Ai fini di una discussione sul clima, Il sistema Terra è suddivisibile in sei sfere: la Litosfera (le terre emerse), l’Idrosfera (oceani, mari, ecc.), la Criosfera (i ghiacciai di tutti i tipi e il permafrost), la Troposfera (i primi 12 km dell’atmosfera), la Stratosfera (la restante porzione di atmosfera) e la Biosfera (la sfera dei viventi). 

Le sei sfere sono interconnesse in modo altamente non lineare mediante continui scambi di materia, energia ed “organizzazione” e il tutto forma una macchina complessa che va ad energia solare. 

La Troposfera è l’ambiente in cui si svolgono le attività umane ed è circoscritta da un piccolo strato stabilizzante che ne limita gli scambi con la Stratosfera. Lo stato della Troposfera è descritto dalle grandezze termo-fluidodinamiche e dalla composizione chimica, in particolare dell’acqua nelle sue tre fasi, e di alcuni gas (metano, biossido di carbonio, protossido di azoto, ecc.) che, come l’acqua, interagiscono con la radiazione solare in ingresso e con la radiazione emessa dalla Terra verso lo spazio.

Il clima è un aspetto della Troposfera e, su una regione geografica, è caratterizzato dal valore dei parametri meteorologici mediati sull’area e su un intervallo temporale opportuno. Validi indicatori dello stato climatico del pianeta sono la temperatura a 2 m dell’aria e, indirettamente, la temperatura superficiale degli oceani.  

La variabilità del clima è legata alla variabilità dell’insolazione e alle complesse relazioni tra la Troposfera e le altre sfere. I paleoclimatologi studiano il clima del passato anche perché ancora immune dall’influenza umana.

Dall’analisi, si è trovato che la variabilità del clima si può suddividere in diverse scale temporali. La più lunga, milioni di anni, vede l’alternarsi di ere glaciali, caratterizzate dalla presenza di calotte glaciali su entrambi i poli, e di ere interglaciali, senza traccia di ghiacciai. Tale alternanza è ben correlata con le variazioni di eccentricità dell’orbita terrestre con periodo di 400˙000 anni (modulato da un periodo minore di circa 100˙000 anni). Durante un’era glaciale, un periodo glaciale è un intervallo temporale, usualmente di decine di migliaia di anni, in cui si registra un avanzamento delle calotte in direzione dell’equatore mentre un periodo interglaciale, migliaia di anni, è un intervallo in cui le calotte sono confinate intorno ai due poli. Anche tale alternanza è correlata ad un fattore astronomico, in particolare alla variazione di obliquità dell’asse di rotazione terrestre, tra 22,1° e 24,5° con periodo di 41˙000 anni; una minore inclinazione tende a mantenere le regioni polari più fredde permettendo al ghiaccio di accumularsi. A scale temporali inferiori, le oscillazioni tra raffreddamenti e riscaldamenti avvengono a livello di decine di anni (per eruzioni vulcaniche, variabilità solare e nutazione), di anni o anche meno (feedback con la circolazione oceanica e con El Niño). Naturalmente, le scale più brevi sono le scale stagionali e quelle della meteorologia quotidiana. In tutti i casi, comunque, è rilevante la risposta di tutte le sfere del sistema Terra, e non solo a causa della disomogeneità della Geosfera.

Intorno ai 10 milioni di anni fa (Miocene) è iniziata l’era glaciale che il pianeta sta ancora vivendo e, nell’Olocene (10˙000 anni fa), è iniziato il periodo interglaciale ancora vigente. L’instaurarsi del periodo mite ha favorito l’inizio della storia umana. Si è verificato che la temperatura media del globo dall’inizio dell’Olocene fino all’avvento dell’era industriale è abbastanza bene correlata con l’obliquità in diminuzione dell’asse di rotazione terrestre. Tuttavia, nonostante la fase calante dell’obliquità, dall’avvento dell’era industriale si è verificata una impennata della temperatura media. Rispetto alla media preindustriale, quando l’impatto antropico era ancora “assorbito” dal sistema Terra, si è avuto un trend positivo che oggi ha raggiunto i +1,5°C.

Come ampiamente provato, l’impatto antropico ha cominciato ad essere rilevante, ma locale, da quando l’uomo, inizialmente cacciatore-raccoglitore, è diventato agricoltore e allevatore, si è globalizzato dopo la scoperta delle Americhe e ha avuto una drastica impennata dall’inizio dell’era industriale. L’influenza sul clima è principalmente dovuta ai rifiuti gassosi prodotti dagli allevamenti intensivi (causa anche delle deforestazioni) e dall’uso massivo dei combustibili fossili. Infatti, trattasi di gas serra che non reagiscono e si accumulano provocando un innaturale tasso di incremento termico dell’atmosfera. 

Nella recente storia climatica della Terra si sono avuti cambiamenti climatici come, ad esempio, il “Periodo caldo romano”, tra il 250 e il 400 d.C., o la Piccola Era Glaciale, che comportò in diverse parti del pianeta un ribasso delle temperature a partire dal 1300. Eventi che però non avevano portata globale, come verificato nei reperti che conservano una memoria climatica. 

Dal punto di vista strettamente meteorologico, una maggiore temperatura della Troposfera implica una maggiore energia termica disponibile a trasformarsi in energia cinetica di insieme (venti), intensificando i fenomeni legati alle perturbazioni (complice una maggiore concentrazione di umidità). Le onde termiche sono una caratteristica del clima estivo; però la maggiore energia ne favorisce la stabilità e, quindi, maggiore durata, temperature più elevate e maggiore accumulo di umidità che provoca l’afa. 

Questo è lo scenario di adattamento continuo del sistema Terra verso un nuovo equilibrio, vicino a quello precedente. Ma sono possibili altri scenari.  

La Troposfera è una Struttura Dinamica Complessa organizzativamente aperta, nel senso che, come indicato in diverse note precedenti (ad esempio, il Caos Management n.103), in esito ad una pressione ambientale critica, ha la possibilità e la capacità di riorganizzare drasticamente le proprie relazioni interne (autorganizzazione) e di far emergere nuove proprietà compatibili e adatte alla nuova situazione. Le autorganizzazioni sono vere e proprie transizioni tra stati di equilibrio diversamente organizzati. Durante le transizioni avvengono fluttuazioni critiche (il processo ha le caratteristiche di un random walk) e, di solito, i potenziali scenari di arrivo sono molti, ognuno con una propria occorrenza. Al riguardo, è da precisare che la pressione ambientale non “causa” un “effetto” diretto sul sistema ma ne attiva unicamente i processi interni reattivi e il nuovo scenario, pur riflettendo alcune caratteristiche del forcing e delle condizioni al contorno (simmetrie, ecc.), è “progettato” e “implementato” dal sistema stesso secondo tempi e modalità proprie. Tale forma di autonomia comportamentale è ragione di forte imprevedibilità. 

Allora, nel caso della pressione ambientale dell’uomo, l’incremento termico della Troposfera è avvenuto in tempi rapidissimi (meno di un secolo) e, per la prima volta, a livello globale (global warming), mettendo in crisi la capacità omeostatica del sistema Terra. Per cui, se si supera una soglia critica, si potrebbe avere una transizione verso scenari ignoti e l’umanità dovrà affrontare un concorso di risposte imprevedibili del sistema Terra, mai sperimentato prima dalle passate civiltà. Il veloce global warming può avere l’analogo effetto di una lunga e copiosa eruzione vulcanica o dell’impatto di un grosso meteorite (e sappiamo come è andata a finire con i dinosauri). 

Dalla fine degli anni ‘60, l’allarme sul modello di sviluppo è stato più volte lanciato (nota su il Caos Management n.123), evidenziando la circolarità esplosiva innescatasi tra crescita demografica, esigenza di un benessere generalizzato e risposta dell’industria e della politica, il tutto con totale incuranza del progressivo esaurimento delle risorse naturali e dell’incessante produzione di rifiuti insalubri e non riciclabili. 

E, come se non bastasse, invece di riconsiderare il proprio atteggiamento nei confronti della natura, l’uomo sta cercando di risolvere il problema delle risorse aggredendo i fondali marini e le calotte polari e guardando perfino al cosmo (a proposito: intorno alla Terra orbitano oltre 30˙000 oggetti più grandi di 10 cm che schizzano ad una velocità superiore ai 36˙000 km/h … ). Niente di nuovo; è la prassi consolidata che ha portato alla divisione tra un nord del mondo benestante e un sud riserva di risorse, anche umane, con tutti i risvolti geo-politici e militari che ben conosciamo. Ed è anche il gap che giustifica la pretesa dei paesi emergenti della loro “quota benessere”.

Nonostante quanto comprovato, c’è ancora chi fa del negazionismo di maniera, raramente da parte di esperti climatologi, spesso invece da parte di gente comune, di influencer in cerca di followers, di politici con interessi personali e, capita, anche da parte di scienziati “tuttologi”. 

Il dubbio è sicuramente il motore del progresso scientifico ed è per questo che la ricerca climatica, nel 1988, è stata affidata alla sovraintendenza di un organismo internazionale, l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), istituito dalla World Meteorological Organization (WMO) e dallo United Nations Environment Programme (UNEP) e avallato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. 

L’IPCC ha lo scopo di fornire una visione chiara e scientificamente fondata dello stato attuale delle conoscenze sui cambiamenti climatici e sui loro potenziali impatti ambientali e socio-economici. Non fa ricerca né realizza il monitoraggio di dati e parametri correlati al clima ma effettua un processo di controllo degli studi servendosi del contributo di migliaia di ricercatori di tutto il mondo che operano su base volontaria.  

I primi report dell’IPCC hanno indotto le Nazioni Unite, attraverso la Conference of Environment and Development (UNCED) tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992 (“summit della Terra”), a produrre la Framework Convention on Climate Change (UNFCCC), un trattato ambientale (“accordi di Rio”) che puntava alla riduzione delle emissioni dei gas serra. Il trattato non fissava limiti obbligatori, rimandando a specifiche Conferences of Parties (COP) questa possibilità. Le più importanti sono state la COP-3 (Protocollo di Kyoto, 1997), la COP-21 (Parigi, 2015), la COP-23 (Bonn, 2017) e la COP-24 (Katowice, 2018).

Tuttavia, gli accordi non sono ratificati da tutti i paesi, per motivi opposti dai paesi benestanti e da quelli in via di sviluppo. E quando sono ratificati, hanno una esecuzione farraginosa. 

In conclusione, una speranza e una riflessione. La speranza è che ci sia una forte spinta dal basso affinché venga riconsiderato, a livello dei “grandi del mondo”, l’attuale modello di sviluppo e, inoltre, che vengano stanziate risorse per gli studi sul clima, ricordando la loro interdisciplinarietà (fisica, chimica, biologia, matematica, informatica e, anche, comunicazione). La riflessione è che, stante l’impatto rovinoso per la Biosfera, quella che è in gioco è proprio l’esistenza dell’umanità stessa; la vita, specie quella elementare, rimarrà o, se terminerà, ricomincerà perché sulla Terra è abbondante l’acqua e fin quando ci saranno vulcani e lampi saranno create molecole organiche, alcune autocatalitiche e tutto ricomincerà. Ad una visione laica del mondo, non esiste una necessità assoluta dell’esistenza della vita se non quella, tutta scientifica, legata al fascino dell’evoluzione della complessità, dall’autorganizzazione di un gas sottoposto ad un gradiente termico fino alle molteplici capacità del cervello umano e all’emergere dell’immateriale mente. 

Ma, pur con tale visione, un turbamento lo abbiamo nel lasciare tale devastazione ai nostri figli e nipoti?