Numero 62 Registrazione al tribunale di Roma N° 3/2004 del 14/01/2004

ENPI , Sardegna ed Europa nel momento delle decisioni

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di Vincenzo Porcasi

 

 

Sull’Europa si scatenano le conseguenze della propria assenza nello scenario internazionale e soprattutto nell’area della prossimità: secondo quanto affermato dall’UNECE – Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite –, già nel 2002, la debolezza europea derivante dalla propria obsolescenza e dalla propria incapacità di offrire soluzioni politiche alla propria crisi interna di potere rispetto all’evoluzione economica e politica avvenuta nei paesi BRIC, deriva dalla incapacità di fare sistema di rete con i paesi della prossimità, cioè nuovi confinari rispetto ai 27 paesi da cui ora è costituita.
La problematica deriva anzitutto dall’assenza di chiarezza al proprio interno, rappresentata dal fallimento delle politiche configurate dal Trattato di Lisbona: il più grande mercato interno del mondo non si è realizzato, come non si è realizzata la rivoluzione tecnologica che avrebbe dovuto portare alla formazione della società della conoscenza.
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Prudentemente l’UNECE a suo tempo affermava che l’Europa non poteva fare affidamento su piccoli progetti di semplice innovazione tecnologica collegata alla continua crescita del comparto finanziario; per tale Ente la centralità dell’azione comunitaria avrebbe dovuta essere fondata sull’economia reale e cioè sulla propria capacità di produrre beni e servizi.
Tuttavia l’Europa ha un endemico fabbisogno, per produrre, di materie prime che possono essere fornite dall’area della prossimità e cioè dal gruppo dei paesi candidati a entrare nell’unione che dispongono inter alia di quelle aree necessarie allo sviluppo del settore primario, sia in funzione alimentare sia in funzione energetica – biodiesel. Su tale piano i programmi europei hanno completamente fallito il loro obiettivi.
I programmi destinati a finanziare lo sviluppo del partenariato nei paesi della prossimità si sono rilevati insufficienti circa le risorse finanziarie, inadatti ai modelli di sviluppo attesi dalla popolazione, cui si è offerto di partecipare a un progetto anche formativo di modello renano piuttosto che mediterraneo – il primo vede una società ormai per molti versi post-industriale, mentre il secondo affonda ancora le proprie radici nel settore primario con puntate verso il comparto dei lavori civili destinati a sostenere il recupero abitativo delle masse in via di urbanizzazione – .
In tal modo sono venuti meno i valori insiti nelle società originarie, dotate di forte identità anche religiosa ma non per questo fondamentaliste e radicali, spostando l’attenzione da un problema di crescita sostenibile alla formazione di un sottoproletariato urbano giovane e fortemente secolarizzato e scolarizzato, con specializzazioni tuttavia diverse rispetto a quelle richieste da un mercato del lavoro ormai divenuto globale. Fra l’altro i regimi così detti moderati  si sono trovati davanti a un processo di crescita demografica a due cifre in molti casi – come in Algeria – a fronte della quale la crescita del PIL spesso a una cifra non riesce a dare il necessario supporto economico.
L’Europa diversamente dalle Nazioni Unite non aveva saputo cogliere i prodromi della crisi di modello annunciati con la guerra civile libanese, si trova ora dinanzi agli eccidi accaduti in Egitto, dove non sussiste un problema di carattere religioso bensì un problema di censo e di visibilità sociale, cioè di conflitto sociale: mentre i cristiani appartengono al ceto medio e professionale la gran parte dei giovani di recente urbanizzazione, secolarizzati e scolarizzati su basi di riferimento europee, è esclusa dalla visibilità sociale per assenza quanto meno di un lavoro percepibile come soddisfacente e di quei servizi capaci di soddisfare sia i bisogni primari che quelli secondari. La cultura globale richiede risposte globali.
Si ripropone a Sud così come su altre basi a Est la ragione di crisi che portò alla rivoluzione russa a quella di Berlino e a quella di Torino.
L’Unione Europea ormai deve azzerare le politiche attendiste, deve unificarsi a livello di bilancio, avere una unica cassa a livello finanziario e assumere che il proprio futuro sta nella prossimità e nel partenariato, estendendo alla maniera del tempo dei Severi il diritto di libera circolazione delle risorse di ogni ordine e grado, dando vita ad una società partecipativa, unica e capace di dare futuro certo a quella parte della società diseguale non accettabile da una cultura uniforme a livello globale.
Certo, sono richiesti sacrifici enormi ai cittadini storici dell’antica comunità europea, ma dietro tali sacrifici, vi è la prospettiva del recupero del consenso in Ungheria come in Tunisia, in Bulgaria come in Libano, in Moldavia come in Tunisia, all’interno di un dialogo interculturale capace di riscoprire i valori identitari che sottostanno non al conflitto sociale ma un modello di crescita comune negli effetti ma non nei mezzi. La Sardegna portatrice di autentici valori di solidarietà partecipativa e gestore dei programma di partenariato e di prossimità è titolare di tale azione immane e il mondo attende un segnale preciso e finalmente includente.
Pochi conoscono quella sentenza della Corte Costituzionale tedesca che subordina i regolamenti e le direttive della Unione Europea, nonché le sentenze della Corte di Giustizia Europea al sindacato della Corte costituzionale Germanica che, peraltro, consente al cittadino germanico di chiedere giustizia alla Stessa senza la mediazione di alcun giudice che riconosca fondata la ragione di quisquilie de popolo.
Il mondo occidentale e, su delega delle Nazioni Unite, l’Europa aveva la responsabilità di creare una fascia di stabilità per la sicurezza e la prosperità nell’area balcanica e mediterranea, anche al fine di garantire la sopravvivenza necessaria dello Stato d’Israele: l’Unione Europea ha interpretato la sua missione sostenendo i c.d. Paesi Moderati in ogni modo e proponendo un modello di sviluppo di tipo europeo e cioè creazione di un ceto medio laico e borghese abbarbicato nella difesa delle posizioni raggiunte, di fatto esprimente il ceto dominante; incapace di creare  vere occasioni di sviluppo sostenibile e compatibile e sistemico, ma teso solo al perseguimento di una accumulazione finanziario capitalistica spesso investita al di fuori del territorio di originaria provenienza. Si potrebbe forse parlare di autoriciclaggio: è il caso della Grecia, per esempio, in piena violazione del pensiero solidale di stampo cattolico e islamico.
La borghesia, divenuta modello di riferimento nel comportamento sociale di tutti i paesi, ha posto il tema, ha portato all’inurbamento, alla massiccia uniforme scolarizzazione, al bisogno di un lavoro capace di produrre reddito, per dare la sensazione di essere finalmente uguali nell’uniformità del vestire, del mangiare, dell’agire, non di qualificare il saper fare e la relativa conoscenza anche sapienziale.
Intanto il sistema paese andava finanziato ma, dal momento che il ceto dominante tendeva a eludere se non ad evadere, per costituire disponibilità all’estero,  l’Amministrazione finanziaria con tutta la sua kafkiana potestà d’imperio fondata su una legislazione speciale che priva il cittadino delle guarentigie costituzionali, che assume di avere ragione per definizione autoreferenziale, timorosa di poter guardare alle rendite finanziarie, attacca la piccola borghesia.
Il piccolo ceto professionale e  produttivo che ha investito nel lavoro proprio, nella qualità specialistica dello stesso, nella dignità dei percorsi formativi fatti nel territorio dai propri figli, non potendosi loro pagare le accademie inglesi, statunitensi e francesi, schiacciato dalla forma di governo presente e dalle sue vessazioni organizzate, esplode inerme e mite nelle piazze della libertà: via Ben Ali, via Mubarak, via domani altri, che certamente non comprendono il passo della storia che non hanno avuto il tempo di digerire:  i “piccolo” borghesi di Londra e Carlo I, i “piccolo” borghesi di Francia e Luigi Capeto, i Gandhi e i borghesi di Boston.
Ben vengano la nuova Germania con la sua carta costituzionale, quel paese che con il Concilio di Hagenau condannava a morte chiunque avesse accusato il popolo ebraico – ma erano i tempi dell’Imperatore Federico II° , stupor mundi e puer apulie –, a chiedere che il debito pubblico esista solo in stringati limiti fissati dalla costituzione, un cittadino contribuente garantito dalla costituzione e difeso dalla sua corte costituzionale direttamente, senza mediazioni, dalle vessazioni del potere che ignora le norme da applicare, atteso che, come pare affermare la corona inglese e la normativa tedesca vigente, memore anche di Rosa e di Hans, è il Cittadino a formare lo Stato e non lo Stato a ridurre i diritti soggettivi e inalienabili a meri interessi legittimi ben poco meritevoli di tutela.
Se mai dovesse avvenire una tale riorganizzazione epocale e onnicratica, forse sarà garantita la sicurezza dello Stato d’Israele e la stabilità dell’area, nella sicurezza per la prosperità dei cittadini e quindi dei contribuenti che alla maniera inglese chiedono la destinazione data a ciascun centesimo speso e, non me ne voglia sua maestà se oso citare l’esempio, della sua vera democrazia partecipativa, non solo cantata, come avviene da queste parti mediterranee.
Sul tema, la Libyan Freedom and Democracy Campaign (LFDC) chiama alla creazione della Commissione Adrian Pelt da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per vigilare sulla transizione della Libia dalla dittatura alla democrazia: lo Stato di Libia fu creazione delle medesime Nazioni Unite la proposta denominazione non è casuale, perché il Sig. Adrian Pelt, avvocato olandese, fu il commissario incaricato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ai preparativi per la creazione dello Stato di Libia nel 1951. Fece un lavoro egregio che i libici non dimenticheranno mai. La più bella strada di Tripoli porta il suo nome.
Ci troviamo in una fase analoga a quella sperimentata appena prima della costituzione dello stato libico nel 1951, in cui è necessario l’aiuto della comunità internazionale attraverso il Consiglio di Sicurezza.
Il Consiglio Nazionale ad Interim è parte del problema non della soluzione, dato che la maggior parte dei suoi membri anziani sono ex ministri ed ex ambasciatori di Gheddafi. Ogni sostegno incondizionato al Consiglio di Transizione può solo far aumentare le forze oscure che lavorano contro la causa della democrazia in Libia e il recente riconoscimento condizionato dell’Unione Europea al Consiglio è stato un passo nella giusta direzione, esempio per il resto del mondo.
È opportuno istituire una Commissione della Verità e della Riconciliazione che fornisca i mezzi per la guarigione e il perdono nazionali, accettare il CNI in principio ma non l’attuale composizione e la legittimità dei suoi illimitati poteri politici.
Quando la Libia sarà liberata e la polvere si poserà si dovrà affrontare la realtà che la lunga lotta per la democrazia è appena cominciata e che non può comunque prescindere in toto dalla preesistente organizzazione tribale.
Riferendoci all’altro versante del Mediterraneo il simbolo del comunismo sarebbe il concerto, afferma Filippovic, il protagonista del film di Radu, tutte le parti insieme e sulla base di una profonda pari dignità contribuendo alla realizzazione di un mondo equo e solidale.
Tuttavia, nonostante la composizione elitaria del Politburo, la ricerca sanitaria, il tempo libero, l’onere sacro di difendere il santo suolo della Russia, la casa per anziani, le ferie al mare o in montagna, gli asili anche nido per i bimbi, il lavoro assicurato, gli studi aperti a tutti, quando cade il comunismo, l’Autore lascia sopravvivere l’Amore per Lea, per la Sua musica, per la Sua interpretazione, per la Sua fine in un concerto del Silenzio nel Gulag, nella disciplina liberatoria del dolore: l’Amore come collante unico fra esseri capaci di amare e di avere rispetto per sette note che strutturate diventano la rappresentazione concreta del Divino.
L’Amore del divino che portò Raffaello Fellah, il sognatore, a pensare al Trialogo, molto di più che non il dialogo o la tolleranza, piuttosto la convivialità che lo portò con il Presidente Giulio Andreotti a incontrare il Leader libico Kaddafi, quando molti lo volevano al più morto, in qualche modo poi portandolo da Padre Ennio Pintacuda a Filaga nella Sua Università della Politica.
Ma Raffaello, presidente della comunità sefardita italiana aveva capito, come recentemente affermato da Luigi Pintor, uno dei fondatori de “Il Manifesto”, che il Leader, ad un popolo che dai tempi dei Severi aveva perduto cultura e democrazia, aveva attribuito il potere di stare insieme per discutere nelle assemblee e nei comitati  popolari il proprio futuro.
In quello è il potere dell’amore attribuire a ciascuno il Suo, cioè a riprendere dignità, come dicono Mevlana, ma anche Maimmonide e Ghandi, “non mi importa che Tu sia musulmano, cristiano o idolatra; Tu sei un essere umano perciò vieni e ti accoglierò”.
Se Lea è l’universale delle donne amate, è anche Maria La piena di Grazia, con le consorelle sotto la Croce, è Giulia , è Rita , è Tatiana, è Anna , è Luciana, infiniti nomi che al di là delle scelte ideologiche scelgono l’essere umano. È da qui che bisogna ripartire per costruire un mondo globale fondato sulla partecipazione universale alla gestione della cosa pubblica, in una forma onnicratica di democrazia fondata sul  rispetto della persona umana perché portatrice di un valore in sé, affinché il concerto di Lea riprenda, senza le soperchierie che taluni Stati impongono ai propri cittadini, con le speciali procedure in materia fiscale fondate, per esempio, sul non diritto alla difesa.
L’Italia così come l’Europa è stata attraversata nei secoli XIX e XX dalla questione sociale in ogni sua parte e con le più diverse soluzioni. Senza considerare le violenze che hanno accompagnato i tentativi di conciliazione della questione sociale occorre invece mettere in evidenza le soluzioni che sul piano associativo e sul piano dei rapporti pubblico-privati hanno consentito di dare vita ad un equilibrio capace di consentire dopo della Seconda Guerra mondiale l’affrancamento dal bisogno dei ceti sociali più disagiati: i contadini da una parte e gli operai dall’altra.
Gli strumenti utilizzati per il raggiungimento di tale obiettivo sono stati nell’ordine i centri di formazione professionale affidati dalla mano pubblica prima a Don Bosco e poi ai Salesiani; la facoltà accordata dall’ordinamento giuridico di procedere alla costituzione di società di mutuo soccorso, di Banche Popolari, di Casse di Risparmio, di Cooperative di produzione e lavoro fra i produttori, nonché di cooperative operative nel campo del consumo e della distribuzione. Accanto a tali fenomeni parzialmente spontanei e parzialmente organizzati come detto, ha agito la Federconsorzi, che ha avuto il compito strategico di assistere le masse contadine e bracciantili nella gestione delle risorse umane e naturali per la produzione, nell’ammasso dell’esubero non consumato della produzione e nella successiva distribuzione attraverso canali diretti. 
I risultati si sono veduti consentendo anche al paese negli anni a cavallo tra le due guerre mondiali e in quelli immediatamente successivi di avere una politica agricola internazionale capace di servire e soddisfare i propri bisogni  e di impinguare le sempre carenti risorse valutarie . Naturalmente, il processo sul piano della gestione accorta del settore primario ha conosciuto i risultati di maggiore rilevanza nel momento in cui l’associazionismo di qualunque colore ha dato vita ad enti di dimensione nazionale, quali ad esempio la Coltivatori Diretti, la CIA, la Lega delle Cooperative, solo per citarne alcuni. L’associazionismo nazionale ha consentito poi una stabilità di rapporti con il sistema  bancario e assicurativo e banche di credito ordinario e relative sezioni speciali, arrivando a perfezionare ampiamente l’uso della cambiale agraria, del credito agricolo di esercizio, dei fondi diretti a finanziare la formazione della piccola proprietà contadina e diretto coltivatrice.
La decolonizzazione del mondo conseguenza della Seconda Guerra Mondiale ha riposizionato i paesi esistenti e i bisogni singolari e collettivi. Non ha più senso parlare della condizione dell’individuo a Como o a Fino Mornasco o a Montelepre, ma bisogna parlare dei bisogni  dell’essere umano vivente nel villaggio mongolo piuttosto che nel Burkina Faso che devono essere soddisfatti comunque, a pena in caso diverso di  un riesame globale e definitivamente violento degli stessi nuovi equilibri in corso di negoziazione.
Inoltre, il mercato globale esiste in quanto esiste la sua misura (cioè il consumatore) con la sua capacità di spesa, funzione della necessità di dare  soddisfazione alla poliedricità dei complessi e articolati bisogni attuali o potenziali, reali o percepiti come tali dalla persona umana anche attraverso i suoi saperi. E pertanto al mercato globale non interessa tanto quel 2% della popolazione mondiale portatrice di una capacità di spesa illimitata; piuttosto tale mercato prende in considerazione la capacità di spesa dell’ultimo soggetto portatore diretto o indiretto di reddito esistente al mondo che dispone di una somma da impiegare non superiore al dollaro pro-die.
Il parametro che viene usato può sembrare cinico ma è un parametro realistico, il problema dal punto di vista giuridico e dal punto di vista economico non si può affrontare in termini solo di teorici diritti dell’uomo ma di creazione di reddito in misura almeno pari alle diverse scale di bisogni da soddisfare e di valori da rispettare.
Va, poi, tenuto tra l’altro presente che il problema va visto in relazione a seconda della percezione che il consumatore ha dei propri bisogni da soddisfare: ragione per la quale 300 dollari al mese in Ucraina consentono di soddisfare bisogni individuali in maniera forse sufficiente, mentre 1.000 dollari al mese non consentono in Italia di soddisfare i bisogni primari.
Alla luce di quanto sopra l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, in sede di Millennium Round, ha dato vita ad un programma che ha come obiettivo la  riduzione del 50% della povertà esistente al mondo, da conseguire entro il 2015. La povertà di cui si parla si deve intendere ovviamente in termini mancanza  di strumenti atti a soddisfare i bisogni primari dell’individuo (alimentazione, vestizione, locomozione ed abitazione).Le Nazioni Unite hanno ravvisato che lo strumento atto a consentire la formazione di un reddito di base o di un auto-reddito per soddisfare tali individuati bisogni si chiama microcredito o microfinanza, secondo le esperienze iniziate da Yunus in Bangladesh dopo il completamento dei sui studi economici e giuridici che hanno sicuramente tenuto conto delle esperienze europee.
Il microcredito è uno strumento che naturalmente, da solo non è la panacea per la soluzione del dramma della povertà. La microfinanza è uno degli strumenti che nell’ambito di una filiera di micro-distretti fondati sulla base di una microimprenditorialità assistita e gestita in forma associativa può portare alla emersione della povertà e quindi dal degrado umano e sociale.
Ovviamente,  la microfinanza presuppone e richiede a monte i necessari interventi di assistenza tecnica atti a consentire l’individuazione degli strumenti per l’attivazione del processo microproduttivo in forma associata, nel luogo e nel tempo considerato, nel rispetto dei saperi esistenti, fornita da soggetti condividenti la visione del mondo colà esistente.
Inoltre, tolto quanto è destinato al consumo immediato,il prodotto della micro-auto imprenditorialità deve necessariamente inserirsi nel processo di distribuzione nella forma; relativamente al settore primario in atto presente nel mercato globale: fresco, freddo, trasformato e secco. “Ove è il caso creando una propria catena distributiva munita di idonei sistemi conservativi e di presentazione, capace di consentire il raggiungimento del mercato finale a quei prezzi competitivi idonei a consentire ai differenti livelli di reddito presenti nelle diverse regioni di soddisfare i bisogni primari anzidetti.
Naturalmente servire la distribuzione nel mercato non è iniziativa uguale alla presentazione dei beni da vendere nel “mercato delle erbe locale”, pertanto sia il prodotto proveniente dal settore primario sia quello proveniente dal settore dell’artigianato e derivante dal primario necessita non solo di un suo generico  “look” di presentazione ma, anche soprattutto, delle opportune necessarie certificazioni di qualità che ne individuano e garantiscono l’origine eventualmente biologica, l’assenza o meno di OGM, la capacità di conservazione nel tempo, la capacità di soddisfare i bisogni nutrizionali, gli effetti salutistici conseguenti, la definizione delle condizioni igienico sanitarie e che lo rendono commestibile, il contesto sociale ed etico nel quale è stato realizzato.
Ovviamente anche l’intera catena di distribuzione deve risultare certificata e funzionale allo scopo (uno dei motivi per cui l’URSS è caduta dal punto di vista strategico è derivato dal fatto che i prodotti del settore primario, ben presenti nelle repubbliche meridionali della stessa – Georgia, Armenia, Kazakistan, etc,. – non si riusciva a distribuirli nel resto del territorio per insufficienza dei trasporti,  per carenza della catena del freddo, per inesistenza della filiera e degli strumenti di informazione e formazione del consumatore).
La proposta consiste quindi nella mobilitazione delle scarse risorse pubbliche, con quelle private, secondo il modello che ha avuto tanto successo in Tunisia e che ha ispirato a le Nazioni Unite, ponendo accanto al microcredito la filiera dell’associazionismo volontario che tanto successo ha avuto in Italia negli ultimi due secoli.
Sul punto, occorre citare fra l’altro il successo avuto dall’intervento del Comune di Guspini nella prefettura di Gafsa in Tunisia , per la creazione di una Fondazione che al suo interno riunisca i vari protagonisti della filiera del microcredito atta a creare i microdistretti della microproduzione associata vuoi nel momento dell’immaginazione dell’intervento, vuoi nel momento nella programmazione e realizzazione del progetto, vuoi nella distribuzione dei risultati: beni, prodotti, servizi. Sotto gli auspici dell’Onu, di concerto con le popolazioni locali il Comune ha  reso fruibili le miniere locali al turismo, sull’esempio di quanto avvenuto nel Sulcis – Iglesiente e al contempo ha creato la filiera del prodotto alimentare tipico di quell’area montana prima poverissima.
All’interno del modello ci sarà quindi, il tavolo degli industriali capace di fornire le macchine e la relativa assistenza tecnica anche in micro leasing; il tavolo delle istituzioni finanziarie, capace di fornire il necessario credito fondiario, agrario, e microindustriale (costruzioni di case, finanziamento del ciclo produttivo, di stabilimento per l’ammasso e per la successiva distribuzione nei vari rami della filiera); il tavolo degli enti preposti alla distribuzione capace di finanziare il marketing, la vendita e l’assistenza post-vendita; il tavolo per la certificazione e il tavolo alla educazione alla produzione e alla distribuzione e al consumo.
Naturalmente, gli strumenti vuoi contrattuali vuoi finanziari saranno ispirati alla conduzione secondo il modello radicato nella micro finanza.
L’azione non potrà non essere diretta, nella parte del mondo attribuita all’Italia: bacino Balcan – Meda; alle donne, dal momento che in tutta l’area per ragioni d’ordine culturale e religiose, l’attività produttiva viene eminentemente svolta dalle donne.
Una tale procedura consentirà l’affrancamento delle donne dal bisogno e la relativa assistenza sarà prevalentemente prestata da donne.  Ovviamente, una tale procedura, ripristinando la dignità dell’operatore famiglia che diviene operatore economico, suscita consenso, da cui viene meno quell’humus che ha consentito e favorito il diffondersi di una parte del fondamentalismo religioso e del terrorismo ambedue figli della condizione di bisogno per degli esseri privi di speranza.
Naturalmente, secondo l’intendimento delle Nazioni Unite, alla luce del modello realizzato nella  prefettura di Gafsa l’azione sarà esplicata direttamente sul territorio cioè nei singoli villaggi e il Comitato entro il prossimo agosto procederà in questo senso alla realizzazione, in ciascuno dei paesi oggetto del mandato conferito alla Italia, di un piccolo progetto possibile.
Gli interventi così attivati saranno misurati per mezzo di strumenti idonei a valutarne l’efficacia e l’efficienza con l’utilizzazione “sofisticata” di indici di performance.
L’azione sarà diffusa e resa partecipata attraverso una serie di seminari locali e regionali anche esteri destinati a diffondere i principi ispiratori seguiti, ottenendo il consenso e la partecipazione delle parti sociali operanti nei singoli territori. L’azione sarà eseguita anche attraverso una specifica attività formativa, diretta a creare un corpo di assistenti tecnici e operatori del microcredito e della filiera conseguente all’adozione del modello  per la formazione dell’autoimprenditorialità locale.
Se, riguardo tutti gli aspetti citati, le società avanzate non sono tali in quanto prevedono il futuro ma in quanto desiderano comprenderlo e se anche il settimo Beijing Forum insegue “L’armonia delle civilizzazioni e la prosperità per tutti”, tale condivisione intellettuale, da incentrarsi sui diritti fondamentali e sul rispetto della vita, affronta i nodi non esaminati dall’Europa economica e commerciale.
Questione  di armonia, appunto.

 

 

Vincenzo Porcasi:commercialista, anni 65. Laureato in Giurisprudenza e in Scienze Politiche, specializzato in questioni di internazionalizzazione di impresa, organizzazione aziendale, Marketing globale e territoriale. Autore di numerosi saggi monografici e articoli, commissionati, fra l’altro dal C.N.R.-Consiglio Nazionale delle Ricerche e dal Ministero del Lavoro. Incarichi di docenza con l’Università “LUISS”, con l’Università di Cassino, con l’Università di Urbino, con l’Università di Bologna, con la Sapienza di Roma, con l’Università di Trieste, e con quella di Palermo nonché dell’UNISU di Roma. E’ ispettore per il Ministero dello Sviluppo economico. Già GOA presso il Tribunale di Gorizia, nonché già Giudice Tributario presso la Commissione Regionale dell’Emilia Romagna.