Ieri ho sognato di vedere Dio e di parlare a Dio;

e ho sognato che Dio m’udiva…

Poi ho sognato di sognare.

Il labirinto e i sogni sono le due chiavi di accesso all’opera di Jorge Luis Borges.

Ma se il labirinto è il mondo… i sogni sono la via d’uscita?

Nella sua arte pura, di cui è inoppugnabile maestro, Borges mescola spesso realtà e sogno così come l’immagine del labirinto non è altro che la metafora di un mondo complesso sull’orlo del caos.

Rimaniamo sul sogno, attraverso il racconto Le rovine circolari in “Finzioni” (1944), nel quale, un uomo sbarca su un’isola e vuole provare in tutti i modi a creare una persona sognandola. Scrive Borges, “Il proposito che lo guidava non era impossibile, anche se certamente sovrannaturale. Voleva sognare un uomo: voleva sognarlo, con minuziosa completezza e imporlo nella realtà”. È il sogno della creazione: arte? Soggettività? Impresa? Tutte le opzioni sono possibili. Ma il sogno di una realtà perfetta si rivela al protagonista come fallace, quando questi scopre, nella trama del racconto, che la sua realtà è solo il sogno di un altro uomo. Borges sembra interrogarsi e interrogarci… siamo noi che viviamo o siamo solo da altri sognati? E dunque fin dove la nostra vita è reale? Così come interpolata tra sogno e realtà. Non a caso intervistato sul “Libro dei sogni” (1976) egli afferma “Questo libro di sogni, che i lettori torneranno a sognare, comprende sogni della notte – ad esempio quelli firmati da me – sogni del giorno, che sono un esercizio volontario della nostra mente, e altri sogni, di cui s’è persa la radice”1.

D’altronde il suo destino di scritture incise nella “sabbia” è già noto a sé stesso agli albori del suo percorso artistico quando afferma “Sapevo che il mio destino sarebbe stato quello di leggere, di sognare, forse di scrivere, ma questo non è essenziale. E ho sempre pensato al paradiso come a una biblioteca, non come a un giardino. Significa che ho sempre sognato” (Jorge Luis Borges, Conversazioni americane, 1982).

Neppure, Borges fa molto differenza tra sogni, sonno e veglia, leggete questa sua affermazione:

La differenza sta nel fatto che il sogno è una creazione. Naturalmente anche lo stato di veglia può essere creativo […]. Nel caso del sogno si sa che tutto viene creato da noi stessi, mentre nello stato di veglia molte delle cose che vi accadono non vengono da voi, a meno che non crediate perdutamente nel solipsismo. […] La differenza fondamentale tra lo stato di veglia e il sonno, o il sogno, risiede nel fatto che l’esperienza onirica è qualcosa che può essere generato, creato, da noi, sviluppato da noi. […] Quando si sta creando una poesia, c’è poca differenza fra essere svegli ed essere addormentati, […] è come se fossero la stessa cosa” 2.

Anche il lettore è coinvolto nel sogno, se è vero che a sua volta interpreta, rielabora, rivive la scrittura di Borges, che è anche un abile riscrittore, attraverso una personale interpretazione attualizzante di testi classici antecedenti.

Insomma, anche per l’uomo comune, il “non- artista”, che alterna il ciclo naturale tra veglia e sonno, il sogno sognato o il sognare ad occhi aperti possono essere i due volti del desiderio, di quanto perduto o agognato, ricordo o premonizione che sia.

Spostiamoci, a questo punto, sul tema del labirinto, spesso evocato nella letteratura Borgesiana, il cui esempio più emblematico è certamente il racconto Il giardino dei sentieri che si biforcano anch’esso contenuto nella raccolta di Finzioni (scritti tra il 1935 e il 1944).

La trama è essenziale ma le conseguenze molteplici e inesplicabili, trattandosi della sua più celebre e importante parabola sul tempo e sulle sue diramazioni. Il protagonista è un militare tedesco. Siamo nel 1914 durante la Prima guerra mondiale. Il soldato ha una missione da portare a termine ma solo nel finale si capirà quale essa sia. L’intera narrazione è posta sotto forma di un enigma il cui mistero viene svelato solo alla fine.

D’altronde l’onnipresente concetto che troviamo di continuo nelle opere dello scrittore argentino è “la vita come un labirinto”. Con un filo comune, ovvero la continua ricerca del significato più profondo dell’esistenza, mentre il suo obiettivo è “cogliere l’ambiguità e il fascino di situazioni e personaggi al di là delle apparenze”. Spesso poi le apparenze si fanno sostanza e la stessa sostanza si dissolve in successive apparenze.

Il racconto è, dunque, caotico, ambiguo, scegliere una strada non è l’unica soluzione, perché ogni volta che un uomo si trova di fronte a diverse alternative, opta per una di esse ed elimina le altre, che gli sopravvivono, creando così diversi futuri, diversi tempi, che a loro volta proliferano e si biforcano. Di lì le perenni contraddizioni delle scritture e della vita.

In definitiva, in questo immaginario racconto non vi è selezione tra possibilità alternative perché tutto ciò che è possibile si realizza in differenti linee di universo, ecco perché si parla di “sentieri che si biforcano”, creando una biforcazione temporale.

Il tema centrale del racconto è, dunque, il tempo… “mi ritiro a scrivere un libro” equivale a dire “mi ritiro a costruire un labirinto” non reale o fisico in quanto il labirinto è il libro, che comprende tutte le possibilità, in quanto “il tempo, che non è uniforme, si biforca perpetuamente verso innumerevoli futuri”.

Resta da definire il rapporto tra il labirinto e il sogno.

All’inizio si è detto che l’uscita dal labirinto è il sogno; il labirinto per me è la metafora dei tempi nostri; abbiamo smarrito la via d’uscita e dimenticato quando ci siamo entrati, il che è dire che non abbiamo memoria del passato e meno che mai un’idea di futuro, viviamo in un eterno presente, opaco, ripetitivo, privo di sogni e di desiderio, che non sia l’ossessiva coazione al consumo, soprattutto del tempo.

All’inizio del testo, a proposito del sogno, si citano come protagonisti o deprivati di questa visione l’arte, i soggetti e l’impresa (come lavoro umano organizzato). Quest’ultima entità non deve meravigliare: ci si potrebbe chiedere: che c’entra l’impresa con i codici artistici di Borges: il sogno e il labirinto? Il labirinto è il caos nel quale si agita il lavoro umano (l’impresa) nel contesto globale odierno, il sogno è la creazione imprenditoriale di un tempo, sostituita dai manager, dalle società per azioni e dalla Borsa.

Se l’arte può solo intercettare la realtà, forse è proprio vero che si può soltanto sognare di uscire dalla gabbia del labirinto, oggetto di un altro celebre lavoro di Borges “La lotteria di Babilonia” cui dedicherò il prossimo articolo, in quanto metafora del capitalismo odierno.

1 Lina Grossi, pagine dimenticate, 29/09/2017.

2 Ibidem