Basil Ransom non le ha mai detto “Ti amo”.  Basil Ransom non le ha mai colto un fiore. Basil Ransom  non le ha mai sfiorato una guancia. Basil Ransom non le mai spostato dalla fronte una  ciocca dei suoi capelli rossi. Basil Ransom ha combattuto per “ottenerla”. Basil Ransom ha lavorato per estorcerla. Basil Ransom l’ha strappata via. Basil Ransom ha vinto.

Basil Ransome le ha detto , lungo più di 500 pagine, “Sei mia”  ” Sei  nata per farmi felice”, ” Sei un dono d’amore che non lascio ad altri”.  Basil Ransom  non si è mai espresso come fa un uomo innamorato,  ha preteso amore. Ha  ordinato amore con la protervia del padrone. Basil Ransom vuole Verena. La vuole ad ogni costo.  E la vuole per spegnere in lei la volontà di ribellione contro  gli stereotipi  che tengono imprigionate le donne dentro ruoli assegnati loro da una cultura  bigotta e puritana.  

Basil Ransom, uomo del Sud, Mississipiano  nostalgico dei grandi ed estesi  campi   di bianco  cotone  e di neri schiavi, ha ormai, dopo la sconfitta sudista, un solo nemico al mondo : il genere femminile  alla ricerca della propria liberazione, identità  e dignità.

“Le bostoniane” (in inglese il più neutro  The bostonians), “romanzo   americano” come lo definisce il suo autore,  scritto alla fine del diciannovesimo secolo da Henry James, è il  resoconto in  forma poetica dei primi tentativi di lotta alla sopraffazione, quasi in chiave schiavista, dell’uomo sulla donna. Primi accenni di femminismo nella grande e solenne città di  Boston.

Quando Ransom incontra Olive Chancellor, sua lontana cugina, riconosce immediatamente le differenze che li dividono. Le differenze che fanno di quella signora che odia gli uomini una donna da espugnare e rimettere al proprio posto, il posto  che compete alle donne da sempre: il ruolo di madre, di moglie,  di morbido asilo per le pene dell’uomo, per le sue membra stanche. Una donna pronta a tutto, a grandi rinunce in nome dell’amore, speciale dono da consegnare nelle mani  forti dell’uomo.

Olive prova immediatamente ostilità nei confronti  di  questo gentiluomo del Sud, venuto a cercar fortuna al Nord. Quel Nord che gli ha rubato il futuro, un futuro orgogliosamente legato alle violazioni dei principi di  umanità e di rispetto.  Lei  sa che il suo fascino potrà diventare un ostacolo al  lavoro di emancipazione, lavoro a cui si è immolata. Per lei  null’altro conta, null’altro potrebbe farla felice.  Olive è una combattente,  un’elegante leonessa che ritiene immediatamente suo cugino un bracconiere pronto a tutto. Così James, grande speleologo dell’animo umano ci narra il conflitto, la paura, la devozione. Olive conosce Verena   durante una sua performance in casa di una sostenitrice del movimento femminista e ne percepisce la  capacità di coinvolgere gli ascoltatori portandoli   dentro i  mondi  violati  delle donne.  Verene è bella,  è giovane,  e ha una voce che si allarga nell’aria accarezzando il cielo. Parla con una grazia sublime di dolore, di lotta, di consapevolezza.  Di  donne segregate e oppresse da liberare alla stregua di schiave incatenate.

Olive comprende le potenzialità di una persona dotata di una tale forza carismatica immessa sistematicamente nel mondo della lotta femminista, e la raccoglie  sotto  le sue  prestigiose ali. Olive è ricca, colta, di una classe elevata ed elitaria. Una bostoniana di ferro. E tiene Verena stretta a sé, tanto fortemente  da versare grosse somme di danaro ai suoi genitori  che, avendo ampie aspettative sul futuro della figlia come loro sostegno economico, ritengono che  le virtù filiali debbano essere  degnamente monetizzate. Quindi  Verena viene salvata da una vita grama e di piccoli  miserabili imbrogli, per essere addestrata a non considerare il matrimonio una possibilità.  Basil conosce Verena, ne  ammira estasiato il rosso della  chioma, il  viso etereo e la  voce sommessa. Scrive il suo nome sul suo “moleskine”: è una donna da redimere, riportare al vero senso della femminilità, alla soave bellezza del darsi al proprio uomo per sempre in un gesto naturale e continuo.  Basil  è povero, è uno spiantato in cerca di futuro, Olive, sua cugina, è una ricca signora, ma tutti e due lottano per raggiungere lo stesso scopo: trattenere Verena  nel proprio mondo.   Ciò che viene fuori  è l’impotenza di una vita strattonata e lacerata in una contesa senza  tenerezza. La vittima di questo gioco al massacro è Verena, sfruttata per scopi meramente personali.  A cui si  preclude la possibilità di crescere, di diventare “persona”, di riconoscere in se stessa la consapevolezza della libertà.  Non c’è amore in questa storia.  Non c’è dolce intimità se non tra le due donne,  ma l’intimità guasta di una padrona con la sua schiava preferita. Verena segue Basil, lascia la lotta, in cui non ha mai creduto veramente. Così vincono tutti eccetto lei. Vince Basil Ransom che finalmente possiede la donna “amata”,  vince Olive che continua la sua lotta  in prima linea, prendendo il posto di Verena sul palcoscenico del  Music Hall, esponendo le ragioni delle donne, finalmente affrancata dalla paura.

Un romanzo di tale portata,  che affronta un tema, purtroppo ancora tanto attuale,  così delicato e rarefatto se  cade in  mani rozze e poco sensibili  può diventare tutt’altra cosa.  Il film  “Le bostoniane” ad opera di James Ivory, autoproclamatosi  regista raffinato, è un film noioso, volgare in cui l’inquietudine  di  donne in lotta contro  la società si trasforma in una sorta di amore lesbico.  La grandissima Vanessa Redgrave nei  panni  di Olive è una donnetta  gelosa che difende il suo amore contro l’uomo che “le ruba l’amata”.

Credo che letture così alte e complesse  debbano poter  restare racchiuse dentro le pagine di un gran romanzo e non così maldestramente stravolte.