Ovvero utilizzare al meglio le risorse disponibili e le opportunità che scienza, tecnologia ed educazione hanno generato.

Questi tre motori della crescita hanno completamente rivoluzionato l’agricoltura, l’industria, i servizi, creato enormi quantità di energia, moltiplicato il reddito, dimezzato le ore di lavoro, raddoppiato e più la speranza di vita, fatto esplodere la popolazione, quasi azzerato la mortalità infantile, tutelato gli anziani con le cure e la pensione, portato nella scuola e nell’università masse di giovani prima analfabeti, liberato la donna (e l’uomo) da una condizione di sudditanza, creato le premesse per la democrazia, inventato nuove forme di comunicazione a distanza, rilevato una buona parte delle leggi della natura, esplorato l’origine della vita, il funzionamento del cervello, sviluppato macchine intelligenti per calcolare, simulare, programmare.

Questo cambiamento profondo, massiccio, rivoluzionario è avvenuto nell’arco di poche (tre, quattro) generazioni.

 

La reazione della politica

La domanda diventa: in quale misura questo cambiamento è entrato nella nostra cultura? e come è stato gestito dalla classe dominante e, più in generale, dalla politica?

La politica è un’arte e come tutte le manifestazioni artistiche deve generare bellezza che è il frutto della capacità di creare armonia ed equilibrio.

Cosa c’è di armonico ed equilibrato in questa, spietata quanto inutile guerra della Meloni (e della destra affarista che rappresenta) contro i poveri; di togliere, derubare, i poveri per dare ai ricchi? Di promuovere il modello culturale dell’evasore fiscale? dell’uomo d’ordine, del patriota che non rispetta le regole ma che pretende che vengano rispettate da chi ha un livello economico basso?

La politica deve iniettare bellezza nella vita reale delle persone, deve redistribuire per aumentare le potenzialità di creazione di ricchezza, e viene valutata dal tasso di felicità che produce.

Deve passare dalla “brevimiranza” alla “lungimiranza”.

Purtroppo siamo in un periodo, in Italia, dove la politica ha rinunciato a creare bellezza, dove gli attori della politica non sono artisti, magari pasticcioni, o visionari, ma affaristi, malfattori, delinquenti, evasori.

Grazie Letta!

 

POST SCRIPTUM

Non ci rimane che confidare nell’incompetenza che largheggia nel governo e nell’arroganza che si respira a palazzo Chigi.