I)    Nel linguaggio economico Dumping è un anglesismo   che identifica  la  pratica in cui il prezzo richiesto da un’impresa per i suoi beni in un mercato estero é inferiore al prezzo che il produttore di quel bene applica nel paese d’origine ( mercato domestico interno) o al costo di produzione: dumping  di “prezzo”  o “ dumping di “costo”.

Il Dumping provoca come reazione difensiva l’introduzione  di barriere doganali , tra cui i dazi antidumping,  tariffe che tendono a normalizzare  il prezzo  del bene  venduto sul mercato di ingresso.

Le fonti regolamentari delle  vendite in dumping sono costituite: 

 

1) dalle norme internazionali antidumping  del General Agreement on Tariffs andTrade (GATT), Trattato commerciale internazionale per stimolare la ripresa economica dopo la seconda guerra mondiale, firmato nel 1947 a Ginevra dai Paesi rappresentanti i 4/5 del commercio internazionale con l’intento di favorire la liberalizzazione del commercio mondiale in base agli impegni di riduzione delle barriere commerciali,  secondo il principio della nazione più favorita (le condizioni applicate al paese più favorito devono estendersi a tutte le nazioni partecipanti).

2) dalle norme  della WTO – Trade World Organization, Organizzazione Mondiale del Commercio ,nata il 1 gennaio 1995 dalla trasformazione dell’Accordo GATT in una Organizzazione internazionale dotata di personalità giuridica cui aderiscono 164 Paesi  (incluse Cina dal 2001 e Russia dal 2012) , che rappresentano il 95% del commercio mondiale;

3) dalle norme del diritto comunitario,  a partire dai Regolamenti CE  84/ 96 e della UE     n. 1225/2009 e  n.2016/1036 – 8 giugno 2016  e successive modifiche, nonché dall’Accordo 30 giugno 1967 sull’applicazione dell’art. VI del GATT  (Codice Antidumping) a tutela della libera concorrenza in quanto possono determinare gravi distorsioni sul mercato di importazione.

Secondo la Corte di Giustizia Europea  (parere 1/94) l’Accordo WTO costituisce un Accordo misto a cui partecipano contemporaneamente  la UE e i Paesi membri, ognuno nelle materie di competenza. La politica commerciale è di competenza dell’UE, rappresentata nella WTO non dagli Stati membri ma dalla Commissione e quindi  è in quella sede che vengono poste le questioni di dumping.

Attività principali della WTO sono:

a) negoziare l’abolizione o la riduzione delle  barriere tariffarie al commercio internazionale avendo riguardo non solo ai beni commerciali ma – a differenza del GATT – anche ai servizi e alle proprietà intellettuali.

b) controllare l’applicazione delle norme concordate;

c) risolvere le  controversie tra i membri.

Il funzionamento è demandato:

– ad una Conferenza biennale dei Ministri, ove sono rappresentati tutti gli Stati membri;

-un Consiglio Generale che svolge le funzioni della Conferenza nell’intervallo delle riunioni biennali e  si riunisce quando si deve intervenire nelle risoluzione delle controversie;

-un organo di appello (Appellate Body) nella risoluzione delle controversie ;

-un Segretariato affidato al Direttore Generale, figura chiave dell’Organizzazione.

 

II)   Una classificazione del dumping comunemente adottata in relazione temporale è :

Persistente, se dura indefinitamente, quando la domanda interna è meno elastica e quella esterna è altamente elastica .

L’impresa  utilizza all’estero il prezzo di costo marginale  e nel mercato domestico il prezzo di costo pieno che copre i costi fissi.

 I Giapponesi non avendo concorrenza interna vendevano elettronica a prezzi elevati sul mercato domestico e bassi a difesa del mercato negli USA.

Sporadico/intermittente: non ha uno scopo direttamente competitivo. E’ praticato quando la produzione interna è in eccesso o vi sono scorte invendute e/o per eliminare scorte di un prodotto tecnologicamente superato. Il produttore riesce a non dover ridurre il prezzo interno o a prevenire una guerra dei prezzi interni.

 

Il dumping può apparire un comportamento autolesionistico, dietro il quale vanno ricercate  invece considerazioni strategiche del tipo:

-insediarsi o rafforzarsi con nuove relazioni commerciali su un mercato estero, magari operando in perdita per un certo periodo;

-riversare all’estero  la propria sovraproduzione;

-ottenere avere economie di scala, specie per le grandi imprese laddove la produzione richiede  enorme capitale fisso per produrre i beni.

Principali condizioni per operare in  dumping:

-Il mercato estero dovrebbe essere competitivo e quello interno sostanzialmente monopolistico.

-L’elasticità della domanda dovrebbe essere diversa nei due mercati, meno elastica nel mercato interno ma assolutamente elastica in quello  estero.

-Dato che  la merce viene venduta  separatamente sui due mercati, la quantità  deve essere regolata in modo tale che i ricavi marginali sui due mercati siano uguali. La produzione più redditizia   si ha in un punto ove il reddito marginale combinato dei due mercati è uguale costo marginale. Quindi il prezzo e la produzione vengono determinati dall’uguaglianza dei ricavi marginali e della curva dei costi marginali di produzione delle merci.

– La merce non deve rifluire  dall’estero a prezzi inferiori a quelli praticati sul mercato nazionale.

 

III)    Il Dumping da molti economisti è considerato per se stesso un tipo di “prezzo predatorio”.

Il prezzo predatorio è un prezzo molto basso con lo scopo di eliminare la concorrenza per poter  applicare prezzi molto più alti in un secondo tempo.

Ad es. riducendo il prezzo al disotto del costo marginale di produzione si alza una barriera all’ingresso sul mercato di un outsider che non può usufruire di economie di scala. Si vende anche in perdita purché e finché  i concorrenti escano o rinuncino ad entrare nel mercato di quel prodotto.  Poiché peraltro si devono sostenere  perdite per un periodo sufficiente  ad eliminare o ridurre l’espansione di un concorrente, questo prezzo  può essere  affrontato solo con ingenti risorse.

Un prezzo predatorio è per sua natura temporaneo, oltre che anticoncorrenziale, e  può sconfinare in un  abuso di posizione dominante. In base  all’art. 102  del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea – TFUE i prezzi sottocosto non sono consentiti da chi ha una posizione dominante sul mercato e il prezzo ha il solo fine di abolire la concorrenza .

 IV)  In quanto discriminazione internazionale di prezzo il dumping configura una  forma di concorrenza sleale e una barriera al commercio internazionale.

In presenza di  dumping i risultati competitivi più che dalla competitività sono determinati dalla distorsione stessa. Il che vuol dire che il dumping può consentire ad un’industria meno  efficiente, ma protetta, di sostituire un concorrente più efficiente.

Essendo il dumping una pratica commerciale distorsiva dei normali equilibri di mercato, la WTO consente ai Paesi importatori di avvalersi di  appositi strumenti e misure difensive  per ripristinare una concorrenza non distorsiva dell’equilibrio di mercato(i c.d. Trade Defense Instruments – TD).

Si annoverano tra  queste misure i dazi antidumping (oltre a dazi compensativi e clausole di salvaguardia , art. 133 del TCE Trattato Comunità Europea ) che vanno a bilanciare  il margine di dumping, cioè la differenza tra prezzo utilizzato nelle normali operazioni commerciali nel Paese di esportazione (valore normale) e prezzo all’esportazione.

La WTO  vieta dazi superiori al margine di dumping, che quindi  costituisce il  livello di dazi antidumping   più elevato del Paese importatore.

La regolamentazione Antidumping   si basa sull’art. VI (Accordo Antidumping) e sull’art. XVI del GATT 1994 (antisovvenzioni), recepita nell’Ordinamento UE con il Regolamento 1225/2009 e successive modifiche. L’imposizione di misure antidumping è regolamentata dall’Agreement on Implementation of Article VI of GATT 1994, che è parte integrante degli accordi WTO.

L’ Antidumping  si é sviluppato negli ultimi decenni . Negli anni 80 lo strumento era  adottato in pratica solo dai  traditional users (Canada, Australia, Nuova Zelanda, USA e UE), colpendo più di altri gli esportatori giapponesi.   Già nel 2001 avevano introdotte norme antidumping 97 Paesi (contando la EU come 1 paese) tra cui molti paesi in via di sviluppo.

Nel 1958 i partecipanti al GATT avevano in atto solo trentasette misure antidumping. Dal 1995 ,nascita della WTO, i suoi membri hanno avviate oltre 2500 indagini sui dumping  e previsto oltre 1500 misure antidumping. La sola UE nel settore acciaio ha varato  oltre 40 misure antidumping, di cui una ventina per la Cina. Alla fine del 2019 l’UE disponeva di oltre cento misure antidumping.

I settori maggiormente coinvolti sono l’acciaio, l’alluminio, il chimico, il tessile e l’elettronica.

 

 V)   Le misure antidumping sono una forma di “protezione amministrata” (administered protection,) ma possono essere viste  anche come una forma di puro protezionismo,  in quanto  c’è il rischio che i singoli Stati le usino surrettiziamente per finalità protezionistiche e quindi pur essendo state introdotte  come strumento difensivo, possano essere impiegate per finalità protezionistiche e quindi più come strumento offensivo che difensivo.

Poiché l’applicazione dei dazi antidumping avviene  a seguito di un processo amministrativo si può spesso dubitare dell’indipendenza delle amministrazioni governative, chiamate ad effettuare le inchieste sotto  ingerenze politiche.

Questo in primo luogo è vero sia per gli Stati Uniti che per la Cina. Per la Cina si riscontrano  casi anche  recenti dove il ricorso all’antidumping è  strumentalizzato  in chiave di ritorsione politica  (vera rappresaglia) come accade ad es. nei suoi recenti rapporti  con l’Australia.

Quest’ultima destina alla Cina un terzo (circa 120 MD di dollari USA) del totale del proprio export (principalmente carbone e minerali di ferro). I rapporti tra Pechino e Canberra si sono raffreddati quando  l’Australia si è fatta promotrice della richiesta di una Commissione internazionale sull’origine del Covid-19  e quando ha partecipato alle manovre militari USA nel Mar  Cinese meridionale.

La conseguenza – con un timing che lascia quanto meno perplessi –  sono  i dazi cinesi  sulla carne bovina australiana, un dazio antidumping del 73,6% sull’orzo australiano (dopo un indagine di 18 mesi senza decisioni preliminari) e da ultimo l’annuncio dello scorso agosto del Ministero  del Commercio cinese sull’avvio di una indagine di dumping relativa ai vini australiani,  annunciata terminare nel 2022.

Le misure antidumping sono diventate una delle più importanti restrizioni all’importazione nel commercio mondiale:  possono essere di  10-20 volte superiori ai dazi all’importazione esistenti e arrivare fino a 100 volte la loro misura.

Negli ultimi anni l’India é uno dei paesi che fa maggiormente ricorso all’antidumping e una delle più grandi inchieste   sul dumping avviata da un Paese in via di sviluppo è quella dell’India contro la Cina sul tessile (seta e raion) . Sia la Cina che l’India sono i più grandi produttori di seta, ma i produttori indiani non coprono tute le richieste del mercato per cui  l’India è il più grande mercato della Cina, accusata di dumping dall’India che ha imposto dazi antidumping fino al   116%.

L’interscambio Cina – India è di circa 100 miliardi, con deficit commerciale dell’India  per 53 Md.

L’India a gennaio 2019 aveva in essere dazi antidumping su 99 prodotti cinesi importati. La Cina da parte sua ha tra l’altro confermato per  ulteriori  5 anni i dazi su fibre ottiche monoclonali introdotti nel 1994.

Le relazioni tra i due giganti asiatici sono piuttosto tese, anche per le questioni  di confine, come attestato dal fatto che l’India  ha rinunciato, almeno per ora, a partecipare al più grande accordo commerciale del mondo (Regional Comprehensive Economic Partnership RCEP) firmato il 15 novembre 2020, primo accordo multilaterale di libero scambio che include anche la Cina e nel quale  i 15 Paesi Membri rappresentano un terzo del PIL mondiale.

 

 VI)   Non mancano i tentativi di elusione dei dazi antidumping ,  ad es. attraverso assemblaggi o il c.d. trasbordo su Paesi terzi.

Un esempio significativo  si ha nel settore delle biciclette , anche elettriche, (dove il dumping cinese ha praticamente cancellato la filiera  negli USA). Si tratta di un settore dove in UE lavorano 100mila persone e dove l’Italia fattura circa 1,2 md anno

Nel 2013  la UE  (Reg. 502/2013) aveva  imposto dazi fino al 48%.  La produzione cinese  veniva però riesportata via Malaysia, Indonesia, Cambogia, Filippine, Pakistan, Tunisia, cosicchè nell’agosto scorso, trascorsi i 5 anni, la UE è dovuta intervenire effettuando accertamenti particolarmente lunghi e complessi, che hanno portato alla conferma per altri 5 anni del dazio del 48,5%  ma estendendolo  questa volta  anche all’import dai paesi tramite. Basta visionare il relativo  Regolamento 28 agosto   n. 2019 /1379 della Commissione con i suoi  350 capitoli per comprendere la complessità del tema.

 

VII)     Le misure antidumping sono efficaci?

Il quesito  nasce nell’ambito delle discussioni che si sono sviluppate  in merito al tema più ampio  degli effetti di un sistema istituzionalizzato di regole sul commercio mondiale. In altri termini  quali benefici un sistema istituzionalizzato in termini di certezza delle regole può apportare per l’incremento del commercio mondiale.

Ci si chiede quale sia stata l’efficacia del GATT-WTO  nel promuovere la liberalizzazione del commercio o se il sistema pre-GATT sarebbe stato già adeguato. Ci si rifà al Trattato Cobdn-Chevalier del 1860 tra Francia e Regno Unito, che ha introdotto la clausola della nazione più favorita.

Non può non riconoscersi, anche se messo insistentemente in discussione dalla Presidenza Trump, che  il coordinamento istituzionale della WTO  ha dato il suo contributo per  creare un clima più favorevole alla certezza delle regole, in funzione anche dei comportamenti dei major player mondiali. Purtroppo, pur essendoci la convinzione della necessità di riforma non esiste finora nessun progetto condiviso.

 

Il  Report 2019 della Commissione UE analizza alcune situazioni del periodo 2013-2018 ( i dazi antidumping  durano 5 anni) per comprovarne con alcuni esempi l’efficacia, specie per le PMI, sia sulla salvezza dei posti di lavoro sia sulla riduzione delle importazioni in dumping (specie con la Cina). In alcuni casi il solo annuncio della introduzione di un dazio antidumping  è risultato sufficiente a ridurre  l’export in dumping.

Secondo la Commissione  con i dazi antidumping (sommando anche quelli  anti sovvenzione) le importazioni sleali sarebbero diminuite mediamente dell’80% (range tra 57% e 99%).

Per le esportazioni in dumping dalla Cina è risultato:

-nel settore ceramico la riduzione del 28%, con stabilizzazione di almeno 60mila posti di lavoro;

-sui radiatori in alluminio una riduzione del 98% e per le ruote alluminio del 38%;

-nel settore degli acciai di varia provenienza le misure di protezione hanno portato ad un calo del 70%

– I dazi antidumping sulle importazioni di pneumatici per autocarri e autobus fabbricati in Cina (tra i più recenti) avrebbero portato a riduzioni  dell’81%.

L’effetto sostitutivo che determinano queste riduzioni può talora influenzare la qualità del bene importato: ad es. nel caso dei pneumatici la produzione proveniente da Thailandia, India, Vietnam  è considerata  di qualità inferiore rispetto a quella cinese.

VIII)  Il prossimo 31 dicembre  il Regno Unito  con l’uscita dall’Unione Doganale e dal Mercato Unico non rimarrà più vincolato alla politica antidumping della UE e sarebbe soggetto a dazi e a dazi antidumping. Con il distacco dalla UE la circolazione delle merci tra Regno Unito e UE diverrà commercio con un paese terzo su cui applicare le tariffe esterne sulle merci importate. La Commissione UE  non condurrà più indagini antidumping per conto U.K.

In assenza di Accordo (no-deal exit) dal prossimo gennaio le relazioni commerciali UK-UE saranno quindi regolate dalle norme WTO, secondo  la clausola della “nazione più favorita” (MFN).

Le  misure antidumping della UE in vigore  alla fine del 2019 erano, come detto sopra,  oltre cento . Una indagine del Dipartimento del Commercio U.K ., a seguito di consultazione del 2018 tra le imprese,  ne ha  individuate  almeno un terzo   che potrebbero  essere mantenute e altre 60 circa  che verrebbero comunque revocate.

Si tratta di misure relative per l’80 % a importazioni da Cina, poi Russia, Giappone, Corea, Brasile ma anche da Stati Uniti, relative a alluminio, acciaio, ferro, ceramica, vetro, biodiesel.

In caso di  hard Brexit sia la UE che il Regno Unito applicherebbero le tariffe esterne alle importazioni. Secondo stime  il no-deal exit significherebbe per l’Italia nel 2021 un 12% in meno di prodotti esportati e una contrazione di oltre il 27% sull’export di beni di investimento.

Se da parte britannica si vorranno  introdurre nuove misure antidumping si  dovrà operare secondo le regole WTO e non si potrà  semplicemente recepire  misure UE, ma si dovranno condurre proprie indagini per i casi di dumping.

In base all’art. 24 del GATT é possibile arrivare ad un Accordo di libero scambio  (TFA –Trade Frame Agreement) e in tal caso  sia UE che U.K. potrebbero applicare tariffe zero , ma la strada per la  sua conclusione è tuttora  in salita e si avvicina inesorabilmente la dead line del  prossimo 31 dicembre.