Il webfare è la combinazione fra web e welfare, e consiste in politiche di sostegno, educazione e valorizzazione di tutte le persone che, estromesse da cicli produttivi dall’automazione crescente, sono comunque necessarie alle macchine che, se non dovessero più soddisfare i loro desideri e i loro consumi, non avrebbero senso.

La proposta politica è il risultato che emerge dalla teoria di Maurizio Ferraris, professore di filosofia teoretica nell’Università di Torino, enunciata nel suo saggio “Documanità, filosofia del mondo nuovo” (Laterza, 2021).

Uno scenario distopico immagina che il progredire dell’automazione con lo sviluppo di macchine dotate di intelligenza artificiale arrivi al punto da rendere inutili gli esseri umani.

Maurizio Ferraris ha affrontato il problema del rapporto fra esseri viventi, che lui chiama “anime”, e macchine, che lui chiama “automi”, con uno sguardo decisamente utopico che parte dalla preistoria per arrivare fino ai giorni nostri e a scenari futuri.

Gli uomini sono animali deboli rispetto ad altri mammiferi più forti, più agili, più veloci, con sensi più sviluppati, più rapidi nel crescere e giungere alla maturità. Ma proprio questa inferiorità fisica li ha spinti a cercare aiuti al di fuori di sé, per non farsi sopraffare dai competitori. La postura eretta e la mano col pollice opponibile ha consentito loro di afferrare rami per farne un bastone con cui allungare le proprie braccia. Al bastone si aggiunge una pietra scheggiata per farne un’ascia. Nasce così la tecnologia, che si svilupperà fino a giungere ai livelli attuali.

La pietra scheggiata non è solo uno strumento amplificatore e potenziatore di un organo naturale, è anche la registrazione di un atto, la conservazione di quell’atto in qualcosa che tornerà utile per facilitare atti futuri. L’atto di scheggiare la pietra viene registrato, conservato e capitalizzato come valore riutilizzabile. Nasce così il capitale, che a sua volta genera la necessità di contare le cose capitalizzate, e di registrare i conteggi fatti con tacche incise sul bastone (da cui la scrittura) o con schegge di pietre (da cui la moneta).

Il processo con cui si sviluppa tutta la cultura umana si articola in quattro tappe:

  1. registrazione,

  2. iterazione,

  3. interazione,

  4. interruzione.

La registrazione avviene quando un atto o un evento qualsiasi sono memorizzati in qualche modo, diventando un oggetto sociale che può essere condiviso, conservato, scambiato, trasformato.

L’iterazione è il riuso dell’oggetto registrato, la prassi da ripetere per risparmiare tempo ed energie (la pietra si scheggia nello stesso modo per i due milioni di anni del paleolitico).

L’interazione è la presa di coscienza di ciò che si sta facendo, e la variazione da cui emerge un nuovo modo di fare, dove la prassi si fa poiesi, creatività (la pietra scheggiata si lega al bastone e diventa un’ascia o una lancia).

L’interruzione è la fine e il fine del processo, che termina quando ha raggiunto lo scopo di soddisfare il bisogno che lo aveva messo in moto. La pietra non viene più usata perché è sostituita dal bronzo, una tecnologia più avanzata che è emersa più di cinquemila anni fa. Ma l’arma litica non viene usata neanche quando ha ucciso e scuoiato la preda, e quindi ha ottenuto il suo scopo, fino a quando sarà riusata per soddisfare nuovi bisogni.

 

documanità

Il processo vale per qualsiasi tecnologia, fino al nostro web, con cui registriamo i nostri atti pubblicandoli su un social network, li riusiamo come documenti condividendoli, ricordandoli, comunicandoli, li modifichiamo generando altri documenti, li archiviamo o li eliminiamo quando non ci servono più.

La tecnologia dunque nasce con l’età della pietra e arriva fino alle nostre macchine intelligenti. E serve a farci risparmiare la fatica, o a lavorare al posto nostro, permettendoci di dedicarci ad attività più gratificanti. Ma senza noi umani, senza i nostri bisogni da soddisfare, le macchine non hanno senso. Ferraris dice che una macchina che produca o distribuisca sushi ha senso, ma una macchina che mangi sushi non ha nessun senso. Quindi ciò che distingue l’uomo dalla macchina è il consumo. L’uomo ha bisogno di consumare ciò che gli viene offerto dalle macchine, ma non ha bisogno delle macchine, come hanno dimostrato Diogene e gli asceti orientali. La macchina ha bisogno dell’uomo, perché senza umani che consumino ciò che produce, non servirebbe a niente.

Lo scenario futuro sarà quindi la macchina che produce, l’umano che consuma. Una macchina che non si stanca, non si annoia, quando non serve può essere spenta per riaccenderla quando serve. Un umano che quando si spegne non può più riaccendersi, e che quindi nella sua breve vita ha tanti bisogni, ha fame, sete, si stanca, si annoia, si ammala, soffre, gioca, desidera, odia, cerca di esorcizzare la morte.

Quando tutta la produzione sarà affidata alla tecnologia, l’uomo che cosa farà? Potrà finalmente godersi la vita, come facevano gli antichi romani che lasciavano tutti i negotia agli schiavi (le macchine di allora) per dedicarsi agli otia, alle arti, al pensiero, alla politica.

Ma se l’uomo sarà escluso dal lavoro e potrà dedicarsi solo all’ozio, chi pagherà per permetterglielo? Pensiamo per esempio agli oltre due milioni di NEET italiani, giovani che non studiano e non lavorano, ma che comunque vivono e consumano.

Ferraris dice che il web costituisce la grande rivoluzione dei nostri tempi, perché ci permette di registrare qualsiasi nostro atto ed evento, dalla pappa del gattino alla consegna del Premio Nobel, dai tweet che inviamo agli acquisti on line, dal meteo ai terremoti, in una parola la biosfera (l’insieme degli esseri viventi e del loro ambiente), e quindi di creare una enorme massa di documenti che chiama docusfera, di cui noi conosciamo e usiamo solo una piccola parte, con le email, le chat, i forum, le ricerche sui motori, gli acquisti, la lettura dei giornali, in una parola l’infosfera. La docusfera costituisce il moderno capitale, che vale più del petrolio perché permette di profilare i nostri comportamenti, di conoscere meglio i nostri bisogni, e quindi di sviluppare sempre di più automazione e intelligenza artificiale. Ma se il petrolio fu prodotto dai dinosauri estinti, il capitale documentale è prodotto da noi viventi, che con ogni nostra registrazione produciamo valore. E se produciamo valore, lavoriamo. E se lavoriamo, dobbiamo essere pagati.

Va rivisto il concetto di lavoro, che non è più produrre beni (quello lo fanno le macchine), ma produrre documenti. Ad esempio, se io faccio una passeggiata, non produco valore. Se però uso un contapassi on line, produco valore, e quindi lavoro. Se vado al ristorante non lavoro, ma se scelgo il ristorante con Tripadvisor e poi posto su Facebook la foto del piatto che sto mangiando, lavoro perché produco dati e metadati, anche se non ne sono consapevole. Questo lo hanno ben compreso i cinesi, che hanno dotato un miliardo e mezzo di persone di smartphone con cui fanno tutto, producendo una docusfera di dimensioni gigantesche, e dominando i mercati mondiali.

Ma i frutti del mio lavoro, a chi vanno?

Alle piattaforme web (Amazon, Google, Tik Tok, Uber, ecc. ecc.) e alle società meno note che gestiscono programmi di big data analisys e di intelligenza artificiale, che infatti si stanno arricchendo in modo abnorme.

A questo punto Ferraris fa una proposta politica di equità sociale: tassare le piattaforme per costituire un webfare, un welfare basato sul web, che riconosca il lavoro prodotto da tutti noi, e lo ricompensi con iniziative sociali per ridurre le disuguaglianze, e con programmi educativi per sviluppare e migliorare i consumi, ossia le richieste al sistema produttivo di tutto ciò che può soddisfare bisogni di benessere fisico, mentale, spirituale, sociale, ambientale. Non si tratterebbe di assistenza a persone improduttive, ma di ricompensa a persone produttive. Il lavoro che le macchine possono fare meglio di noi va lasciato a loro, e noi dobbiamo impegnarci a fare ciò che le macchine non possono fare, e cioè vivere e morire il meglio possibile. Ferraris non esclude reddito e salario minimo garantiti, ma ritiene essenziale affiancare ad essi la ridistribuzione del plusvalore che le piattaforme realizzano con l’asimmetrica gestione non tanto dei dati dell’infosfera, quanto dell’enorme massa dei metadati della docusfera, come stanno facendo i cinesi che hanno nazionalizzato le piattaforme e ridotto i disoccupati da 110 milioni a 12 milioni.

Quindi, caro lettore, leggendo questo articolo hai lavorato, e condividendolo continui a lavorare, ossia a produrre valore. Ma finora nessuno te lo riconosce!