QUANDO IL PLURALISMO RELIGIOSO RICHIEDE ALLA POLITICA UN RUOLO RESPONSABILE E CONSAPEVOLE CONTRO OGNI FORMA DI FONDAMENTALISMO

 

Prendo spunto dalla partecipazione a un incontro con un’autrice canadese, Miriam Towes, per affrontare, senza la pretesa di esaurire il tema, la questione del “pluralismo religioso” contro ogni forma di  fondamentalismi oggi, in questa nostra epoca definita postmoderna. 

 

 

 

 

Il libro presentato nel corso della serata durante la quale ho conosciuto Miriam Towes porta il titolo “Donne che parlano” (Marcos y Marcos, 2018) e si ispira ad un episodio vero di violenze sessuali subite dalle donne in una comunità mennonita della Bolivia, fra il 2005 e il 2009, violenze che venivano attribuite al diavolo, e a dio, che permetteva quei fatti per punirle dei loro peccati. Ben presto, ovviamente, si scoprì la responsabilità dei maschi della comunità e proprio il “ripescaggio” di questa storia, ha riportato Miriam Toewes nella realtà in cui era nata e vissuta, fino alla fuga a 18 anni, quella dei mennoniti di Steinbach, in Canada. L’autrice, nata lo stesso anno di Banana Yoshimoto, il 1964 (giusto per inquadrare periodo) si è poi trasferita a Londra, dove vive attualmente. Laureata in Film Studies all’Università di Manitoba, ha raggiunto il successo con il libro “Un complicato atto d’amore”, del 2004, libro che è stato tradotto in quattordici lingue, nel quale viene ripercorsa, sotto forma di romanzo, un’infanzia e un’adolescenza molto simile alla sua. Nel 2014 Miriam Toews ha pubblicato “I miei piccoli dispiaceri”, che è diventato immediatamente un caso letterario in Canada e negli Stati Uniti.

E’ bene sapere che esiste una presenza mennonita anche in Italia, che risale al 1949 e la prima persona italiana ad abbracciare questa fede in Italia è stata Franca Ceraulo (1913-1969), di Palermo. Attualmente sono presenti otto congregazioni, grazie anche all’aiuto dei missionari americani: tre a Palermo, una a Cinisi, Capaci, Termini Imerese (tutte località in provincia di Palermo), Bari, Toritto (Bari); i membri sono circa 600.

In “Donne che parlano”, le cui protagoniste sono proprio le donne violate, sono loro, ragazze che non sanno né leggere né scrivere e che non conoscono altre realtà se non la loro comunità chiusa, a riscrivere la religione dal loro punto di vista, con sentimenti più umani, semplici, che riguardano l’amore, l’eguaglianza, che dovrebbero essere le basi di ogni credo religioso.

 

 

 

 

La memoria non tradisce

Ed è qui, invece, che interviene l’essere umano, con le sue diverse interpretazioni – molto terrene – dei messaggi “divini” che troppo spesso trascendono anche il reale buon senso. Mi soffermerò dunque a sottolineare solo alcuni aspetti che mi lasciano sempre molto perplessa, quando si parla di religioni, soprattutto in questa fase storica, in cui si riparla di tentativi di islamizzazione dell’occidente, ritenuto l’unico depositario di credo religiosi giusti. Andando indietro alla storia della riforma protestante, il movimento religioso di separazione dalla Chiesa Cattolica avvenuto nel XVI secolo (con un inizio identificato nel 1517), nelle sue correnti principali della Riforma luterana e della Riforma calvinista, troviamo che le comunità da essa derivanti, come per esempio gli anabattisti, sono quelle cacciate dall’Europa di quel periodo e delle guerre di religione, che si erano rifugiate inizialmente verso oriente, e poi in America (del nord e del sud), unico luogo dove hanno potuto sopravvivere e trovare una loro pace operosa. Oggi si trovano comunità rurali di origine anabattista – divise fra le correnti mennonita, hutterita e amish – soprattutto negli USA ed in Canada, con emanazioni novecentesche in Sud America. Mentre in Europa sono rimasti solo sparuti gruppi mennoniti, urbani e ben inseriti nella società moderna, quasi esclusivamente in Olanda e Germania del nord. Gli anabattisti sono stati la parte più radicale della Riforma protestante, la componente che ha subito la persecuzione più feroce, sia da parte cattolica, che protestante (luterana e calvinista) e questo li ha portati ad appartarsi in congregazioni di comunità “fuori dal mondo”, radicalmente pacifiste (si rifiutavano di partecipare alle guerre del tempo), basate sulla meticolosa applicazione dei precetti evangelici in modo collettivo, identificante, e a volte anche sulla proprietà comune.

Nei romanzi di Miriam Towes, in effetti, si trovano spesso descrizioni della società mennonita, da lei conosciuta direttamente, con famiglie infelici e chiuse da una cultura dagli orizzonti ristretti, da un super-io religioso angosciante e penalizzante, che soffoca la vitalità dell’individuo. E come ricorda Giacomo Sartori, in una sua recensione del libro “Donne che parlano” (1) “…fa un certo effetto incontrare questa erede degli esuli anabattisti fuggiti alle guerre di religione, impegnata secoli dopo in una sua personale rivolta letteraria contro l’oppressione a cui è approdata la ricerca di libertà dei suoi avi: ironie della storia. E occasione per riflettere sui contro-circuiti fra trascendenza e routine quotidiana, ideali e realtà, dimensione collettiva comunitaria e soggettività individuale. Francesco Alberoni direbbe: fra ‘stato nascente’ ed ‘istituzionalizzazione’, e mi sembra la terminologia più corretta…”

Religioni e ispirazioni spirituali oggi

Come ho già scritto, non ho qui la pretesa di essere esaustiva con un excursus sulle religioni e le cosiddette “vie spirituali” degli approcci di oggi al “sacro”, ma vorrei solo tentare di dare un’interpretazione più razionale a fenomeni che rischiano di diventare davvero derive in mano anche a persone senza scrupoli, se non addirittura pericolose, destinate a riportarci indietro di secoli, con guerre sedicenti di religione, che altro non sono di potere economico-finanziario. “Follow the money” è in realtà il triste motto a cui ci siamo, nostro malgrado, abituati.

Segnalo, come fonte utile e attendibile a cui mi sono ispirata, e da cui ho tratto i dati qui riportati, il sito Internet del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni (www.cesnur.org), che ha ideato e promosso un’iniziativa di esame della situazione attuale, precisando però che “…Il contesto è di continua mutazione del quadro religioso, il che rende impossibile – nonostante ogni cura – una trattazione esaustiva. Alcuni dati cambiano con frequenza, letteralmente, quotidiana…”.

Tralasciando qui, per motivi di spazio e di opportunità tutta l’illustrazione della visione di San Giovanni Paolo II (1920-2005), sull’epoca attuale, quella della “post-modernità”, cattolici e non cattolici potranno trovarsi d’accordo nel constatare che, in effetti, con il passaggio all’epoca cosiddetta postmoderna si sono determinati “cambiamenti significativi e durevoli”, anche nel settore della religiosità.

Mentre sembra che il numero delle persone che si dichiarano atee e agnostiche non aumenti in modo significativo, in quasi tutti i paesi del mondo – con l’eccezione di alcuni paesi europei a lungo sottoposti a propaganda antireligiosa da parte di regimi comunisti – il numero di coloro che dichiarano di credere in una qualche forma di potere superiore alla persona umana, o a una vita dopo la morte, o affermano di consacrare qualche tempo durante la settimana a forme di preghiera o di meditazione, si attesta intorno all’ottanta per cento della popolazione, con punte in paesi non secondari – Stati Uniti compresi – oltre il novanta per cento. Il fenomeno del “ritorno del religioso” è dunque così evidente da non potere essere ignorato.

Prescindendo da indagini che fanno riferimento esclusivamente il cristianesimo, alcuni sociologi indicano, quando si parla del sacro postmoderno, un dato di carattere negativo: dalla fine degli anni 1980, il consenso di massa nei confronti della scienza – particolarmente della medicina, la scienza “pratica” con cui le persone comuni vengono più normalmente a contatto – non è più unanime. A partire dagli ultimi anni del decennio 1980, in diversi paesi, il consenso popolare nei confronti della scienza e della medicina scende a quelli che sono probabilmente i livelli più bassi del secolo. Per contro, qualunque forma di cura medica che si presenti come “alternativa” rispetto alla medicina “ufficiale”, o da questa disapprovata, incontra immediatamente un vasto consenso popolare. Sembra davvero che il termometro scientifico scenda e che salga il termometro del sacro, in direzione però sempre più spesso di forme di sacro aperte al meraviglioso e al “reincanto del mondo”.

Per comprendere chi veramente beneficia del contemporaneo ritorno del sacro occorre superare alcuni pregiudizi tanto diffusi quanto infondati. Prima di tutto, non è del tutto vero che il ritorno del sacro si verifichi completamente al di fuori delle religioni maggioritarie e delle chiese storiche. Certo, mentre le statistiche sul numero di persone che si dicono interessate alla religione o al sacro sono notevolmente simili da paese a paese, le statistiche sul numero dei praticanti sono molto diverse. In effetti, quello che è stato definito “il declino della pratica religiosa in occidente” è stato probabilmente sopravvalutato, con la diffusione di un “mito della chiesa vuota”, che non corrisponde alla reale situazione, molto più articolata.

 

Una data di “passaggio”: l’11 settembre 2001

All’interno delle religioni tradizionali, e dello stesso cristianesimo, ci sono movimenti i cui ritmi di crescita non hanno nulla da invidiare a gruppi cosiddetti neo-religiosi. Dopo l’11 settembre 2001, una sorta di “magia dell’11 settembre” spinge molti credenti – e anche alcuni non credenti – a riscoprire l’eredità cristiana. Prescindendo dai fenomeni complessi che avvengono all’interno dell’Islam, dell’induismo e dell’ebraismo – talora accomunati dall’etichetta, non sempre precisa, di “fondamentalismi” – si può notare che i movimenti di rinnovamento carismatico all’interno della chiesa cattolica e le comunità pentecostali nell’ambito protestante contano nel mondo qualche centinaio di milioni di fedeli e possono vantare ritmi di crescita superiori a quelli, spesso citati come spettacolari, dei mormoni o dei Testimoni di Geova. Vero è che una notevole quota del ritorno al “sacro” è rappresentata da fenomeni che si trovano al di fuori delle grandi religioni e delle chiese storiche, ma va sfatato il concetto di “invasione delle sette”, anche se questo tipo di . movimenti religiosi – che si possono definire in qualche modo “alternativi” – sono moltissimi.

Nel nostro paese, dove il concetto di pluralismo religioso è più recente, le sigle “nuove” sono comunque numerose, anche se il numero di aderenti a questi movimenti rimane piuttosto limitato. Naturalmente, le statistiche dipendono da dove, esattamente, si pone la linea di demarcazione fra le religioni “storiche” e i “nuovi movimenti religiosi”. Molte sigle, a volte significative dal punto di vista culturale e tipologico, hanno però un numero molto limitato di aderenti e in questo caso, più che di una “invasione delle sette” si dovrebbe parlare di una “invasione delle sigle”.

Un discorso a parte è, invece, quello che riguarda le minoranze religiose, che in Italia significa le religioni diverse dalla cattolica e che interessa più di 2 milioni di persone se si considerano i cittadini italiani, mentre salgono a più di 6 milioni se si includono gli immigrati non cittadini italiani, con un rilievo particolare per il mondo islamico e più secondario per un’immigrazione cristiano-ortodossa dall’Est europeo di proporzioni notevoli. Ma in Italia sono rappresentate anche altre religioni, quali l’induismo, il buddhismo, le religioni sikh e altre, un significativo protestantesimo pentecostale e battista di origine cinese, coreana, filippina e africana, o l’immigrazione copta proveniente da diversi paesi dell’Africa.

Se si considerano i residenti sul territorio la percentuale di appartenenti a minoranze religiose  arriva intorno al 10%, il che implicherebbe, ovviamente, una consapevolezza delle forze politiche e sociali, anche nel nostro paese, sul fatto che il pluralismo, anche religioso, richiede un ruolo responsabile e consapevole nella definizione di regole e normative.

Ma questa è un’altra storia.

 

Note:

(1) Giacomo Sartori, “Fuga da una comunità mennonita (Ovvero le ironie della storia)”, www.nazioneindiana.com, 6 novembre 2018