Da alcuni decenni e sempre più, in contrapposizione apparente con il periodo di sostanziale benessere e opulenza nel quale vivono i Paesi Occidentali, la società nella quale viviamo si è evoluta coltivando l’aggressività.
Molti sono i segnali, o meglio le testimonianze di questa cultura aggressiva.

  1. Design: le linee di molti oggetti di consumo si sono fatte via via più marcate, spigolose. Se prendiamo ad esempio le automobili oggi hanno quasi tutte linee sportiveggianti, basse con frontali e mascherine che assomigliano spesso a squali, ovvero Suv con dimensioni e caratteristiche che ricordano le autoblindate o i carri armati.
  2. Grafica: i caratteri utilizzati, i colori sono sempre più forti ed accesi.
  3. Pubblicità: sempre più trasgressiva (uno su tutti e primo a scandire questa epoca i famosi manifesti di Oliviero Toscani).
  4. Informazione: quasi sempre eccessiva. Ogni notizia viene rappresentata come se fosse arrivata la fine del mondo. E questo accade tutti i giorni. Inoltre nei talk show ed in generale nelle trasmissioni televisive nelle quali sono presenti più ospiti è ormai consuetudine non far finire di esprimere le proprie opinioni agli interlocutori con continue interruzioni ed accavallamenti tra il conduttore e gli ospiti e tra gli ospiti.
  5. Linguaggio comune tra le persone: sempre più colorito, senza freni inibitori, al limite della maleducazione.
  6. Cartoni animati: questa è la testimonianza più dura. I cartoni animati diffusi dalla tv per i bambini sono spesso di una violenza inaudita nella grafica, nei colori, nel linguaggio, nei contenuti, nei toni.
  7. Violenza di genere: non c’è bisogno di sottolinearla, è la cronaca di tutti i giorni.
  8. Guerre in giro per il mondo: non solo Ucraina, non solo Gaza, non solo Iran, di guerre in giro per il mondo ce ne sono tante. Tanti popoli in guerra, tante popolazioni umiliate, affrante, in perenne sofferenza. Ci sono generazioni che sono nate e cresciute in guerra. Non conoscono altra realtà che la guerra.
  9. Aggressività nelle aziende: anche in questo caso il mobbing piuttosto che altre forme di violenza sul lavoro sono un fatto frequente e che si è molto diffuso in questi ultimi decenni.
  10. Accesso nei negozi: la regola è non fare la fila, non rispettare l’ordine di arrivo, pretendere di essere subito serviti indipendentemente da quanti altri clienti sono in attesa.
  11. Guida autoveicoli e motoveicoli, ma anche pedoni. Non esistono più regole, il codice della strada è un optional. Soprusi, prepotenze ma anche semplicemente passare con il semaforo rosso, non fermarsi alle strisce pedonali o attraversare la strada da parte dei pedoni non in concomitanza con le strisce pedonali sono comportamenti molto frequenti.
  12. Sport: non esiste più uno sport “tecnico”. Quasi tutti gli sport si sono trasformati e sono molto “fisici”. Ovvero prevale la prestanza fisica sulla tecnica (calcio, tennis, pallanuoto, etc.) come a certificare che l’avversario va battuto con la forza.

Potrei continuare ma credo che questi esempi siano sufficienti a dimostrare come tutta la società si sia mossa in chiave aggressiva. Movimento, evoluzione o involuzione che potremmo sintetizzare con il motto:

“se non sei aggressivo, oggi non sei!”

Ma dove è scritto questo? Chi ha determinato questo? Dove si trova e dove nasce questa specie di postulato moderno?

Per comprendere da dove nasce questa cultura dobbiamo scomodare la psicologia e ricordare che una società aggressiva non può essere una società solidale, una società aggressiva è per sua natura una società egoista, concentrata sull’individualismo e non sul concetto di comunità.

Purtroppo dobbiamo anche rilevare che l’aggressività di questa specie è più diffusa nei Paesi ricchi, opulenti, occidentali piuttosto che in quelli poveri dove semmai l’aggressività si manifesta in altre forme (terrorismo, rivolte popolari, in generale per rifiuto delle condizioni di vita). Siamo al paradosso quindi: le popolazioni dei Paesi poveri diventano aggressive per uscire dalla povertà; le popolazioni dei paesi ricchi diventano aggressive per difendere la loro ricchezza, le loro posizioni, il loro egoismo.
Dove sono finiti l’eleganza (delle forme, delle linee come dei modi), la sobrietà (dei comportamenti, dei toni, dei colori), la prudenza, l’assertività, l’empatia che pure appartengono al genere umano?
Oggi sembra essere un retaggio del passato eppure erano molte di più le persone che applicavano questi concetti negli anni del dopoguerra, ovvero dopo un periodo storico di profonda sofferenza dove la ricerca del bello, l’essere prudenti nell’affrontare le sfide della vita, il sentirsi parte di una comunità per la rinascita del Paese, l’empatia che si dimostrava nei confronti dei più bisognosi erano diffuse e profonde.

Poi con la crescita del benessere economico è iniziato a crescere anche l’egoismo e con esso via via e sempre più il desiderio di avere sempre di più, di accrescere il proprio benessere materiale a scapito di quello psico-sociale. Si è in altri termini affermata la società dell’AVERE a scapito della società dell’ESSERE (come ben descrisse in un saggio diventato famoso nel 1976 Erich Fromm). E questo ha portato ad un accrescimento di alcune componenti a scapito di altre. Solo a titolo di esempio:

  • Per avere di più bisogna fare di più -> Fare di più significa fare più cose nella stessa unità di tempo -> Significa comprimere i tempi di vita -> Significa fare le cose velocemente -> Produce stress.
  • Per avere di più bisogna essere più bravi -> Per essere più bravi bisogna impegnarsi -> Significa entrare in competizione con gli altri -> Significa vivere in concorrenza con gli altri -> Produce stress.

Sono tutte condizioni che tendono ad escludere (comprimere tempi, concorrenza, competizione) e non ad includere, a distanziare e non ad avvicinare, a chiudere l’individuo con se stesso e non ad aprirlo solidalmente agli altri. In altri termini ci mettono nelle condizioni di aggredire il contesto che ci circonda e non di condividere il contesto che ci circonda con gli altri.

Ecco credo che il senso più profondo dell’aggressività che abbiamo sviluppato negli ultimi decenni risieda in tutto ciò e rimuoverla sarà un esercizio lungo e difficile, ma non impossibile né di retroguardia. Non penso cioè che occorra tornare ad una società agricola o preindustriale, né alle condizioni oggettive del dopoguerra ma solo recuperare quel senso della nostra vita che pone in equilibrio la ricerca del benessere materiale con lo sviluppo di quello spirituale, la produttività con l’organizzazione, la competizione con il rispetto degli altri, la concorrenza con la partecipazione, la difesa dei propri interessi con la solidarietà.

A.A.A. cercasi intellettuali, politici e persone di buona volontà che veicolino questi valori e facciano proselitismo.