Numero 37 Registrazione al tribunale di Roma N° 3/2004 del 14/01/2004

Antropologia londinese

tt

di Stefano Magliole

 

Prima di passare la settimana natalizia in Italia, ho vissuto un’intensa settimana londinese, carica di cene e feste di Natale. Ed il fatto che anche cinesi ed arabi augurino buon Natale è segno più di tradizione profana che non di rispetto per le religioni altrui. Ormai il Natale cristiano ha lo stesso valore della notte di Halloween: fenomeno da esportazione, tradizione festiva che porta con sé occasioni di incontri, cene, regali. Non è questione di consumismo ma di tradizione culturale potente, capace di entrare nella vita quotidiana di chi la vive ma non la condivide. Non è quindi segno di una paganizzazione religiosa ma di una laicizzazione dell’evento, ammesso che le due parole (e i due concetti) non siano sinonimi e quindi sovrapponibili.

ttParole e concetti sono legati simbioticamente tra di loro. Ma lo sono anche nei confronti di una tradizione culturale. E, anche in questo caso, non è questione di semiotica ma di antropologia. Un amico cinese, passando davanti alla stazione di “All Saints” mi domanda: “Cosa sono i Saints?” Domanda scontata per chiunque viva nella società cristiana, concetto abbastanza distante ed incomprensibile per coloro che ignorano il valore divino di una vita umana.

Feste e cene, si diceva. Scambi di regali (pensieri spontanei e “Secret Santa”) e di cartoline d’auguri. E anche qui le tradizioni si incontrano e si scontrano. L’evento più particolare (e fisicamente più intenso) al quale ho partecipato, è stata una festa chiamata “Le tre ragazze sagge si sentono festive”. L’appartamento delle tre ragazze in questione si trova nella zona di St. Jhon’s Wood, zona ricca di Londra (da queste parti abita anche il baronetto Paul McCartney), poco distante dall’affascinante Camden e da Regent’s Park, il parco di cui ho parlato il mese scorso. 
Festa in piena tradizione inglese, vale a dire senza cibo ma piena di alcolici. Festa piena di ragazze che definire vestite in modo vistoso sarebbe usare un eufemismo. Festa a base di “drinking games”. E qui riparte l’occhio indagatore dell’antropologo.
Per capire cosa siano i drinking games bisogna entrare profondamente nella cultura inglese. Talmente profondamente che, ammetto la debacle, non ci sono riuscito e ho accettato le regole del gioco (anzi, dei giochi) in maniera passiva, con occhio attento ma neutro. Anche qui, direi, in maniera antropologica. Agli occhi dell’esterno, dell’antropologo, i drinking games sono una semplice scusa per bere senza dare troppo nell’occhio. Il rituale (bisogna utilizzare le parole corrette) è più o meno questo: si formano grandi cerchi, generalmente grandi quanto la stanza che ospita le festa, e ognuno dei presenti deve avere in mano un bicchiere di qualcosa, ovviamente a base di alcool. Nel nostro caso si trattava di “mold wine”, vino rosso bollente aromatizzato all’arancia e miscelato con altri liquori, sostanza non solo molto alcolica ma anche piuttosto pesante da digerire, soprattutto se non accompagnata da alcun cibo. I giochi, in sé, sono abbastanza banali e fanno affidamento sul fatto che a forza di bere, anche le azioni più semplici e quotidiane, risultino complicate e buffe nella loro materializzazione. Chi sbaglia deve bere un sorso dal proprio bicchiere… chi perde perché ha il bicchiere vuoto, deve bere un altro bicchiere interamente…

L’occhio dell’antropologo si ferma qui, alla constatazione, e non si permette il giudizio. Ma si pone domande, ricerca elementi culturali capaci di dare spiegazione ai fenomeni. Risposte che, sinceramente, al momento latitano.

 

 

Stefano Magliole è nato a Roma nel 1980. Regista teatrale ed insegnante di recitazione, si è laureato a Roma con il massimo dei voti con una tesi scritta seguendo il lavoro del Maestro Luca Ronconi ed incentrata sulla "semiotica della simultaneità". In teatro ha diretto testi classici e contemporanei. Al momento è a Londra a studiare il teatro inglese presso la University of London (Central School of Speech and Drama).