Numero 65 Registrazione al tribunale di Roma N° 3/2004 del 14/01/2004

Iperscelte: scelte eccessive o illusorie – come percepite e decise
Civiltà delle macchine 11/4/2010

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di Roberto Vacca

 

Molti di noi sono a disagio se sono obbligati da altri a vivere situazioni, seguire percorsi, dare deleghe, usare oggetti, fare lavori senza poter manifestare preferenze. Stiamo meglio, se possiamo scegliere fra molte opzioni diverse. Si può sostenere  che più scelte equivale a più democrazia, più civiltà, purché le alternative siano davvero reali e non corrispondano solo a nomi diversi che designano oggetti sostanzialmente identici.

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Alvin Toffler, nel suo libro “Future Shock” (1970) definì overchoice (iperscelta) la disponibilità di tipi, modelli, versioni di ogni prodotto tanto numerose da confondere i consumatori e da inibire la scelta, invece che renderla più piacevole e motivata. Toffler attribuiva ragionevolmente questa tendenza alla produzione computerizzata, ad esempio alla flessibilità delle macchine utensili a controllo numerico, e alla facilità di attagliare alla domanda produzioni e servizi. Forniva gli esempi delle Ford Mustang, disponibili in 144 versioni diverse, e del proliferare di varianti di detergenti, saponi, sigarette, marmellate, sciroppi d’acero. Dopo 40 anni la tendenza all’iperscelta è continuata. I modelli delle tante marche di auto sono quasi indistinguibili nella forma. I produttori di caffè (nelle due specie più comuni: Arabica e Robusta) offrono centinaia di aromi, tostature, confezioni, sapori diversi. Mirano ovviamente a soddisfare i gusti più vari per aumentare la clientela, ma possono generare incertezze e confusione: non hanno sempre successo. Alcuni produttori hanno ottenuto risultati migliori proprio riducendo il numero di alternative proposte – e semplificando la vita dei clienti.

Certi sociologi (R.B. Settle, L.L. Golden in Advances in Consumer Research, 1974) hanno cercato di analizzare il comportamento dei consumatori e hanno proposto di distinguere l’iperscelta percepita dall’iperscelta effettiva. La prima è il rapporto fra il numero di opzioni che il consumatore considera ideale  e il numero di opzioni che ritiene gli siano offerte. La seconda è il rapporto fra il numero ideale citato e quello che viene oggettivamente offerto. Non sembra una classificazione significativa perché i consumatori non sono davvero in grado di decidere quale sia il numero di scelte preferibile (o ideale), mentre le stime del numero di opzioni offerte potranno essere tanto più erronee quanto più sono disattenti gli interpellati. In effetti, poi, non siamo in grado di apprezzare le differenze fra oggetti o stimoli diversi oltre certi limiti. Alcuni di noi possono anche essere impressionati da sconti proposti con grande enfasi – e non si rendono conto che l’ammontare del risparmio ottenibile è minore dell’1 %.

Studiarono il problema  E. H. Weber (fratello del più famoso W.E. Weber il cui nome fu dato all’unità di flusso magnetico) e  G. Fechner (iniziatore degli studi psicofisici) alla metà del XIX secolo. Conclusero che la risposta o la percezione di un cambiamento nell’intensità di uno stimolo sensoriale è proporzionale al logaritmo della variazione stessa. Questo significa che, se siamo capaci di distinguere un peso di 100 grammi da uno di 125 (cioè una differenza del 25%), non sapremo distinguere un peso di 1025 grammi da uno di 1 kg, ma solo uno di 1250 grammi da uno di 1 kg. Apprezziamo le differenze in percentuale e non in valore assoluto. Le cose vanno in modo simile per la percezione del dolore fisico, di suoni e di stimoli luminosi. Ad esempio la magnitudo delle stelle fu definita da Ipparco nel II secolo (e ancora oggi) suddividendola in 6 livelli diversi dalla massima a una appena visibile. Una stella che abbia magnitudo 5 volte maggiore di un’altra è 100 volte più luminosa. [S.S. Stevens nel 1957 propose una legge di potenza più aderente ai vari tipi di percezione sensoriale]. Dunque i venditori che propongono tanti stili, modelli, versioni diverse dei loro prodotti, dovrebbero riflettere sulla circostanza che certe differenze in una gamma non siano nemmeno percepite dalla maggioranza del pubblico.

È opportuno, poi, definire meglio la differenza fra due prodotti. Chiamiamo “allineabili” i prodotti che differiscono per una sola dimensione misurabile, come la potenza massima erogabile da un motore di auto o la percentuale di cacao contenuta in una tavoletta di cioccolata. Chiamiamo “non allineabili” i prodotti che differiscono per vari attributi o caratteristiche discrete, come i telefoni cellulari: alcuni non registrano immagini, altri fanno fotografie e altri ancora riprendono video. L’esperienza sembra indicare che una maggiore offerta di modelli allineabili incrementa la quota di mercato di un prodotto. Invece tale quota decresce, secondo alcuni, se viene aumentato l’assortimento non allineabile.

Le proposte di prodotti e servizi a clienti eventuali vengono fatte nei negozi ed esercizi commerciali, mediante messaggi o esposizioni nelle vetrine e per mezzo di pubblicità murale, su periodici, alla radio e in TV. Si tratta di promozioni non mirate di efficacia variabile. Sempre più spesso proposte e pubblicità vengono diffuse su Internet: riceviamo messaggi e-mail che non abbiamo richiesto o vediamo apparire all’improvviso sui nostri schermi “pop-up” – immagini colorate, testi, proposte, avvisi. Queste apparizioni sono irritanti specialmente se ripetute frequentemente e non sempre consentono al destinatario di rifiutarle stabilmente in avvenire. Per aumentare le probabilità di agganciare clienti si ricorre anche al behavioral targeting (individuazione dei destinatari in base al loro comportamento). I gestori di motori di ricerca registrano le scelte di acquisti o di accesso a pagine di pubblicità fatte dagli utenti, quindi redigono liste specializzate di indirizzi e-mail di coloro che hanno manifestato interesse per prodotti particolari (automobili, viaggi, vestiario, cibi, etc,) e le vendono ai produttori. Questi limiteranno le loro promozioni e invii di messaggi solo a gruppi mirati. L’attività di marketing dovrebbe risultare più efficace: chi viene contattato dovrebbe essere meglio disposto. Non è sempre così: varie associazioni di consumatori sono opposte a queste procedure che considerano invasioni della privacy.

Questa varietà fra prodotti, servizi e loro fornitori è poca cosa se la confrontiamo con l’iperscelta massima costituita dalle possibili opzioni del materiale su Internet: libri, articoli, testi, relazioni, diari, recensioni, blog, immagini. Google aveva indicizzato 26 milioni di pagine nel 1998, un miliardo di pagine nel 2000 e mille miliardi nel 2008. Sul sito http://googleblog.blogspot.com è detto che questo numero è praticamente infinito. Non suona come una vanteria perché, sperimentando, uno trova veramente di tutto, purchè sia addestrato a costruire parole chiave efficaci e a seguire connessioni fra pagine. C’è, poi, un enorme universo di dati non visibili e non accessibili per mezzo di motori di ricerca. Pare contenga migliaia di miliardi pagine e viene chiamato Invisible Web o Deep Web. È costituito da pagine create entro gruppi, cui si accede digitando una password, da testi non scritti in HTML o creati dinamicamente dal software di database. Questo Web “profondo” contiene informazioni interessanti, in parte riservate. Non ci sono mezzi semplici per esaminarle. Non si può parlare di iperscelta in questo contesto, perché normalmente non conosciamo l’esistenza degli oggetti fra cui scegliere, né i loro indirizzi in rete. Si può provare a fare ricerche a caso, ma il rendimento è basso. I link necessari possono essere individuati con passa-parola. Vedere in merito: www.lib.berkeley.edu/teachinglib/Guides/Internet/Invisibleweb.html e anche www.deepwebresearch.com,

Ho cercato su Google: “world total information”, “total information”, “exabyte stored” – senza trovare gran che. Allora ho provato semplicemente “information explosion” e sono emersi articoli interessanti, studi, dibattiti, dati [fra questi: T. McIlroy su http://thefutureofpublishing.com ]. Dunque la Rete è piena di dati (quantitativi) e di informazioni – però alcuni hanno l’impressione che proprio le cose a cui sono interessati siano diventate inaccessibili perché i contenuti hanno proliferato tanto da costituire un labirinto..

Taluno si stacca da Internet non sopportando lo stress eccessivo: troppe parole, lettere, numeri, immagini, grafici. Non vuole più mandare, né  ricevere E-mail. Mi sono chiesto:
"Sarò anche io sovraccarico di informazioni - di segnali?"
Mi sono risposto di no. Chi vive in città è avvolto da simboli: cartelli, insegne, giornali, libri, documenti e, sempre più, videate di lavoro, di corrispondenza e anche di cultura. Ci danneggiano? Verremo distratti tanto da lavorare peggio e da essere meno originali? No: il rischio delle distrazioni esisteva già per chi prendeva cattive abitudini di tipo tradizionale. Perde tempo e occasioni anche chi non può fare a meno ogni giorno di leggere lo stesso fumetto, risolvere un cruciverba, ripetere discorsi triti, fissare uno schermo TV. Potremmo concludere banalmente che Internet, come ogni altro strumento può essere usato bene in pochi modi e male in molti, ma vediamo un’altra analisi sulla numerosità di questo universo.
"La quantità di informazioni registrata nel 2002 in tutto il mondo (su vari supporti) equivale a tutte le parole pronunciate dagli esseri umani da quando cominciarono a parlare".

Questa conclusione è stata raggiunta dalla SIMS, School of Information Management and Systems dell'Università di California a Berkeley. Lo studio - "Quanta informazione? 2003" - contiene dati interessanti ed è disponibile su www.sims.berkeley.edu/research/projects/how-much-info-2003/. È interessante che dopo sette anni venga ancora citato da molti analisti, ma che gli autori non l’abbiano aggiornato.

La prima tabella seguente riporta le quantità di informazione stampata su carta nel 2002 in tutto il mondo. [L'unità di misura usata è il byte = 8 bit (o cifre binarie): equivalente a un carattere alfanumerico. Una pagina a stampa di 30 righe contiene 2.000 byte].

Dal 1999 al 2002 la carta stampata è cresciuta di un terzo. Non è vero, dunque, che l'informatica conduca a una società senza carta? Ma sì che è vero: la carta stampata cresceva solo dell'11% all'anno, mentre le registrazioni magnetiche crescevano del 21,5%.  Lo si vede nella seconda tabella che riporta il


 

totale di tutti i dati (stampa, film, magnetici, foto) registrati fino al 2002 : 5,4 miliardi di miliardi di byte (5,4 Exabyte - Exa è il multiplo 1018 secondo il Sistema Internazionale di Misura). E' una quantità enorme (500.000 volte più di tutti i libri della Biblioteca del Congresso USA) ed è sparsa fra computer, archivi, librerie, cineteche, biblioteche, uffici.

 

 

Non mi sembra, però, che questa quantità di dati equivalga a quella di tutte le parole mai pronunciate da esseri umani. Facciamo i conti. Una parola equivale a 10 byte. Se ciascun essere umano parla un'ora al giorno in media con 3 parole/secondo [e c'è chi parla ben di più] dice 10.000 parole equivalenti a 100.000 byte al giorno e, in 365 giorni, esterna 37 Megabyte (37 . 106 byte). Negli ultimi 2000  (2 . 103) anni stimiamo la popolazione mondiale media in 500 milioni (5 . 108). Dunque in due millenni gli uomini avranno emesso   37 milioni di Terabyte  (37 miliardi di miliardi di byte, cioè 37 exabyte). Ai tempi antichi eravamo pochi, ma cominciammo a parlare mille secoli fa. Abbiamo parlato ben di più – e continuiamo: il totale continua a crescere. Lo studio SIMS, poi, si occupa dei flussi di dati e informazioni per via elettronica (vedi terza tabella).

 

 

Non siamo abituati a trattare numeri così grandi, né a ragionare su queste unità di misura poco usuali. I numeri citati sono solo ordini di grandezza. Nel Febbraio 2010 l’Economist citava uno studio della International Data Corporation secondo il quale nel 2009 la quantità di informazione trasmessa in rete era di 760 exabyte – maggiore della capacità di registrazione di tutti i computer disponibili che sarebbe di 500 exabyte.

Non addentriamoci a discutere sulla eventuale compressione dei dati. Questa permette di codificare (soprattutto i dati grafici, ma anche quelli alfanumerici) in modo che occupino meno spazio. Facendolo si registrano e si trasmettono grandi quantità di dati comprimendole e poi ricostruendo gli originali. Gli ordini di grandezza, però, non cambiano. La questione è marginale.

Ma torniamo alla complessità degli argomenti. Non abbiamo scelto noi di vivere in questo mondo sempre più complesso in cui proliferano i sistemi di comunicazione, di energia, di trasporto. Però ci viviamo. Se lo ignoriamo, rischiamo di essere sopraffatti da quelli che lo capiscono meglio. Ci imporranno tariffe inique. Ci faranno correre rischi di cui non abbiamo idea. Ci sopravanzeranno sul lavoro. Ci obbligheranno a usare i loro prodotti. Limiteranno le nostre scelte culturali, sociali, economiche. La democrazia non è fatta solo di elezioni più o meno libere, nè di assenza di dittatori. Per essere una realtà e non solo una parola vuota, deve offrire molte scelte. Alcune di queste possono essere realmente fruite solo se ne sappiamo abbastanza. Molti siti Web creati da persone serie offrono vantaggi enormi: culturali, umani, lavorativi. Li sfruttano anche molti scienziati: si scambiano messaggi illuminanti e formano stimolanti comunità virtuali. Eppure certi storici della scienza sostengono che Internet ha effetti negativi anche sull'attività scientifica. Ogni nuovo risultato ottenuto, congettura o sviluppo teorico è subito disponibile in rete. Tutti sanno tutto degli altri. Imperano mode stabilite dagli scienziati più famosi. Quindi sarebbe più arduo, specie per i giovani, seguire strade originali sperabilmente fruttuose. L'isolamento proteggerebbe l'originalità, ma favorirebbe la duplicazione di sforzi identici e impedirebbe l'aggiornamento. Quasi nessuno scienziato opera nel vuoto. Tutti si giovano dei loro predecessori. Molti problemi di fisica dovrebbero essere ripensati dalle basi: arduo riuscirci se è troppo forte il rumore di fondo di comunicazioni, messaggi, newsletter.

Come si naviga con successo su Internet? Un grande aiuto ci viene dato da Google che si base su criteri statistici per distinguere le pagine migliori (cui ci dà accesso) da quelle peggiori (che non blocca, ma lascia nell’ombra). Usando quel motore di ricerca diamo una prima sgrossata all’immane materiale della rete. Poi abbiamo bisogno di criteri di scelta empirici, individuali: li formiamo innalzando il nostro livello culturale, sperimentando, imparando a giudicare autori e testi dai contenuti, dalla forma, dall’organizzazione. Possiamo anche considerare il successo editoriale di un libro (anche se spesso viene assicurato dalla moda e dalla pubblicità e non dal valore intrinseco).

La valutazione di testi scientifici viene fatta anche usando lo Science Citation Index  (Indice delle citazioni scientifiche), in cui viene contato il numero di volte che un lavoro scientifico viene citato da altri scienziati. La pubblicazione di queste graduatorie, però, può spingere i ricercatori al conformismo. Pensano di guadagnare status solo se vengono citati e che verranno citati solo se seguono le mode prevalenti. Lo Science Citation Index viene pubblicato da decenni e non ha frenato il progresso scientifico - anche se sono noti casi di cricche di baroni che hanno soffocato l'originalità di scienziati giovani oppure si sono abbarbicati a loro teorie errate anche dopo che erano state dimostrate insussistenti. Tipico il caso recente della credenza nel riscaldamento globale antropico.

Per facilitare il reperimento di dati, informazioni conoscenze nell’universo della rete bisogna migliorare la qualità della comunicazione che può  condizionare le nostre scelte. È un lavoro che non finisce mai. Anticamente bastava avere una certa conoscenza del mondo e delle parole, della grammatica e della sintassi per comunicare in modo efficace. Poi i libri ci hanno fatto conoscere persone, luoghi, cose, idee con cui altrimenti non avremmo avuto alcun contatto. Le conoscenze che otteniamo da descrizioni hanno superato da secoli quelle derivate dall’esperienza. Ora la rete ci permette di aumentare a dismisura le conoscenze da descrizioni e anche di trasmetterle a grandi numeri di nostri simili. Abbiamo occasioni continue e meravigliose di aprire la nostra mente e di aiutare altri ad aprire le loro.

Le dimensioni della rete mondiale WorldWide Web la rendono simile al mondo reale. Nessuno ci garantisce che le persone che incontriamo ci dicano la verità o sappiano quello che dicono. Così non abbiamo garanzia che  testi e documenti trovati in Internet siano veri, affidabili, rilevanti.

Sta a noi capire distinguere valutare. La ricchezza e la saggezza ci sono e spesso è arduo distinguerle dal chiacchiericcio, dalle irrilevanze, dalle falsità. Gli inesperti credono di avere oro, quando hanno trovato pirite (solfato di ferro, chiamato Fool’s gold – l’oro degli sciocchi). Analogamente abbiamo intorno (e anche in rete) sprovveduti e imbroglioni che diffondono proposizioni false e fanno discorsi vaghi e inutili, magari appoggiati a icone e a slogan che degradano il linguaggio.

Dovremmo cercare di far rinascere la comunicazione integrando Information Communication Technology e strumenti classici. Anche questi non sono scevri da rischi. Cicerone aveva imparato dai retori greci a trascurare i contenuti a favore della presentazione oratoria brillante (Υπòκρισις – Υπòκρισις – Υπòκρισις!). Possiamo scegliere infiniti modi per presentare una stessa sostanza, ma è meglio concentrarsi a valutare il valore intrinseco della sostanza. Confucio diceva:
“Guardatevi dagli abili parlatori.”

 

Overchoice: excessive or delusory choices: how perceived and decided
Abstract
The supply of products and services in a proliferating number of variants may confuse the public and inhibit choice. Producers may get advantages by reducing the number of options and simplifying customers’ life. Psychologists have shown that our appreciation even of quantitative differences is limited. Catering to alleged tastes and whims may be cumbersome and ineffective. The universe of choices open on the WorldWide Web for information choices and formats, dwarfs that in retail. Trillions of pages have been indexed: we need very efficient tools (like Google), but also prior judgment criteria. To absorb vital gist from the Web (an avatar of the real world) we have to recur to classic procedures, information-communication technology and common sense.

 

 

Roberto Vacca: Laureato in ingegneria elettrotecnica e libero docente in Automazione del Calcolo (Universita' di Roma). Docente di Computer, ingegneria dei sistemi, gestione totale della qualita' (Universita' di Roma e Milano). Fino al 1975 Direttore Generale e Tecnico di un'azienda attiva nel controllo computerizzato di sistemi tecnologici, quindi consulente in ingegneria dei sistemi (trasporti, energia, comunicazioni) e previsione tecnologica. Tengo seminari sugli argomenti citati e ho realizzato numerosi programmi TV di divulgazione scientifica e tecnologica.
http://www.robertovacca.com/italiano.htm