Numero 68 Registrazione al tribunale di Roma N° 3/2004 del 14/01/2004

A me pare che abbiamo perso qualcosa …
di importante.

 

di Walter Zanuzzi

 

A me pare che abbiamo perso qualcosa.
Qualcosa di diverso e di più importante della credibilità, degli spread o dei soldi di cui oggi si parla a livello internazionale a proposito del nostro Paese. Qualcosa di diverso perché ha natura diversa e di più importante perché è, a mio avviso, per l’appunto, una delle cause principali della perdita di credibilità agli occhi degli altri Paesi del mondo ma … non solo.

Io credo che abbiamo perso il senso della “comunità”.

Ma cos’è una comunità?

“Una comunità è un insieme di individui che condividono lo stesso ambientefisico e tecnologico, formando un gruppo riconoscibile, unito da vincoli organizzativi, linguistici, religiosi, economici e da interessi comuni.
In un senso più propriamente sociologico per l'appartenenza ad una comunità servono caratteristiche più forti, tali da creare un'identità degli appartenenti, tramite una storia comune, ideali condivisi, tradizioni e/o costumi. A volte è la lingua l'elemento più fortemente identificativo degli appartenenti ad una comunità. In questa accezione la parola comunità appare legata alle associazioni con qualche ideologia comune e può essere vista come un'estensione della famiglia. Una dimensione di vita comunitaria implica tipicamente la condivisione di un sistema di significati, come norme di comportamento, valori, religione, una storia comune, la produzione di artefatti.” (Wikipedia)

Riflettiamo.

Insieme di individui. Quanto siamo insieme e quanto siamo individui? Credo che la nostra società negli ultimi decenni abbia sviluppato maggiormente l’individualismo e, con ciò, perdendo di vista gli interessi della collettività si è depauperato l’insieme. Questo fatto non è banale,  è anzi l’origine della nostra crisi. Il rapporto tra individuo e collettività in una società organizzata è fondamentale per il benessere di tutti gli individui di un Paese. Purtroppo abbiamo sviluppato a dismisura il nostro individualismo e sono evidenti i segni in tutte le manifestazioni di vita quotidiana: nel sociale, nella politica, nell’economia.

Il punto è che, lungi da un perfezionismo rispetto a quelli che sono “vizi” in natura dell’essere umano in quanto tale come egoismo, ambizione e avidità, il punto è che si è passati il segno. Il punto è che l'egoismo, l’ambizione e l’avidità, insieme ad altri “vizi” hanno superato in dimensione ed estensione le “virtù” dell’essere umano (generosità, inclusività, sussidiarietà) e con ciò si è totalmente perso il senso della “collettività”.

Stesso ambiente fisico e tecnologico. Ma come possiamo essere una comunità se, per l’appunto, una parte del Paese pensa ed opera per dividersi, per separarsi da un’altra parte del Paese.

Norme di comportamento. Come possiamo essere una comunità se, nelle varie regioni del Paese abbiamo norme di comportamento a volte molto diverse nella vita sociale ed economica, nonché nei rapporti umani tra gli individui?

Valori. La crisi su questo punto è eclatante. Quali sono i valori condivisi? Se una metà della popolazione pensa che sia giusto non pagare le tasse  e l’altra metà pensa che invece sia giusto pagarle chi ha ragione?
Se una parte pensa che i suoi interessi personali siano più importanti dell’interesse della generalità chi ha ragione? Se una parte pensa che onestà,  correttezza, rispetto delle norme siano valori fondamentali e rispetto a questi si comporta nella vita quotidiana e su questi educa i propri figli ed un’altra parte ritiene che la furbizia, il non rispetto delle regole,  l’arroganza ed il predominio sugli altri siano i propri valori fondamentali chi ha ragione? Se accade questo e, purtroppo siamo tutti testimoni che questa è la situazione reale del Paese che è drammaticamente spaccato in due rispetto a ciò, dov’è la condivisione, dov’è la comunità?

Una storia comune

Sulla storia comune c’è  da intendersi. Potrebbe esserci se ragionassimo formalmente dall’unità d’Italia in avanti. Ma potrebbe non esserci e non c’è se pensiamo a tutte le divisioni (non diversità, divisioni) culturali, sociali, economiche e politiche che, senza andare troppo lontani nel tempo, dall’unità d’Italia ad oggi hanno caratterizzato la vita del nostro Paese. E si perché anziché fare delle naturali diversità insite nei vari territori dei quali è formata l’Italia un valore ed una fonte di ricchezza nazionale (ovvero dell’intera collettività), per effetto della tutela di quegli interessi particolari di cui abbiamo accennato abbiamo fatto di essi motivi di divisione confluiti, negli ultimi anni, in acerrimi scontri politici.

Ecco dunque perché a me pare che abbiamo perso qualcosa di importante. Aver perso il senso della comunità è ciò di più grave possa capitare ad un contesto organizzato. Aver perso il senso della comunità significa non avere più valori guida condivisi e quindi quando una comunità non ha più questi è “allo sbaraglio”, “naviga a vista”, ed è destinata al fallimento totale. Non è più una comunità! E a mio avviso, in questo momento, per i motivi espressi, non siamo più una comunità.

Il tempo, come hanno già espresso a proposito di esigenze di tipo finanziario, imprenditori, sindacati, banchieri, alcune forze politiche è scaduto. Mi permetto di aggiungere che il tempo è scaduto anche per la condivisione dei valori ed il senso della comunità tema di questo articolo.

Che fare dunque?

La cultura, come diceva Schein è:

  1. profonda. Se la si considera un fenomeno superficiale, se si pensa di poterla manipolare secondo la propria volontà si è sicuri di fallire. Inoltre, la cultura controlla più di quanto  sia controllabile. La si vuole in un certo modo perché è la cultura che dà significato e prevedibilità alla vita quotidiana. Quando si impara cosa funziona, si sviluppano convinzioni e assunti che alla fine non saranno più coscienti e diventeranno tacite regole su come fare le cose, come pensarle e come sentirsi”.
  2.  ampia. Quando un gruppo impara a sopravvivere nel proprio ambiente, impara qualcosa anche sugli aspetti delle sue relazioni interne ed esterne. Convinzioni e assunti danno forma alla vita quotidiana, al modo in cui si può andare d’accordo con il capo, al tipo di atteggiamento che si dovrebbe avere nei confronti dei clienti, alla natura della carriera nell’organizzazione, a cosa serve per andare avanti, a quali sono i dogmi e così via. Decifrare la cultura può, pertanto, essere un compito senza fine. Se non si hanno scopi e ragioni per voler comprendere la propria organizzazione, il compito sarà sconfinato e frustante”.
    In altri termini anche la cultura “mette radici” e quando si è radicata in un determinato contesto (nazione, popolo, paese, città, impresa, famiglia) permea di sé tutti i suoi componenti. 
  3. stabile. I membri di un gruppo vogliono mantenere i propri assunti culturali perché essi forniscono significato e rendono la vita prevedibile. Agli esseri umani non piacciono le situazioni caotiche e imprevedibili e si sforzano di stabilizzarle e “normalizzarle”. Ogni possibile cambiamento culturale, quindi, provoca una grande quantità di ansia e resistenza al cambiamento. Se si vogliono cambiare alcuni elementi della propria cultura, si deve riconoscere che si stanno affrontando alcune delle parti più stabili dell’organizzazione.”


Per “radicarsi” ci vuole molto tempo. Per permeare di sé tutti i componenti di un determinato contesto ci vuole tempo e ci vogliono comportamenti reiterati nel tempo. Per questo motivo possiamo dire che la cultura è “stabile”. Ci vuole infatti anche “molto altro tempo” per modificare la cultura “residente”, cioè una volta che si è radicata.

E se la cultura (i valori, gli assunti acquisiti, condivisi e taciti su cui si basa il nostro comportamento quotidiano ) radicata nel nostro Paese non è condivisa da lì occorre, eventualmente, ripartire. Ovvero occorre a mio avviso che ci sia, subito ed incondizionatamente uno sforzo collettivo che condivida il fatto che bisogna ripartire da ZERO e costruire un INSIEME DI VALORI CONDIVISI. In altri termini, rifondare la nostra comunità. I tempi? Se siamo giunti a questo punto è perché per alcuni decenni si sono alimentati pensieri ed azioni che andavano nella direzione di distruggere anziché costruire, quindi l’azione di una eventuale ricostruzione culturale richiederà tempi altrettanto lunghi. La speranza e la responsabilità di questa azione non può che attribuirsi ad una nuova generazione in quanto quella attuale ha la responsabilità della situazione che è sotto i nostri occhi e non può certamente avere quella della ricostruzione. Giovani di tutti i territori d’Italia, se credete nei valori che hanno portato alla nascita della nostra nazione è il momento di riscoprirli e di agire per ricostruire la nostra comunità, se non li ritenete validi, è il momento di esprimerlo e tornare ai Granducati!

 

 

Walter Zanuzzi: attualmente Amministratore Unico Svi.Va – Sviluppo del Valore Società di Consulenza di Direzione

    • Consulente di Direzione per Risorse Umane e Sviluppo Organizzativo
    • Specializzato in processi di Change Management
    • Responsabile del progetto “La valutazione e lo sviluppo del Capitale Intellettuale”
    • Docente di management presso numerose aziende.
    • Conferenziere al Corso “Capitale e Lavoro” presso la Facoltà di Scienze Sociali della Pontificia Università Gregoriana di Roma
    • Consulente ABIServizi – Divisione ABIFormazione
    • Consulente e Docente Associazione Italiana Direttori del Personale (AIDP)
    • Docente di management presso il Centro Studi C.I.S.L.
    • Responsabile Rubrica “Appunti di management” di rivista indirizzata alle Alte Professionalità
    • Promotore del Corso di Alta Specializzazione su “La valutazione del Capitale Intellettuale” presso l’Università degli Studi di Padova
    • Socio fondatore del Comitato per la Promozione Etica
    • Consulente nel progetto “ Master in Human Capital Management” presso l’Università degli Studi di Malta – Sede di Roma
    • Docente al Corso di Alta Specializzazione in “Organizzazione e Gestione delle Risorse Umane” presso l’Università degli Studi LUISS di Roma
    • Docente di management al Banking & Financial Diploma dell’ABI – Percorsi Specialistici – Sviluppo Manageriale