Il principio del contraddittorio contiene regole procedurali imperative, volte a garantire il diritto fondamentale, di ciascuna parte, di partecipare al procedimento, concorrendo con la propria tesi o posizione alla formazione della decisione.
La regolare costituzione del contraddittorio (audiatur et altera pars) è un principio fondamentale di tutti i processi che fondano il principio costituzionale negli art. 3, 24 ed in particolare dall’art. 111 C..
Il principio del contraddittorio è l’incontro verbale tra due posizioni contrapposte, per far prevalere la propria posizione o versione.
Esso esprime la garanzia di giustizia, secondo la quale nessuno può subire gli effetti di un giudizio, definito con sentenza o con lodo arbitrale, senza aver avuto la possibilità di essere parte del processo, né tantomeno di un’effettiva partecipazione, alla formazione del provvedimento.
Ciò consente a ciascuna delle parti, di presentare alle altre, al giudice o all’arbitro, l’insieme dei dati ed elementi a sostegno della propria posizione, essendo riconosciuta una posizione di parità tra le parti.
Corollario, infatti, del principio del contraddittorio, è il principio, altrettanto inderogabile, di uguaglianza, della parità di trattamento delle parti, anche nelle attività difensive, al fine di assicurare un risultato trasparente del procedimento e della decisione finale.

Possiamo individuare una violazione del principio del contraddittorio in tre categorie principali.
La prima circostanza può ravvisarsi quando non è stata rispettata la parità tra le parti nella partecipazione al procedimento.
La seconda è rappresentata dalla violazione della facoltà di partecipare alle udienze e al procedimento, mentre la terza l’impossibilità di poter prendere adeguata conoscenza della posizione e delle prove altrui.
Le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte (art. 806 c.p.c.), ovvero nascenti da contratto (art. 808 c.p.c.), ovvero le controversie future relative a uno o più rapporti non contrattuali non determinati (art. 808 ter c.p.c.), ovvero mediante arbitro irrituale ai sensi dell’art. 808 ter c.p.c., mediante una convenzione di arbitrato, purchè avente ad oggetto controversie, relative a diritti disponibili e non devolute alla cognizione di speciali giurisdizioni esclusive.

Vediamo meglio la differenza principale tra arbitrato c.d. rituale e arbitrato c.d. libero.
Nel primo (arbitrato c.d. libero), le parti stesse intendono pervenire alla pronuncia di un lodo suscettibile di esecutività, onde produrre gli effetti di cui all’art. 825 c.p.c., con l’osservanza del regime formale del procedimento arbitrale, mentre nel secondo (arbitrato c.d. libero o irrituale), le parti intendono affidare all’arbitro la soluzione della controversia, attraverso uno strumento strettamente negoziale.
Le parti, quindi, liberamente possono scegliere l’arbitrato per la soluzione delle proprie controversie, che trascendono il proprio ordinamento.
L’espressione “arbitrato internazionale” è utilizzata per indicare i percorsi e le procedure di arbitrato che presentano contatti con più di un ordinamento (es. la cittadinanza, il domicilio o la sede delle parti e degli arbitri, il luogo di esecuzione delle prestazioni contrattuali o il luogo dove si è verificato l’evento dannoso, la legge applicabile al merito, alla procedura ecc.).
Il nostro ordinamento prevede le stesse regole esistenti per l’arbitrato interno, anche per quello internazionale, relative alla convenzione arbitrale, agli arbitri, al procedimento arbitrale, alla pluralità di parti alle impugnazioni, con un meccanismo che si fonda essenzialmente sull’autonomia delle parti.

L’arbitrato è uno strumento di risoluzione alternativo alle controversie, trovando il proprio fondamento nell’autonomia privata, mediante la convenzione d’arbitrato.
L’arbitrato è disciplinato dagli art. 806 e seguenti c.p.c. e produce i suoi effetti sul piano esclusivamente negoziale, oltre che diretto a produrre una decisione, munita di effetti simili alla sentenza del giudice.
Ogni arbitrato ha una propria nazionalità, che coincide con quella dell’ordinamento della lex arbitri e per l’ordinamento italiano è “domestico” l’arbitrato con sede in Italia e disciplinato dagli art. 806 e seguenti c.p.c., mentre è “estero”, l’arbitrato con sede in un paese straniero e disciplinato dalla legge di tale paese.
Ai sensi dell’art. 816 e 816 bis c.p.c., le parti determinano la sede dell’arbitrato, così come eventualmente le norme che gli arbitri sono tenuti ad osservare nel procedimento ed in mancanza provvederanno gli arbitri stessi.
Gli arbitri debbono in ogni caso, ai sensi del secondo comma dell’art. 816 bis c.p.c., attuare il principio del contraddittorio, concedendo alle parti, ragionevoli ed equivalenti possibilità di difesa.
Ai sensi dell’art. 832 c.p.c., la convenzione d’arbitrato può fare rinvio a un regolamento precostituito e nel caso di contrasto tra essi, prevale la convenzione di arbitrato, mentre in assenza di determinazione delle parti, si applica il regolamento in vigore al momento in cui il procedimento arbitrale ha inizio.

Il “lodo” ha dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria e la parte che intende far eseguire il lodo nel territorio della Repubblica ne propone istanza  nella cancelleria del Tribunale, nel cui circondario è la sede dell’arbitrato.
Il lodo è soggetto all’impugnazione per nullità, per revocazione e per opposizione di terzo.

L’impugnazione per nullità, si propone nel termine di novanta giorni dalla notificazione del lodo (o al massimo entro un anno dalla data dell’ultima sottoscrizione) davanti alla corte di appello nel cui distretto è la sede dell’arbitrato, per i casi tassativamente indicati dall’art. 829 c.p.c..

A seguito dell’introduzione della legge n. 40 del 2006 l’Italia (come anche l’Olanda, la Germania, l’Austria, la Finlandia, la Danimarca, la Norvegia e la Spagna) ha optato per un sistema c.d. monistico, prevedendo quindi un sistema normativo unico per la disciplina degli arbitrati sia interni (detti anche domestici) sia internazionali.
Restano ferme le specifiche disposizioni previste per il lodo il cui arbitrato ha avuto sede all’estero riconoscibile solo ai sensi dell’art. 839-840 c.p.c..
Il collegamento tra un singolo arbitrato e la lex arbitri è determinato dall’art. 816 c.p.c., ovvero dal luogo in cui le parti hanno stabilito (salvo lasciare questa scelta agli stessi arbitri) la sede dell’arbitrato stesso.
Ogni arbitrato ha quindi una propria “nazionalità” che coincide con quella dell’ordinamento della lex arbitri, quando siamo in presenza di un qualche elemento di “estraneità”.
I criteri che rilevano la determinazione dell’internazionalità di un arbitrato sono diversi.
Possono essere “oggettivi” quando si basano sulla natura dell’operazione commerciale sottostante al contratto in oggetto.
“Soggettivo” lo è quando, almeno una delle parti, abbia la residenza (per le persone fisiche) o la sede (per le persone giuridiche) in uno Stato diverso.
Il criterio “misto” infine è basato sulla combinazione di entrambi, è allo stato quello più seguito peraltro dalla Convenzione di Ginevra del 1961, oltre che dalla legge Modello UNCITRAL aggiornato da ultimo nel 2010.
In ambito internazionale, l’arbitrato è utilizzato in maniera prevalente per questioni di natura commerciale, a volte in contrapposizione all’arbitrato internazionale in materia di investimenti.
Come per l’arbitrato interno, così per quello internazionale, esistono procedure di arbitrato ad hoc ed “amministrato”.
Il primo fa riferimento a procedure gestite autonomamente dalle parti e dagli arbitri, in assenza di organismi esterni.
In tali convenzioni spesso si fa riferimento al Regolamento UNCITRAL o al Regolamento facoltativo della Corte Permanente dell’AIA.
L’arbitrato amministrato (disciplinato nel nostro ordinamento dall’art. 832 c.p.c. intitolato “dell’arbitrato secondo regolamenti precostituiti”) prevede regole predisposte da organismi permanenti di arbitrato, con l’assistenza di personale qualificato e strutture adeguate, con le quali la natura del rapporto instaurato può qualificarsi come un appalto di servizi.

Tra le Istituzioni arbitrali in Europa, ricordiamo la Corte Internazionale di Arbitrato della C.C.I. con sede a Parigi, a Londra, la London Court of International Arbitration, a Stoccolma l’Istituto della camera di Commercio, il Vienna International Arbitrale Centre con sede a Vienna, l’Associazione Italiana per l’Arbitrato con sede a Roma, la camera arbitrale di Milano.
Camere arbitrali importanti ve ne sono in tutto il mondo, in Cina, a Singapore e in Australia, in America, in Africa,così come esistono numerose associazioni merceologiche o di categoria per la soluzione di controversie tra gli operatori di determinati settori. 
Tra le Convenzioni internazionali più importanti, annoveriamo la Convenzione di New York del 10 giugno 1958 per il riconoscimento e l’esecuzione dei lodi arbitrali stranieri, la Convenzione Europea sull’arbitrato commerciale internazionale del 21 aprile 1961 (la Convenzione di Ginevra) e la Convenzione del 18 marzo 1965 di Washington, che istituisce il Centro Internazionale per la risoluzione delle controversie in materia di investimenti.
La convenzione di New York è il pilastro dell’arbitrato commerciale internazionale, riconosciuta da 146 Stati, con l’obbligo da parte degli stati di riconoscere effetto vincolante ai lodi arbitrali, conformemente alle regole di procedura, in vigore dallo Stato richiesto.
La Convenzione di Ginevra è un trattato europeo per favorire i rapporti Est-Ovest in materia di arbitrato, conta 32 Stati contraenti e si applica per le controversie derivanti da “operazioni del commercio internazionale” ovvero il “movimento di beni, servizi o denaro attraverso le frontiere”.
La convenzione di Washington, con 157 Stati contraenti, istituisce un innovativo meccanismo di risoluzione delle controversie in materia di investimenti tra privati e Stati stranieri integrate da un regolamento relativo alla procedura negli arbitrati ICSID.
Infine l’art. 839 c.p.c. prevede che il procedimento di riconoscimento ed esecuzione di un lodo straniero avvenga in assenza di contraddittorio e che il giudice dichiari l’efficacia del lodo, una volta verificata la regolarità formale dello stesso, nonché la compromettibilità della controversia, secondo la legge italiana e la sua non contrarietà all’ordine pubblico.
Infatti chi vuol far valere nella repubblica un lodo straniero (pronunciato in Italia, ma il cui arbitrato ha avuto sede all’estero) deve proporre  ricorso al Presidente della corte d’Appello, nella cui circoscrizione risiede l’altra parte; se tale parte non risiede in Italia è competente la Corte d’appello di Roma.

Una seconda fase eventuale si apre, invece, se la parte contro cui il lodo è invocato, solleva opposizione nelle forme e nei modi previsti dall’art. 840 c.p.c..
La norma disciplina il giudizio di opposizione al decreto del Presidente della Corte d’Appello che accorda o nega l’efficacia al lodo straniero, definendo le regole procedurali e individuando i casi in cui rimane precluso il riconoscimento o l’esecuzione del lodo.
Nel nostro ordinamento, con specifico riguardo al principio del contraddittorio, semplice ed esaustivo, appare l’art. 816 bis comma 2 c.p.c., laddove è indicato testualmente:”..Gli arbitri debbono in ogni caso attuare il principio del contraddittorio, concedendo alle parti ragionevoli ed equivalenti possibilità di difesa..”.
Ulteriore richiamo a detto principio, è rappresentato, dai casi di impugnazione per nullità, in particolare all’art. 829 comma 1, lettera 9) c.p.c., per mancata osservazione del principio del contraddittorio, nel procedimento arbitrale.
Infine l’art. 840 comma 3 n. 2 c.p.c., laddove prevede che il riconoscimento o l’esecuzione del lodo straniero, sono rifiutati se la parte nei cui confronti il lodo è invocato, non è stata informata della designazione dell’arbitro o del procedimento arbitrale o comunque se è stata nell’impossibilità di far valere la propria difesa nel procedimento stesso.
Nelle controversie internazionali, l’esigenza da parte dei soggetti coinvolti è quella di risolvere efficacemente ed in tempi brevi, le questioni insorte, a tutela dei rispettivi e reciproci bisogni e interessi economici o di immagine.

Un approccio collaborativo, ed in particolare la promozione della c.d. cultura della pacificazione, possono diventare la garanzia del successo di ogni negoziazione e dell’affermazione di stabili e duraturi rapporti di prossimità e di vicinato.  

L’atto negoziale deve portare alla creazione di un ambiente favorevole allo sviluppo degli investimenti, determinando all’interno dei singoli Stati la produzione di normative semplici, chiare e non discriminatorie, automaticamente applicabili e quindi non facilmente suscettibili di interpretazione amministrativa e quindi di corruzione.

                                  
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