Numero 68 Registrazione al tribunale di Roma N° 3/2004 del 14/01/2004

E la collina scivolò in mare

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di Laura Lambiase Profeta

 

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E’ l’ora di pranzo quando comincia la pioggia. Si riversa con gocce compatte. Dalla finestra che dà sulla  ferrovia, dalla finestra della nostra stanza di bambine, si può vedere la cascata d’acqua che s’intensifica mano a mano che le ore passano. Se ne può ascoltare il suono che diventa sempre più assordante.
Il Reggina Maior intanto si ingrossa, si ingrossano il Bonea e il Reggina Minor, fiumi che scorrono dalle alture  della costiera amalfitana. A Salerno il  Fusandola e  il Rafestia  si fanno minacciosi.
In mezzo al frastuono e al corrusco dei lampi cerchiamo di studiare, di leggere, di ascoltare la radio. Temiamo il buio. A sera inoltrata, chiacchierando nervosamente,  ci apprestiamo a cenare e ad aspettare i nostri genitori che sappiamo essere per strada, in automobile. Stanno tornando da Napoli,   attraverso Cava dei Tirreni. Probabilmente seguono spaventati la fitta acqua che inonda i finestrini della macchina, o forse  sono fermi ad attendere che spiova.
Sono le otto di sera. La pioggia copre completamente la vetrata della camera da pranzo e il suono è diventato lugubre.
Il cielo completamente brunito non pare dare scampo alle nuvole, che dense, immobili monopolizzano la notte.
Improvviso  nel cervello si fa spazio un pensiero, terribile, illuminante come sono le percezioni che avvicinano alla verità: sta accadendo qualcosa di inimmaginabile.
Cominciamo ad aver paura.
Intanto i fiumi  che tutt’intorno ai paesi di Minori, Maiori, Cava, Vietri, Tramonti e Salerno scendono lungo tortuose vie al mare, cominciano a sfaldare l’Appennino che spalleggia la costiera   amalfitana.

A Cava inizia a sgretolarsi una parte della collina, ormai urbanizzata. Gli alberi diradati non riescono a trattenere il terreno che arrischia la sua discesa verso la città e il mare. Mano a mano che fluiscono velocemente i fiumi si impossessano di ciò che incontrano come un gruppo di amici in cammino per una scampagnata di Pasqua. Ma è ottobre, è il 25 ottobre del 1954.
La pioggia dalle 13  di oggi non si è mai fermata, si è rafforzata, scende,  scivola: valanga minacciosa. Diluvio universale.
E’ un miracolo il ritorno dei nostri genitori. Raccontano che  hanno attraversato una strada come  una spiaggia della Normandia  invasa dall’alta marea,  hanno seguito un  Isotta Fraschini   appena comprato da un loro amico che ha fatto  da battistrada, salvando altri automobilisti  che si sono accodati. Una lunga teoria, una processione. Hanno visto automobili fermarsi. Ma sono andati avanti  dentro l’inferno traghettati dall’inaffondabile autocarro Isotta Fraschini D80 terza serie con paraurti modificati e fari incassati.

Il “Ponte del Diavolo”, acquedotto medioevale con le sue arcate a volta  e le sue antiche mura, costruito dai demoni in una notte, forse è già crollato.
Mai nei loro  quarant’anni di vita, due guerre,  prigionia,  liberazione dai tedeschi,   mancanza di cibo, timore delle bombe, ultima eruzione del Vesuvio,  mai prima di allora hanno  avuto tanta paura. Si sono salvati soltanto per il loro coraggio e una bella dose di fortuna.
Forse adesso per il resto della notte riusciremo a chiudere occhio.
Il giorno dopo si festeggia Trieste italiana. E’ il 26 ottobre e mia sorella esce per andare a scuola dove si dovranno sventolare bandierine di carta tricolore. Torna piangendo, è sconvolta. Ci sono morti per le strade, coperti di fango. Se ne scorgono solo le mani. Ci sono case crollate. C’ è un dolore infinito.
Le automobile che si sono fermate sono state trascinate a mare. Per giorni mia madre si sente in colpa per non aver tentato di convincere gli automobilisti a seguirli, a  non fermarsi.
Si contano più di  300 morti. I paesi della costiera si sono frantumati. L’acqua ormai fango ha ucciso chi si è riparato dalla pioggia  nei sottopassaggi. Almeno diecimila sono coloro che non hanno più la casa.
La  palazzina rosa che si affacciava sul mare di Vietri, bella, desiderio di mia madre, è scomparsa. Non esiste più. Restano solo le mura che si aprono al vuoto, al cielo, alle stelle.
Vietri si è”abbellita” di almeno cinquanta metri di spiaggia creata dai detriti e dalla morte.
Il Corso principale di Salerno è coperto per oltre un piano dal fango, ormai divenuto solido terreno, che le ruspe  tagliano, lasciando profonde ferite.
Davanti al duomo di  S.Matteo, patrono della città, si allineano centinaia di bare.
I cadaveri sono stati restituiti  alla terra dal mar Tirreno lentamente, per molti mesi ancora.
Per anni il Golfo di Salerno ricorderà i  propri morti, trasformando l’azzurro delle acque nel colore terroso  dell’argilla.
 

Dedicato alla Liguria, a Genova e alle Cinque Terre devastate.

per vedere il video sull'alluvione di Salerno del 25 Ottobre del 1954: http://youtu.be/DHkM1M9ZlKk

 

 

Osare.
Avere il coraggio di andare contro corrente, di andare oltre, di valicare confini, di non fermarsi alla superficie. Non esiste una cultura alta ed una meno alta esiste solo la noia. Un gesto creativo senza vita, asfittico, pavido, furbo, conveniente è merda.
Laura Lambiase Profeta ha scritto di musica per “Laboratorio Musica” e “l’Unità”; ha descritto Napoli sul “Mattino” e sulla guida “dell’Espresso”; si è divertita su “Cosmopolitan”.
E nata a Pontecagnano molti, molti anni or sono e vive a Napoli tra Paradiso e Provvidenza.