Mi riferisco alla città di Roma ed alle condizioni nelle quali sono costretti a vivere i cittadini di questa città. Condizioni che sono giunte ad un tale livello di degrado complessivo che mi corre l’obbligo di denunciare. Non mi soffermerò sull’individuazione dei disservizi né sui luoghi comuni ad essi legati noti per l’appunto ormai a tutti ma cercherò di proporre una chiave di lettura che partendo da dati oggettivi cerca di individuare la cause con l’indomita speranza che, una volta individuate, la cittadinanza, attraverso strumenti democratici, possa rimuoverle e migliorare le proprie condizioni di vita.

A mia memoria gli ultimi anni nei quali le condizioni di vita a Roma erano sostanzialmente accettabili risalgono alla fine degli anni ’90 e, se proprio vogliamo mettere uno spartiacque direi con la fine del mandato del sindaco Rutelli. Quindi siamo nel 2001. Sono passati 22 anni e la situazione si è progressivamente deteriorata fino a raggiungere lo stato di emergenza nella quale ci troviamo oggi. Dopo Rutelli ricordo i 2 mandati di Walter Veltroni (2001-2006 e 2006-2008), poi il commissariamento di Mario Morcone (da feb 2008 ad apr 2008), poi Gianni Alemanno (2008-2013), poi Ignazio Marino (2013-2015), poi ancora il commissariamento di Francesco Paolo Tronca (2015-2016), poi Virginia Raggi (2016-2021), ed infine Roberto Gualtieri (2021- attuale). Sindaci di varia estrazione politica, di destra, di sinistra, non allineati, con curriculum studi tra i più vari (Veltroni – diploma di istituto professionale per la cinematografia e la televisione; Alemanno – laureato in ingegneria dell’ambiente e del territorio; Marino – medico chirurgo; Raggi – laureata in giurisprudenza; Gualtieri – laureato in lettere). Alcuni impegnati da tempo in attività politica (Veltroni, Alemanno, Gualtieri), altri outsider della politica e del ruolo (Raggi, Marino). Ebbene hanno tutti fallito. Nessuno di loro è riuscito a governare Roma, a gestire alcunché, a risolvere i problemi che la città incontrava (alcuni storici come il traffico, altri nuovi come l’emergenza rifiuti, altre attività che erano state il fiore all’occhiello della città come il Servizio Giardini lasciate morire).

Ai vari sindaci che si sono succeduti quando a turno i giornalisti, le associazioni dei cittadini e delle imprese hanno chiesto conto del degrado, dei disservizi e del malfunzionamento delle strutture e del loro operato tutti si sono trincerati dietro al fatto che mancano le risorse finanziarie per rendere ai romani i servizi che meritano e non si è mai andati oltre questa motivazione che, seppur condivisa da alcune forze politiche non è di per sé sufficiente a giustificare la situazione.

Analizziamo qualche dato.

Nel 2001 la popolazione residente nel Comune di Roma era di 2.545.860 persone. Nel 2005 (primo anno nel quale sono riuscito a rilevare dati comparabili) erano 2.547.677 (quindi sostanzialmente gli stessi). Nel 2023 i residenti nel Comune di Roma sono 2.749.031. Si è registrato quindi un incremento di 201.354 persone residenti, pari al +7,90%.

A fronte di questi residenti le entrate del Comune di Roma (dati tratti dai bilanci consuntivi del Comune di Roma) nel 2005 sono state 4.706.544.753,00 euro, nel 2021 (ultimo dato rilevabile) sono state 6.672.128.512,00 euro. C’è stato quindi un incremento di 1.965.583.759,00 euro, pari al +41,76%.

Le conclusioni che possiamo trarne sono che a fronte di una popolazione con un leggero incremento (+ 7,90%) abbiamo assistito ad un incremento delle entrate di ben il 41,76%.

Quindi la domanda è: come mai fino al 2005 con una popolazione di 2.5 mln di abitanti (cioè appena 200.000 persone in meno di oggi) ed entrate inferiori del 41,76% rispetto ad oggi i trasporti pubblici funzionavano, gli autobus non si incendiavano, le metropolitane passavano, i rifiuti venivano raccolti e smaltiti, il verde pubblico era curato ed anzi il nostro servizio giardini ci era invidiato e venivano da fuori Comune a imparare il mestiere?

Domanda semplice alla quale gli amministratori locali non hanno mai dato una risposta se non appellarsi all’aumento dei costi, all’inflazione (che negli ultimi 20 anni non c’è praticamente stata), etc.

Un principio di gestione evidentemente ignoto agli amministratori pubblici e che invece conoscono molto bene tutti i manager delle imprese private è che un responsabile è tenuto per proprio ruolo a conseguire gli obiettivi in una situazione di risorse scarse, altrimenti in condizioni ottimali sarebbero capaci tutti e non ci sarebbe bisogno di manager (la stessa cosa dovrebbe valere, ovviamente, e a maggior ragione, per gli amministratori pubblici).

Ma prima di tornare su questo argomento vorrei approfondire altri aspetti che ci possono far comprendere come siamo giunti a questo punto.

  1. ETICA DEL LAVORO

    1. Nel corso degli ultimi 20 anni (e forse più) c’è stato un progressivo aumento dei diritti ed una diffusa sindacalizzazione. Questo è un bene, beninteso. Ma a questo aumento dei diritti è corrisposto un allontanamento progressivo dei doveri a tutti i livelli. Ci si è dimenticati del patto che sta alla base di qualsiasi contratto di lavoro. Remunerazione a fronte di un impegno, a fronte di responsabilità, a fronte di una prestazione lavorativa, a fronte di una lealtà nei confronti del datore di lavoro. Questo ha portato nel tempo a ritenere non dico legittimo ma piuttosto di non contravvenire agli impegni presi nel contratto di lavoro a fare assenze ingiustificate, a non rispettare gli orari di lavoro, finanche a rubare il gasolio dalle macchine aziendali o a fare accordi con i fornitori dell’azienda per un tornaconto personale. E’ ovvio che laddove si diffondono queste pratiche si genera una cultura che ha portato nel tempo ad un fallimento di fatto delle aziende. Si rende necessario quindi solo prenderne atto. Credo che vada rinnovato a tutti i livelli (operai, impiegati, dirigenti) e, in particolare nella pubblica amministrazione e nelle aziende da questa partecipate il patto che sta alla base del contratto di lavoro, da troppi anni dimenticato e che ha portato, nella migliore delle ipotesi, ad una anarchia diffusa e profonda.

  2. CONTROLLI

    1. Capita spesso (per non dire sempre) di vedere effettuare lavori di pubblica utilità (che sia la potatura di alberature, il rifacimento di strade o marciapiedi, la raccolta dei rifiuti, le corse degli autobus, la pulizia delle strade), siano essi di ordinaria piuttosto che di straordinaria manutenzione senza il controllo di un ente terzo. Ora, anche in questo caso, è noto che senza un efficiente sistema di controlli (di primo, di secondo e di terzo livello) nessuna organizzazione è in grado di funzionare bene. Ebbene nel Comune di Roma questo non esiste. Non ho mai visto un soggetto terzo controllare una potatura (spesso appaltata a ditte esterne), il rifacimento di strade o marciapiedi (anch’essi appaltati a ditte esterne), il rattoppo delle famose buche (anch’essi appaltati a ditte esterne), lo stralcio erboreo (anch’esso appaltato a ditte esterne), l’installazione di impianti di innaffiamento in parchi pubblici (anch’esso appaltato a ditte esterne), e potrei continuare all’infinito….

    2. Non solo mancano i controlli di primo livello (quelli che dovrebbe fare di sua iniziativa la stazione appaltante), quelli di secondo livello (quelli che dovrebbe fare una struttura aziendale diversa da chi fa i controlli di primo livello) e quelli di terzo livello (quelli che dovrebbe fare una struttura terza estranea alla stazione appaltante), ma manca proprio la CULTURA DEL CONTROLLO come competenza diffusa negli operatori

    3. Anche in questo caso è scontato che una qualsiasi organizzazione pubblica o privata che non instauri una cultura del controllo diffusa e profonda e non attivi gli strumenti per rendere i controlli efficienti ed efficaci non può andare lontano ed i casi di AMA e ATAC a Roma sono eclatanti in tal senso.

  3. COMPETENZE

    1. Qualcuno, in verità, ha posto da tempo questo problema che ritengo sia fondamentale ancorché non l’unico. Tra i proclami, la propaganda, gli annunci e la messa a terra dei progetti, delle attività, delle risorse c’è una bella differenza e la differenza sta nella capacità di gestione. Le competenze non si comprano né si ereditano. Si costruiscono con lo studio e con l’impegno. Non è neanche un problema di titolo di studio. Le competenze ricordo ai non addetti ai lavori sono composte da conoscenze, abilità ed attitudini. Le conoscenze si possono acquisire attraverso lo studio (nel caso degli amministratori pubblici delle norme e dei regolamenti che fanno funzionare la macchina amministrativa pubblica), le abilità si possono sviluppare se già in partenza si possiede una solida base (una persona timida, chiusa, introversa difficilmente potrà diventare un trascinatore di popolo o un bravo team manager), le attitudini fanno parte di quegli elementi caratteristici dell’individuo che lo contraddistinguono e lo possono favorire in determinate attività e non si possono acquisire, né sviluppare, ma possono aiutare molto (ha un talento innato nella musica, nella danza, nell’arte pittorica, nel trascinare gli altri).

    2. I sindaci che si sono succeduti negli ultimi 22 anni a Roma non si sono contraddistinti per le loro competenze dato che non sono riusciti a gestire alcunché. E l’attuale sindaco non sembra differenziarsi dagli altri. Siamo passati dall’emergenza episodica (come dovrebbe essere in natura), all’emergenza strutturale e lo scarico delle responsabilità e la ricerca del capro espiatorio è all’ordine del giorno.

  4. SENSO CIVICO

    1. Una parte di responsabilità la hanno anche i romani. Parcheggiare in doppia o terza fila la propria autovettura, gettare i sacchetti dell’immondizia al di fuori dei recipienti predisposti anche quando questi sono capienti, gettare rifiuti ingombranti in strada anziché portarli in discarica, certamente non aiuta a tenere la città pulita ma ciò non esima gli enti predisposti (AMA nella fattispecie) a svolgere efficacemente il servizio di pulizia.

 

Che fare dunque?

  1. Come legislatore

    1. istituire il reato di incompetenza in modo da poter sollevare dall’incarico l’amministratore pubblico che, da un giudizio espressamente e strutturalmente fornito dalla cittadinanza (le metodologie e la tecnologia oggi consentono di farlo agevolmente) non si dimostri all’altezza della situazione (questa sì potrebbe essere una forma di democrazia diretta!).

  2. Come cittadini del Comune di Roma

    1. Agire proattivamente quando le cose non funzionano. Andiamo a protestare sotto al Campidoglio per i rifiuti, per i trasporti, per il verde pubblico, oltre che per la pace in Ucraina e promuoviamo e firmiamo petizioni popolari per chiedere le dimissioni del sindaco incompetente ove le forze politiche non trovino in sé il coraggio, la convenienza, la forza di farlo.

  3. Come forze politiche

    1. I tempi sono cambiati. E’ ora che le forze politiche si rendano conto che la popolazione esige una gestione corretta, efficace ed efficiente della cosa pubblica e prendano atto delle situazioni critiche come quella del Comune di Roma e trovino le soluzioni per rimuoverle.

 

 

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