Il lavoro di squadra divide i compiti e moltiplica il successo (Anonimo)
Siamo arrivati al settimo contributo sulla teoria dell’organizzazione (1).
Nel primo abbiamo esaminato la nascita del problema organizzativo a partire dal mercato (Caos Management 153); nel secondo si è vista la doppia ricerca nelle organizzazioni di certezza e di flessibilità (Caos Management 154); mentre nel terzo è emersa la crisi della forma burocratica (Caos Management 155) e infine nel quarto contributo le decisioni a razionalità limitata (Caos Management 156). Mentre nel quinto articolo la nostra attenzione si è rivolta alla struttura organizzativa e i parametri di progettazione (Caos Management 157).
A sua volta questa tematica è stata distinta in tre punti: struttura e parametri di progettazione, già affrontata nella prima articolazione pubblicata, i meccanismi di coordinamento successivamente descritti (Caos Management 158) e l’analisi delle microstrutture affrontata in questo nuovo numero de il Caos Management.
Le microstrutture
L’analisi e la progettazione delle microstrutture riguarda la strutturazione del lavoro delle persone (2) nelle aziende, ossia la composizione delle attività essenziali connesse alle loro posizioni o mansioni organizzative, raggruppate in modelli di organizzazione del lavoro.
La mansione (o job) è composta da compiti che a loro volta raggruppano attività elementari, sulla base di alcuni criteri, tecnici o sociali, interdipendenze tecnologiche o psicologiche. L’insieme integrato di queste posizioni o ruoli organizzativi corrisponde ai sistemi primari di lavoro, un insieme di attività interdipendenti (operative e di supporto), coincidenti con un output finale (o intermedio) ben identificabile e definito (3).
Naturalmente, è sempre opportuno accompagnare queste operazioni di aggregazione e di valutazione delle interdipendenze intercorrenti tra mansioni o posizioni, nell’ambito dei sistemi primari di lavoro, dalla scelta degli opportuni meccanismi di coordinamento utilizzabili, la cui tipologia è già stata esaminata precedentemente (interazione comunicativa, supervisione o standardizzazione)
Tenendo presente che le interdipendenze tra le persone possono essere di vario genere:
- generiche, con l’appartenenza al contesto aziendale;
- sequenziali, quando le relazioni sono seriali, procedendo da una mansione all’altra e così di seguito, coinvolgendo altre posizioni significative;
- reciproche, quando le relazioni sono a due vie, da una posizione all’altra e viceversa;
- oppure, intensive, quando la reciprocità riguarda più posizioni organizzative, continuamente attivate in base all’esigenza dei processi e ciò influisce, ovviamente, sui meccanismi di collegamento e integrazione adottati.
Le posizioni organizzative, così costituite, confluiscono poi in un modellò di organizzazione del lavoro (OL) che deve avere tre principali caratteristiche:
- efficacia (raggiungere gli obiettivi),
- efficienza (ottimizzare l’impiego delle risorse)
- ed equità, ossia, la dovuta attenzione alle persone e motivazione di queste (4).
Le posizioni organizzative, sono, dunque, il risultato delle caratteristiche strutturali dei compiti e della loro aggregazione nella mansione esaminata, nell’ambito del contesto del sistema primario di lavoro considerato.
I compiti, a loro volta, sono il risultato dell’aggregazione di un insieme di operazioni unitarie o attività umane non separabili (indivisibili per motivi tecnici o psicologici) che costituiscono l’unità elementare dalla quale partire per progettare il modello di organizzazione del lavoro.
Naturalmente l’assegnazione dei compiti alle mansioni rifletterà anche il tipo di divisione del lavoro effettuata a livello micro, con la divisione del lavoro orizzontale che esprime la varietà della mansione e la divisione del lavoro verticale che identifica l’autonomia e il controllo possibile sull’attività definita dalla mansione.
La dimensione orizzontale delle mansioni, corrispondente a pochi compiti di lavoro e posizioni molto specializzate orizzontalmente, coincidono con la ripetitività e standardizzazione del lavoro, che determina alta produttività, derivante dall’apprendimento e dalla destrezza del lavoratore, nonché dalla riduzione dei tempi morti e sviluppo di nuovi metodi e tecnologie di lavoro. Mentre la dimensione verticale della specializzazione, con differenziazione tra esecuzione e direzione del lavoro, esprime una bassa autonomia decisionale, con il lavoratore che ha una prospettiva limitata al suo compito di lavoro.
In tutti e due i casi sia il coordinamento che il controllo del lavoro, nel suo complesso, sono affidati ai manager della linea intermedia o agli analisti della tecnostruttura.
In definitiva incrociando le due variabili, quella della specializzazione verticale e quella della specializzazione orizzontale, rispettivamente con il livello basso o alto (della specializzazione), emergono quattro configurazioni lavorative:
- le mansioni non qualificate (alta specializzazione orizzontale e verticale) tipiche del nucleo operativo;
- se la specializzazione orizzontale è alta mentre quella verticale è bassa, allora saremo di fronte a mansioni professionali o competenze codificate, possibili nel nucleo operativo (professionalizzato) e tipiche delle unità di staff;
- alcune posizioni manageriali di più basso livello nella linea intermedia (capo squadra, capo reparto) saranno caratterizzate da bassa specializzazione orizzontale e alta specializzazione verticale;
- infine tutte le altre posizioni manageriali saranno contraddistinte da bassa specializzazione orizzontale e verticale, in quanto, all’apice della struttura organizzativa, prevalgono conoscenze generali dei processi organizzativi e capacità e potere decisionale elevati (5).
L’attività lavorativa ha poi due dimensioni, quella oggettiva composta da operazioni minimali, compiti e mansioni, e quella soggettiva caratterizzata da professionalità, competenze e personalità dell’operatore, che interagiscono con la dimensione oggettiva e confluiscono nel ruolo delle persone, che costituisce una sorta di interpretazione della mansione da parte degli attori (6).
Da un punto di vista storico due sono state le matrici fondamentali dell’organizzazione del lavoro,
- il taylorismo
- e i fattori motivazionali.
L’evoluzione delle tecnologie, i cambiamenti nei modelli di organizzazione, i mutamenti nei mercati di sbocco e nel mercato del lavoro hanno portato ad una progressiva ristrutturazione (o rigenerazione) del lavoro. A questi cambiamenti la (ri)progettazione delle microstrutture, come indicato nelle teorie motivazionali, ha risposto in termini di
- job enlargement (più compiti dello stesso livello),
- job rotation (ciclo di compiti dello stesso livello)
- e job enrichment (ricomposizione orizzontale delle attività più compiti superiori o verticali).
Questa operazione è coincisa anche con i cambiamenti in corso nell’ambito della composizione della forza lavoro, nuove configurazioni lavorative (lavoratori della conoscenza, professional, professionisti liberali nelle organizzazioni) in rapporto alle trasformazioni tecnologiche e organizzative delle imprese, cambiando, con ciò, profondamente le logiche di progettazione e gestione dell’organizzazione del lavoro.
Bisogna anche considerare che le recenti trasformazioni delle forme organizzative (determinate dalla pratica diffusa dell’outsourcing e del decentramento produttivo) hanno aggiunto, al tradizionale modello di organizzazione del lavoro all’interno delle imprese, un nuovo modello di organizzazione del lavoro inter-organizzativo.
Si tratta di distinguere, in questo senso, la situazione di concentrazione dei diritti di proprietà in un’unica impresa dalla distribuzione di questi fra un insieme di imprese tra loro collegate, ai fini del reperimento delle risorse tecnico-economiche per la generazione dei sistemi primari di lavoro necessari (7). In questo nuovo modello di organizzazione del lavoro, trasversale, gli attori in rete sono giuridicamente indipendenti ma legati da relazioni di scambio, di cooperazione e condivisione o gerarchiche e di autorità.
In questi casi, il sistema primario di lavoro non è interamente compreso entro i confini aziendali, perché possono far parte del sistema consulenti esterni, unità organizzative di altre imprese e professionisti autonomi.
Ritornando alle caratteristiche strutturali del lavoro delle persone, abbiamo visto che i compiti sono il risultato di operazioni umane elementari, necessariamente collegate o per motivi tecnici o per ragioni psicologiche o sociali e che l’insieme ordinato di compiti assegnati ad una persona definisce la sua mansione (job). Ma è il numero e la tipologia di compiti inclusi a caratterizzare mansioni con diverso grado di varietà, contribuzione (senso), autonomia e feedback (misure o informazioni relative alla distanza tra lo stato attuale e gli obiettivi futuri dei lavoratori), determinando, naturalmente, differenti modelli di organizzazione del lavoro.
Per varietà si intende il numero e la diversità dei compiti, che solitamente si accompagna ad una maggiore soddisfazione del lavoratore.
Mentre per identità e senso del lavoro, si fa riferimento alla percezione e consapevolezza, da parte del lavoratore, del proprio contributo al sistema primario di lavoro nel quale è inserito.
Invece l’autonomia è direttamente collegata all’indipendenza dei lavoratori rispetto ai processi operativi e decisionali aziendali, con la regolazione e il controllo della propria attività inseriti all’interno della mansione o ruolo. Naturalmente la maggiore autonomia è esplicitamente connessa con la responsabilità dell’operatore e le operazioni di riprogettazione delle mansioni in senso orizzontale e verticale sono di norma gradite dai lavoratori.
Molto apprezzato è anche il livello di informazioni che l’operatore riceve di ritorno dalla sua performance (feedback), in quanto gli permette di autovalutare il proprio contributo e, eventualmente, correggerlo in assenza di controlli esterni (8).
Ma, naturalmente, bisogna sempre considerare che, in tutti questi casi, la personalità e le aspettative motivazionali individuali, che sono diversamente distribuite tra i partecipanti, come hanno dimostrato i contributi teorici dei motivazionalisti, sono importanti fattori per valutare l’effettivo livello di equità percepito dai lavoratori e le positive ricadute sul piano dell’efficienza e dell’efficacia della loro azione.
Dunque, una mansione caratterizzata da pochi compiti uguali e ripetitivi, senza alcuna autonomia e priva di significato lavorativo, verrà definita tayloristica e notoriamente invisa ai lavoratori.
Mentre una mansione con compiti variati, integrati e caratterizzati da autonomia decisionale si definirà come motivante e, per questo, vissuta dai partecipanti, come realizzazione della propria sfera lavorativa.
Nel primo caso vi sarà, anche, una netta e rigida separazione tra le attività di direzione (decisione, regolazione e controllo) e le attività di esecuzione. Insieme a meccanismi di coordinamento dei sistemi primari di lavoro tipici delle attività semplici e standardizzate, come la supervisione diretta e la standardizzazione dei processi di lavoro.
In questi contesti organizzativi, sostanzialmente burocratici o meccanici, prevalgono le strategie di costo delle imprese, con l’utilizzo di elevate economie di scala e specializzazione, in un quadro di interdipendenze lavorative non complesse, bassa criticità delle risorse umane (ossia elevata sostituibilità dei partecipanti) ed elevato potenziale opportunismo dei soggetti. Il tutto, in una situazione ambientale stabile e caratterizzata da bassa incertezza (9).
Mentre la riprogettazione delle mansioni, di cui si è parlato prima, corrisponde al passaggio da una mansione tipicamente taylorista ad una mansione motivazionalista o di natura professionale, caratterizzata da riduzione della divisione del lavoro orizzontale (allargamento della mansione), diminuzione della divisione del lavoro verticale (arricchimento della mansione), mentre l’inserimento della rotazione dei compiti non agisce tanto sulla divisione del lavoro in quanto tale, ma cambia il rapporto tra la persona e i compiti, a questo punto variabile.
Perché la stessa rotazione (dei compiti) può essere semplice (stesso livello di mansione) o complessa (mansioni con maggiore grado di autonomia e responsabilità).
In questi casi, la strategia aziendale (post- tayloristica) è più focalizzata sulla qualità dei processi e dei prodotti piuttosto che sui costi. Vi è uno sviluppo di capacità e conoscenze degli operatori (non più specializzati orizzontalmente o verticalmente)), interdipendenza tra le attività, più complesse e significative, in un contesto ambientale caratterizzato da maggiore instabilità e incertezza.
Cambiano, in tal senso, anche i meccanismi di coordinamento adottati nell’ambito dei sistemi primari di lavoro, dal mutuo adattamento (tipico della interazione tra esperti) agli standard di capacità (propri dell’attività dei professionisti).
Riepilogando, le posizioni organizzative sono, pertanto, un importante parametro della progettazione organizzativa. Per cui, nelle organizzazioni, la formazione degli operatori e la formalizzazione del lavoro risultano essere alternative.
Un elevato o ridotto grado di specializzazione orizzontale è un indicatore della minore o maggiore ampiezza della mansione, mentre la minore o maggiore specializzazione verticale definisce il livello dell’autonomia decisionale dell’operatore o la sua dipendenza.
L’indottrinamento, poi, (ossia, la cultura aziendale ma anche professionale degli operatori) è un parametro di progettazione solitamente associato alla formazione. E quindi, una formalizzazione spinta di mansioni molto specializzate orizzontalmente (numero limitato di compiti) e verticalmente (limitata autonomia dell’operatore) caratterizza l’organizzazione del lavoro delle forme organizzative meccaniche o burocratiche, mentre una elevata formazione degli operatori specializzati orizzontalmente (disciplina o corpo teorico) ma non verticalmente (per l’autonomia decisionale attribuitagli) caratterizza l’organizzazione del lavoro delle forme organizzative organiche, professionali o innovative (10).
Le nuove geometrie organizzative, caratterizzate dalle forme piatte (pochi livelli di gerarchia) o snelle (internalizzazione delle attività centrali e strategiche ed esternalizzazione di quelle periferiche o standardizzate) cambiano anche le logiche di organizzazione del lavoro, introducendo nuove formule organizzative come il modello reticolare (11), che si articola in due tipologie.
La prima corrisponde al gruppo di lavoro che comprende attività sia operative che di programmazione, regolazione e controllo. In questo caso le attività decisionali e di gestione delle risorse vengono distribuite o delegate (dai dirigenti o supervisori) al gruppo di lavoro. Nell’ambito del gruppo gli operatori sono polivalenti e vi è una continua rotazione dei ruoli.
Un esempio tipico di gruppo di lavoro, in ambito industriale, può essere quello delle isole di produzione (12), ma queste configurazioni lavorative si stanno estendendo anche al settore dei servizi, con gruppi di tecnici adibiti alla progettazione di prodotto e, o, servizio, facendo crescere nuove figure professionali e della conoscenza, in relazione alle più recenti opportunità occupazionali e ai cambiamenti nella domanda di prodotti o servizi in corso.
Se ci si riferisce, viceversa, ad una rete interna, si fa riferimento ad attività molto complesse, esempio tipico l’équipe medica adibita ad un intervento chirurgico, in una organizzazione professionale e sanitaria. In questi casi vi è elevata specializzazione degli operatori (nel senso delle conoscenze e competenze possedute).
Mentre in tutti e due i casi (dei modelli reticolari) vi è una forte interdipendenza delle attività e dei ruoli, necessità di controllo dell’incertezza, polifunzionalità degli operatori (nel gruppo) ed elevata specializzazione professionale (nella rete interna), considerando, dal punto di vista dell’equità, che ad ogni modo, le interazioni lavorative (un ulteriore parametro di valutazione motivazionale delle posizioni organizzative) vengono considerate positivamente dai partecipanti. Dal punto di vista del coordinamento organizzativo in queste situazioni prevalgono, come logico, il mutuo adattamento e gli standard di capacità.
Note
1. Gli articoli sono tratti da “Le regole dell’organizzazione” e “La musica del management” editi da “ad est dell’equatore”, 2017 e 2024 https://www.adestdellequatore.com/categoria-prodotto/kuang11/
Per eventuali contatti con l’autore la mail è antonio.dantonio@unina.it
2. Costa, P. Gubitta, Organizzazione aziendale, mercati, gerarchie e convenzioni, 2021.
3. F. Isotta, La progettazione organizzativa, CEDAM, 2011.
4. Ibid.
5. H. Mintzberg, La progettazione delle organizzazioni, il Mulino, 1996.
6. G. Costa, P. Gubitta, Organizzazione aziendale, Mc Graw Hill, 2021.
7. F. Isotta, La progettazione organizzativa, CEDAM, 2011.
8. G. Costa, P. Gubitta, Organizzazione aziendale, op. cit.
9. F. Isotta, La progettazione organizzativa, op. cit.
10. H. Mintzberg, La progettazione delle organizzazioni, op. cit.
11. F. Isotta, La progettazione organizzativa, op. cit.
12. Schema organizzativo industriale, già citato in altra nota, nel quale, al contrario di quanto avveniva nella catena di montaggio, gli operai e i tecnici seguono in parallelo un processo lavorativo industriale.