Numero 37 Registrazione al tribunale di Roma N° 3/2004 del 14/01/2004

E’ tempo di valutazione delle prestazioni: …qualche riflessione e qualche provocazione

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di Roberto Veronesi

 

Con il mese di gennaio inizia la “stagione” dei colloqui di valutazione. Stagione che dura, in strutture organizzative medio grandi, generalmente, fino al mese di marzo e che valuta il grado di raggiungimento degli obiettivi assegnati, dei comportamenti organizzativi agiti nell’anno appena passato e imposta i piani di sviluppo.

Un momento che per ogni singolo (valutato e/o valutatore) dovrebbe rappresentare una parentesi di grande rilevanza nel proprio percorso/processo di sviluppo e in quello della organizzazione nel suo complesso.

Dovrebbe, perché purtroppo è spesso visto e vissuto come un adempimento burocratico/amministrativo, una pagellina, “tanto ci confrontiamo tutti i giorni e non è certo con un colloquio di mezz’ora che cambino le cose”. Uno strumento di cui si sottovalutano spesso le potenzialità di sviluppo e di indirizzo che può garantire, come si è detto, al singolo, al gruppo alla struttura nel suo complesso.

In queste poche righe, vorrei provare a fare qualche semplice riflessione che mi suggerisce l’esperienza fatta come valutato e come valutatore di fronte alla tradizionale scheda cartacea (o come sempre più spesso accade elettronica) e un approfondimento su un comportamento organizzativo in particolare.
ttPartiamo proprio dal concetto di colloquio. Innanzitutto andrebbe chiarito molto bene e avere in mente in modo inequivocabile qual è l’obiettivo che si vuole raggiungere con il colloquio attribuendo quindi il significato e il peso che si intende dare alla fase valutazione e alla fase sviluppo. La prima, tradizionalmente e significativamente sovradimensionata rispetto alla seconda. La prima viatico per concedere o spiegare aumenti di stipendio o di categoria, definire la collocazione del valutato in uno delle varie matrici performance/potenziale ecc. La seconda spesso frettolosamente completata perché il rituale lo richiede.

Il primo suggerimento quindi, in generale al valutatore, al valutato e a chi progetta il supporto per il colloquio è quello di equilibrare il più possibile la struttura del colloquio garantendo il tempo adeguato alla fase sviluppo/miglioramento.

Passando invece a una analisi un po’ più di dettaglio, le riflessioni/suggerimenti che mi sento di proporre sono i successivi.

La scheda, o comunque il supporto che vale come strumento di assegnazione e di sintesi. E’ tradizionalmente composta da una parte dedicata agli obiettivi da raggiungere, una ai comportamenti organizzativi e una terza alle attività di sviluppo e di formazione conseguenti. Alla base di una buona scheda, di un buon strumento di supporto deve prevalere il principio della semplicità. La scheda deve essere semplice, il più semplice possibile e non prevedere inutili complicate e orpellose sofisticazioni.
La parte dedicata agli obiettivi non dovrebbe prevederne più di 5 per non spezzettare troppo il focus manageriale e il meccanismo di calcolo deve essere coerente con la tipologia di obiettivo e rispettare in modo definitivo il criterio della semplicità.
Per quanto riguarda i comportamenti organizzativi occorre riflettere bene su quali sono quelli chiave per l’azienda, la struttura specifica, il gruppo, definendo quelli veramente fondamentali e non cedere alla tentazione di “inserirli tutti, tanto un po’ servono tutti”. Con l’evolversi dello scenario di riferimento e dell’azienda stessa occorre poi modificare nel tempo i comportamenti organizzativi ritenuti fondamentali ed eliminare quelli  non più essenziali.
Ogni comportamento deve poi prevedere una sintetica spiegazione del significato per sgomberare ogni dubbio in fase di colloquio.

La scala di valutazione (ma qui si potrebbe discutere all’infinito) è da preferire su scala pari. Da 1 min. a 6 max. potrebbe essere l’ideale, con 4 come valutazione coerente e adeguata al ruolo.

ttIl valutatore. Ogni persona nel ruolo di valutatore deve essere assolutamente consapevole che in quel momento sta esercitando una parte fondamentale del proprio agire manageriale con responsabilità molto elevate per sé, per il valutato e per la struttura nel suo complesso. Quindi, innanzitutto, definito il tempo che intende dedicare ad ogni singolo colloquio, lo raddoppi. Per principio. Tre quarti d’ora devono diventare un’ora e mezza, un’ora devono diventare due; se si fa prima meglio, ma iniziare la sfinente catena dei rimandi tra un colloquio e l’altro è assolutamente da evitare. Genera sfiducia e scarsa attendibilità nel processo e in chi lo conduce.
Staccare i telefoni, non essere disturbati. Prepararsi bene per ogni colloquio arricchendo così l’incontro di esempi specifici a supporto di quanto verrà detto. Un buon approccio è quello di iniziare chiedendo una autovalutazione e di porre molte domande aperte sul percorso svolto nel periodo di osservazione. Usare la massima trasparenza e non temere voti polarizzanti (se necessario) che ribadiscono un attento coinvolgimento nel processo, evitano la “valutazione media” su tutti i comportamenti e offrono maggiori opportunità per la successiva fase di sviluppo del colloquio.

Il valutato. Vale il ragionamento fatto sopra. Occorre prepararsi bene e con assoluta serenità al colloquio ripensando al percorso fatto, alle cose fatte bene e migliorate e a quelle dove si poteva fare di più o meglio. Una autovalutazione è spesso il punto di partenza del colloquio (un po’ come l’argomento a scelta di studentesca memoria …..) e una cartina al tornasole del proprio livello di maturità personale/professionale.
Non approcciare quindi l’incontro con l’idea di base di “toglierselo quanto prima, di farsi dare i voti”. Si tratta di una opportunità e va colta in tutti i suoi aspetti.
Durante il colloquio è bene (come sempre) ascoltare con grande attenzione, ma anche porre domande di approfondimento e di chiarimento e non temere un eventuale dissenso su punti non condivisi, è sui “delta” che si costruisce e si cresce, non sull’uniformità.

Una preoccupazione/riflessione che spesso tende a offuscare il valore del processo di valutazione è la possibile disparità di giudizio dei diversi valutatori. Detto che qualsiasi intervento volto a ridurre il delta di valutazione è da sostenere (interventi informativi – formativi, incontri di omogeneizzazione tra valutatori ecc.), penso che un margine di disparità sia da accettare e da non demonizzare. Soprattutto se all’intero processo e a ogni singolo colloquio si dà il giusto peso alla concetto/fase sviluppo.

Come detto una ultima riflessione/provocazione la vorrei fare su un comportamento organizzativo presenzialista per definizione : il mitico orientamento ai risultati.
Navigando un po’ in internet si trovano buone definizioni di questo parametro.
Parametro che non può non esserci per definizione, trattandosi di valutazione performance/risultati … Ma in realtà a cosa serve? I risultati si raggiungono o si bucano, a cosa serve l’”orientamento”? A correggere l’eventuale non raggiungimento? Del tipo “ce l’ha messa tutta, ma le condizioni erano impossibili per raggiungere l’obiettivo?” Allora meglio ritarare l’obiettivo in corso d’anno, non è vietato! Anzi è molto sensato.
E poi come si riconosce una persona orientata all’obiettivo?
Su altri comportamenti è più semplice: comunicazione interpersonale, gioco di squadra, innovazione, organizzazione ecc. Si vede, si commenta da sé.
Ma una persona orientata ai risultati? Generalmente non ride né sorride mai, non ha tempo, è orientato ai risultati. Va di fretta, è autoritario, non pone domande, o se lo fa sa già tutte le risposte, è conflittuale con i colleghi e i collaboratori, molto accomodante con i capi. Ha in testa i risultati, solo quelli, a qualunque costo. Ha un solo difetto, non li raggiunge. Mai.
Chiaramente scherzavo (ma non troppo). Raggiungere i risultati attiene infatti oggi sempre più a una metacapacità, a un insieme di fattori poco definibili che portano a “far si che le cose accadano” e la cui misura è data, appunto, dal raggiungimento o meno degli obiettivi (sensati, è ovvio).
E così, per evitare il ripetersi di obiettivi non raggiunti da persone molto orientate a raggiungerli o di obiettivi raggiunti da persone poco orientate a raggiungerli provo a fare una proposta: non inseriamolo più nella scheda di valutazione delle prestazioni e se proprio non riusciamo a farne a meno sostituiamolo con “capacità di far accadere le cose”. E’ più serio.

 

 

Roberto Veronesi attualmente Direttore Generale di Prontoseat S.r.l., una azienda di circa 500 persone che opera nel settore dei servizi telefonici di qualità, eroga attività in inbound (tra gli altri l’89.24.24, customer service ecc.) e in outbound (vendite telefoniche, ricerche di mercato, phone collection ecc.). Già Responsabile delle Risorse Umane di una B.U. di Internet & Media (Gruppo Telecom) e successivamente Direttore della Comunicazione del Gruppo Seat.