Noi strane creature di un habitat contaminato

siamo fiere di essere ubriache

noi vaghe creature di un habitat malsano

giochiamo sempre con il nostro Puca

un sorridente Puca dall’aria irriverente

monello quanto basta per distinguersi

dall’altra fredda gente.

(Dal disco “Rizoma contro Albero” di Libera Velo

Octopus Record/ Gennaio 2013)

 

 

A muso duro, imbracciando mitra metaforiche,  gli abitanti del Pianeta Terra  affrontano uno dei peggiori momenti della Storia dell’Uomo. 

Come accade per la vecchiezza  così si fa largo nel corpo e nel sangue di ciascuno la sgradevolezza del vivere. Come accade per gli animali chiusi in piccole gabbie ciascuno cerca di  eliminare fisicamente ed emotivamente l’altro per guadagnare spazio. 

L’unica gioia pare derivi dalla distruzione: l’idea nobile, il pensiero controcorrente, la lealtà ad un ideale, la semplicità dei gesti, la pervicacia nel desiderare piccole cose, la lieve sensazione di appagamento, la vicinanza ad un’altra persona, la voglia di raccontare silenziosamente, la necessità di ricordare, il piacere della diversità.

Non è cosa nuova, non è cosa straordinaria. La crisi mette in lotta chi ha di meno, chi non ha più nulla da perdere.

La guerra dei poveri sui cui corpi banchettano i ricchi e i colpevoli.

Oggi però tutti possono esprimere il proprio pensiero, basta un cellulare, un portatile, un computer.

Nessuno, dietro soprannomi, codici numerici  e nomi veri  teme di apparire inadeguato, stupido, nazi-fascista, ipocrita, puritano, razzista.

Il terrorismo etico, psicologico e morale è merce diffusa e molto utilizzata. Discriminazione, incomprensione, intolleranza sembrano quasi  virtù naturali dell’uomo.

La democrazia come la gentilezza  sono vuote  parole, hanno perso il loro significato.

Nel 1944 Mary Chase scrive una pièce teatrale con la quale vince il Pulitzer.

Parla di un uomo che “per trentacinque anni ha lottato contro la realtà e l’ha vinta fuggendola”.

Il peso del pensiero fuori dagli schemi, l’originalità delle proprie idee spesso cozzano contro il pensiero comune, la saggezza del vivere, l’incontaminazione dal diverso. 

Se c’è un virus nell’aria lo evito chiudendomi in casa, se il virus è nella mente umana  cerco di eliminarlo rinchiudendolo dentro  quattro mura  insonorizzate e antifurto.

E’ necessario che le mie idee, piccole piccole, non vengano scalfite da sprazzi di lucidità.

Le mie certezze, coltivate, nutrite, radicate non possono essere scosse da un seppur “ragionevole dubbio”.

Nel 1950 il regista Henry Koster gira  “Harvey, il coniglio bianco” dal testo della Chase con un delicatissimo James Steward.

Harvey è un coniglio alto un metro e novanta, invisibile a chi non può vederlo.

 

 

Harvey è un Pooka. 

“Un Puca è uno spirito animale delle leggende irlandesi, che vive sulle montagne solitarie o tra le vecchie rovine. E’ uno spirito Novembrino, infatti a lui, in Irlanda, è sacro il primo giorno di Novembre. A volte questo spirito solitario diventa amico e solidarizza con qualche umano, in questo caso può diventare visibile solo per lui, ma nessun altro è in grado di vederlo. Difficilmente, però, un Puca diventa amico di qualcuno, il più delle volte evita gli uomini, ma è capace di commettere atroci cattiverie contro chi, a suo insindacabile parere, meriti atroci cattiverie.

Se nella notte un cavallo lucente, un coniglio alto qualche metro, un asino, un toro o un’aquila incrocia il vostro cammino siate certi che è un Puca, fate finta di non vederlo, ma non ridete di lui o male potrebbe incorrervene”.

Ewood P. Dowd,  uomo di quarant’anni,  ci appare sorridente fin dalla prima scena, amichevole e gentile. Esce di casa e fa strada ad un immaginario amico, evitando che venga investito attraversando la via.

Ci appare immediatamente  uno fuori di testa,  uno sciroccato che parla con un amico inesistente. E’ una persona amabile che non fa differenza tra un ubriacone ex detenuto e un personaggio eminente  della  comunità. Tratta tutti con estrema ed educata cortesia. E’ un uomo garbato.

Eppure c’è una sottilissima vena di tristezza che si  accende in alcune affermazioni. 

“Per lei farei qualsiasi cosa, sarei disposto quasi a ricominciare la vita ..quasi”

E’ un uomo che ha scelto di vivere fuori dalla realtà, di abbattere gli steccati delle convenzioni, di non accettare più stratagemmi e ipocrisie. In effetti di isolarsi di fatto pur cercando di socializzare. 

Ma anche in questo c’è un atteggiamento di vaga gioiosità: 

“Vado con Harvey nei bar, beviamo, ascoltiamo la pianola e allora i visi di tutta quanta la gente si voltano verso di noi ..e dicono “ Noi non vi conosciamo amico, ma siete un gran simpaticone” .

Harvey ed io ci sentiamo come scaldati in quei momenti: siamo entrati come estranei e ci troviamo tra amici. Ci vengono vicini, si siedono, beviamo insieme e parlano con noi. Ci dicono delle immense terribili cose che hanno fatto e delle immense stupende cose  che faranno: le speranze, i rimpianti, gli amori, le avversità. Tutte immense perché nessun uomo porta mai niente di piccolo in un bar. Infine io li presento ad Harvey  e lui è più grande di qualsiasi altra cosa  loro offrano a me. Quando se ne vanno sono molto impressionati. Difficilmente si rifanno rivedere, ma questa è invidia miei cari”.

Per Ewood il suo coniglio bianco è più reale di qualsiasi altra cosa : è la sua coscienza, è il simbolo di una scelta compiuta per  allentare il peso dell’esistenza, è la necessità di un isolamento dalla volgarità dei gesti umani. Dalla rabbia distruttiva, dalla costante infelicità.

E’ un uomo gentile, ha un amico leale e un po’ ribelle che fa da alibi alla sua impossibilità di approfondimento e coinvolgimento. 

Lui ascolta,  riflette, vede l’accadere delle cose, ma ne resta immune, discosto.

Quando Harvey scompare improvvisamente  Ewood spiega  chi è veramente il suo amico  “La scienza ha superato il tempo e lo spazio, ebbene Harvey ha superato non solo il tempo e lo spazio ma qualsiasi obiezione”. Il suo compito è dare risposte definitive e rassicuranti.  

In molti casi la finzione della “follia” è l’unico modo per sopravvivere alla forza sopraffattrice del mondo, e  restituire una forma energetica di benevolenza.

“Mia madre diceva  che a questo mondo devi essere o molto astuto o molto amabile. Io preferisco l’astuzia, ma consiglio l’amabilità”.

 

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