Numero 65 Registrazione al tribunale di Roma N° 3/2004 del 14/01/2004

La Profezia di Celestino Fottitutti Malick
O della Undicesima Illuminazione

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di Laura Lambiase Profeta

 

Nel 1993, o giù di lì, un tal James Redfield pubblicò per le edizioni Warner Bros, Inc,  New York il suo primo romanzo “La profezia di Celestino”. Credo che tutti abbiano sentito parlare almeno una volta nella vita di Celestino e della “New Age”. Si proprio quella che intravede nuove forme di spiritualità, che ci riporta alla vita prenatale attraverso la propria morte. Che definisce la vita un insieme di coincidenze, di incontri, di afflati energetici che portano alla conoscenza. Insomma il  Reader’s  Digest dei principi di Galileo, di Giordano Bruno, di Freud, di Konrad Lorenz, di Einstein, di Charles Darwin, di Newton, di Buddha  e di Gesù Cristo. Un vero capolavoro, un best seller.
Nel ’94 tracimò anche in lingua italiana. Se qualcuno con poca memoria “si fosse scordato” dei magnifici anni ’90, basti ricordare i vari film su finanzieri d’assalto senza scrupoli, che assediano Wall Street  con i loro giovani piccoli squali assetati di sangue; su ingenue Donne in Carriera che da semplici segretarie diventano manager, fottendo la propria “padrona”; sulla straordinaria lucentezza della vita di quattro mentecatti agitantisi nelle  sale affollate della Borsa.
La New Age sembrò dare respiro a chi non ne poteva più di cotanta mediocrità comatosa.

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Si riscoprì all’improvviso la propria interiorità, la ricerca empatica dell’altro: ancestrali motivazioni psicologiche risolvibili con gesti d’amore.
“Finalmente cominceremo a rispondere alle domande che aleggiano sull’esperienza umana e in ogni cuore: perché siamo qui? qual è il nostro destino? cosa dobbiamo fare?Con parole che risuonano dentro di noi e  illuminano il nostro mondo sia interiore che esterno, James Redfield ci offre ancora una volta una visione unica, definitiva e piena di gioia della spiritualità umana: una visione che può cambiare la nostra vita e forse il mondo”.
Ma nessuno si sarebbe aspettato di scorgere gli umori, l’energie positive, la Natura in Dio e Dio nella Natura, quell’impasto di evoluzionismo e creazionismo, in un film di guerra, in una versione eccitata della battaglia contro i “musi gialli” a Guadalcanal nelle isole Salomone in fondo all’Oceano  Pacifico.
Eppure qualcuno ha illuminato le nostre menti e i nostri cuori. Prima che meritasse la Palma d’Oro a Cannes, Mr. Malick pare abbia girato il film più bello degli ultimi quindici anni: The thin red line, ovvero La sottile linea rossa, del 1998.
Un film contro la guerra, anzi… un film che vede la guerra come mezzo per scrutarsi dentro e comprendere gli altri. Un film che potrebbe intitolarsi “Anche i soldati piangono”. Il dolce Terrence per un illimitato numero di minuti, un infinito numero di secondi, insomma per ore ci mostra i mali della guerra, il disappunto per l’odioso conflitto mondiale, facendo piagnucolare le truppe americane e i prigionieri giapponesi. Mentre la natura lussureggiante e “indifferente” (aggettivo non mio) dimostra che Dio c’è: è  in noi attraverso  la bellezza  devastata dagli uomini. Una speciale divinità campestre  ci sciorina scene di prati verdeggianti, di maggiolini su feconde margherite, di pappagallini curiosi e  allocchi dai grandi occhi roteanti...
Scatole di cioccolatini costose, sfondi desktop rilassanti,  vistosi calendari con foto di caldi cuccioli,  smaglianti fiori, selvagge faune, saltanti delfini.
Una voce suadente narra di dubbi e di dolore “Chi sei tu per vivere sotto tutte queste forme. Tua è la morte che cattura tutti, tua è anche la fonte di ciò che nascerà. Tua la gloria. Tua la pietà..la pace.. la verità. Tu dai riposo allo spirito comprensione, coraggio. Il cuore rassereni. Oh, Signore!”.
La musica riempie ogni spazio con minimali accordi, sottofondo di sabbie mobili e melassa. “Ho ucciso un uomo! La cosa peggiore che si possa fare. Peggio dello stupro. Ho ucciso un uomo e nessuno mi può condannare” Incontinenza musicale, tramonto e lacrime.
Scene patinate di un’isola felice, contrapposte agli orrori cruenti della battaglia: “Le Salomon Islands, arcipelago del Pacifico meridionale, situato ad Est di Papua Nuova Guinea. Caratterizzate da una folta vegetazione, da una fauna ricca e varia, da acque cristalline ricche di pesci colorati. Venite alle Salomon: è un vero paradiso terrestre per coloro che amano la natura “…Venite  alle Salomon! L’acquaterapia è assicurata, cura naturale che pacifica gli animi.
Per 165 minuti, per  circa tre ore, non ho fatto che rimpiangere il lucore  rivoluzionario di “Orizzonti di Gloria” di Stanley Kubrick  e la sua  acre condanna ai Signori della Guerra.

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Al terzo tentativo malriuscito di farla finita col suo film, il cuore  malickiano comincia a vacillare.    All'undicesimo finale, ormai in coma, cercando l’aria come un affamato il Profeta New Age Celestino Fottuto Malick mette la parola  Fine su una scena a dir poco imbarazzante.
Una nave, scia di acque ribollenti, voce narrante “Buio dalla luce, conflitto dall’amore, sono il frutto di una sola mente; i tratti di un solo volto. Oh anima mia fa che io sia in te adesso. Guarda attraverso i miei occhi, guarda le cose che hai creato. Tutto risplende”.

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Scia della nave. Lago verdeggiante. Pappagalli coloratissimi. Distesa di acque come olio. Pianta di cocco appena sbocciata,  veleggiante in mezzo ad un mare calmissimo.
Woody Allen avrebbe detto che soltanto i francesi potevano premiare Malick col suo film” L’albero della vita”, perché hanno il terzo occhio e una grande bocca che divora tutto.
Rabbrividisco: se con un film di guerra ha messo in tavola una pietanza tanto burrosa e zuccherina da sgretolarci i trigliceridi, non oso immaginare che cosa avrà mai concepito per un film sulla nascita  della vita, i geni  e l’evoluzione della specie.
Intanto il mio pensiero va a  quella povera locusta ferma su di un sottile filo d’erba in primo piano con la foresta in fiamme sullo sfondo. Sopraffatta dalla commozione,  incazzata per quel povero cuore in pericolo ho urlato, in un impeto di pura emozione  “Salta via, salta via…Salvati”
Conosco una definizione per tutto questo; sarebbe kitsch se fosse anche divertente, invece è solo grossolano, patetico, noioso cattivo gusto.

 

 

Osare.
Avere il coraggio di andare contro corrente, di andare oltre, di valicare confini, di non fermarsi alla superficie. Non esiste una cultura alta ed una meno alta esiste solo la noia. Un gesto creativo senza vita, asfittico, pavido, furbo, conveniente è merda.
Laura Lambiase Profeta ha scritto di musica per “Laboratorio Musica” e “l’Unità”; ha descritto Napoli sul “Mattino” e sulla guida “dell’Espresso”; si è divertita su “Cosmopolitan”.
E nata a Pontecagnano molti, molti anni or sono e vive a Napoli tra Paradiso e Provvidenza.