QUALCHE SPUNTO DI RIFLESSIONE SULLE TRASFORMAZIONI CHE L’ECONOMIA CIRCOLARE PUO’ INDURRE A BREVE-MEDIO-TERMINE

 

Lo scorso mese di gennaio le Edizioni Green Planner (www.greenplanner.it) hanno organizzato un convegno in streaming dal titolo “Pink&Green, la parola alle donne dell’economia circolare”, moderato dal direttore M. Cristina Ceresa e realizzato con il contributo del Parlamento europeo e del Comune di Milano. Nel corso delle tre ore di lavori hanno preso la parola ben 13 donne italiane, in rappresentanza del mondo della ricerca, dell’Università, delle aziende e dell’imprenditoria che stanno sviluppando progetti e attività innovativi, con il supporto delle istituzioni.

  

 

Ho seguito con molto interesse i lavori del convegno, malgrado lo streaming renda meno “calda” la partecipazione agli eventi, perché sono molto attratta da questi temi e dalle trasformazioni – odierne e future – indotte dai processi di adozione di un nuovo paradigma di sviluppo economico come quello dell’economia circolare. Pink&Green è un percorso editoriale che dall’estate 2020 prevede ogni settimana la pubblicazione di una videointervista alle donne dell’economia circolare (pinkandgreen.it). Il secondo passaggio di questa iniziativa è stato proprio il convegno, il successivo sarà la pubblicazione di un ebook (in italiano e in inglese) nella tarda primavera di quest’anno, il tutto con l’obiettivo di mettere in risalto le idee e le professionalità delle donne italiane impegnate nell’economia circolare.

 Maria Cristina Ceresa, direttore Edizioni Green Planner

Ciò che mi ha attratto veramente del convegno è stata la possibilità di toccare con mano le esperienze raccontate da queste donne, alcune delle quali operano nei centri significativi della politica, la maggior parte, invece, nelle Università, nei centri di ricerca, nelle aziende che spesso hanno fondato loro stesse, il cui approccio alla collaborazione – più tipico delle donne – rappresenta una buona sintesi, appunto, della circolarità che la nuova economia esige. Inoltre, sono stati messi in luce valori come la capacità di ascolto e di osservazione delle necessità degli altri, l’attenzione e la cura verso le nuove generazioni, la volontà di trasferire ai più giovani conoscenza e consapevolezza, l’attitudine all’approccio multidisciplinare e alla condivisione, oltre all’immancabile passione, competenza e impegno. Non sono mancati i continui riferimenti, significativi e importanti, alla necessità impellente di formazione di nuove figure professionali, il che rende questo ambito un nuovo e importante settore di sfida per i giovani di oggi. Come ci ricorda l’ONU, infatti, dovremmo (e volutamente uso il condizionale!) tutti essere impegnati nella realizzazione dell’“Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile” (https://unric.org/it/agenda-2030/), il programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità, sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU.

Un programma planetario che deve necessariamente essere ancora essere fatto proprio da moltissimi paesi, ma che indica 17 obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile, in un più ampio piano d’azione per un totale di 169 traguardi. Non è compito di questo articolo esaurirne tutti i contenuti, ma qui mi preme sottolineare che l’avvio ufficiale degli obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile ha coinciso con l’inizio del 2016, guidando il mondo sulla strada da percorrere nell’arco dei prossimi 15 anni. Questi obiettivi fanno seguito ai risultati degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals), che rappresentano obiettivi comuni su un insieme di questioni importanti per lo sviluppo quali la lotta alla povertà, l’eliminazione della fame e il contrasto al cambiamento climatico, per citarne solo alcuni, obiettivi comuni che riguardano indistintamente tutti i paesi e tutti gli individui, nessuno escluso, né lasciato indietro.

 

Cosa si intende per economia circolare

L’economia circolare è entrata ormai nel linguaggio corrente, anche se spesso è ancora riferita solo al riciclo dei rifiuti e si parla ancora di transizione all’economica circolare o, con più enfasi, di nuovo paradigma dell’economia circolare con contorni vaghi e indefiniti.

Le caratteristiche fondamentali – veri e propri punti cardinali per orientarsi nel percorso della transizione – sono invece ormai ben definite, condivise nel mondo scientifico che si occupa della tematica e acquisiti a livello istituzionale, in particolare quello europeo. Economica circolare è una definizione che suggerisce un sistema economico pensato per potersi rigenerare da solo garantendo, dunque, anche la sua eco-sostenibilità. Secondo la definizione fornita dalla Ellen MacArthur Foundation (ente indipendente nato nel 2010) in un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici (1), in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera. I maggiori obiettivi dell’economia circolare sono l’estensione della vita dei prodotti, la produzione di beni di lunga durata, le attività di ricondizionamento e la riduzione della produzione di rifiuti, insistendo sull’importanza di vendere servizi piuttosto che prodotti. 

La base scientifica dell’economia circolare prende spunto dall’osservazione degli organismi viventi e dai loro meccanismi, assumendo come presupposto che anche i sistemi economici debbano funzionare come organismi in cui le sostanze nutrienti sono elaborate e utilizzate per poi essere reimmesse nel ciclo sia biologico che tecnico. Da qui deriva il concetto ricorrente, nell’ambito dell’economia circolare, di “ciclo chiuso” o “rigenerativo”. Come nozione generica fa riferimento a un certo numero di approcci più specifici, tra cui biomimetica, ecologia industriale ed economia blu. Il concetto di economia circolare dovrebbe costituire un quadro di riferimento per il pensiero, e i suoi fautori sostengono che sia un modello coerentemente valido come risposta alla fine dell’era del petrolio a buon mercato e dei materiali. 

 

Si fa dunque riferimento a una concezione della produzione e del consumo di beni e servizi alternativa, rispetto al modello lineare (ad esempio attraverso l’impiego di energie rinnovabili in luogo dei combustibili fossili), ma anche al ruolo della diversità come caratteristica imprescindibile dei sistemi resilienti e produttivi. Nell’economia circolare è insita la messa in discussione del tradizionale ruolo del denaro e della finanza, tanto che alcuni pionieri hanno proposto di modificare gli strumenti di misurazione della performance economica in modo da tenere conto di più aspetti, oltre a quelli che determinano il prodotto interno lordo.

In questa logica, quindi, i rifiuti non esistono. I componenti biologici e tecnici di un prodotto (i nutrienti, per riferirci alla metafora biologica) sono progettati col presupposto di adattarsi all’interno di un ciclo dei materiali, previsto per lo smontaggio e ri-proposizione. I nutrienti biologici sono atossici e possono essere semplicemente compostati. I nutrienti tecnici – polimeri, leghe e altri materiali artificiali – sono progettati per essere utilizzati di nuovo con un dispendio di energia minimo.Lavorando verso l’economia circolare, ci si dovrebbe concentrare su prodotti di più lunga durata, sviluppati per l’aggiornamento, l’invecchiamento e la riparazione, considerando strategie come il design sostenibile (e in effetti, prodotti, materiali e sistemi, con molti collegamenti e misure sono più resistenti di fronte a shock esterni, rispetto ai sistemi costruiti solo per l’efficienza e “programmati” a tavolino per la loro sostituzione (ved. il concetto di obsolescenza programmata degli elettrodomestici).

Altro aspetto molto significativo è che gran parte della materia trasformata in oggetti giace inutilizzata per la maggior parte della sua vita, anche nelle nostre case. Magazzini colmi di macchinari in attesa di essere dismessi, scatoloni conservati nelle cantine pieni di vestiti con scarso valore affettivo, oggetti comprati e usati una volta l’anno…e tantissimo altro ancora. Al contrario, l’economia circolare guarda con molto interesse ai processi di condivisione di prodotti e oggetti (economia collaborativa), come ad esempio il fatto che un’automobile di proprietà resta inutilizzata per circa il 90% del suo tempo, contro il 60% di un’auto del carsharing.

In un’ottica sistemica e in estrema sintesi, gli obiettivi fondamentali dell’economia circolare sono:

·         riduzione dell’utilizzo delle risorse;

·         allungamento dell’utilizzo delle risorse;

·         utilizzo di materie prime rigenerative;

·         riutilizzo delle risorse.

L’approccio fondamentale dell’economia circolare si basa sul “pensiero sistemico”, perché la comprensione di un sistema è cruciale quando si cerca di definire e pianificare le correzioni del sistema stesso. Se mancano o sono male interpretate le tendenze, i flussi, le funzioni di, e le influenze umane su, i nostri sistemi socio-ecologici potrebbe portare a risultati disastrosi. Per evitare errori di progettazione, una comprensione del sistema deve essere applicato al tutto e ai dettagli del piano. La definizione dei contenuti della circolarità consente di mettere a fuoco un altro concetto: il gap di circolarità, il divario colmabile nella transizione all’economia circolare in ciascuno dei quattro contenuti cardine, liberando il campo dall’idea, priva di fondamento, della circolarità totale e assoluta, quindi dell’impossibilità di un azzeramento del consumo di nuove risorse, dell’allungamento all’infinito del loro utilizzo, dell’utilizzo di sole materie prime rigenerative e di soli materiali provenienti dal riciclo.

L’economia circolare in Europa

I principi di fondo della circolarità dell’economia, per quanto riguarda l’Unione Europea, sono esposti molto chiaramente nel documento della Commissione Europea del marzo 2020 (Circular Economy Action Plan, 11 marzo 2020) e riguardano il concetto di base di produrre oggetti, non rifiuti, che il parlamento europeo ha appoggiato, chiedendo però un’accelerazione forte: obiettivi vincolanti proprio entro il 2030 per  rendere più sostenibili i prodotti di largo consumo, come gli apparecchi elettronici, a partire dalla loro progettazione.

Infatti, oggi solo il 40% degli oggetti elettronici che finiscono nella spazzatura viene riciclato. Il resto viene smaltito nelle discariche, spesso in quelle dei paesi in via di sviluppo. Un fattore di impatto ambientale gigantesco, che rischia di diventare ancora più insostenibile, anche finanziariamente, se dovesse realizzarsi la previsione degli esperti di un aumento del 70% entro il 2050 della quantità di rifiuti generati ogni anno nell’Unione Europea. Il caso dello stop della Cina all’import di plastica dall’Ue ha spinto Bruxelles a misure drastiche per ridurre i rifiuti di questo tipo. Nelle raccomandazioni approvate dall’Eurocamera troviamo obiettivi vincolanti sull’”impronta ecologica” dei materiali e dei consumi per l’intero ciclo di vita dei prodotti per ogni categoria di prodotto immessa sul mercato dell’Ue per prevenire scarti e ridurre l’utilizzo di risorse e energia. Troviamo anche l’affermazione del concetto di “right to repair”, ossia il diritto alla riparazione degli oggetti venduti sul mercato, e una serie di standard volti a rendere i prodotti più sostenibili a partire dalla loro progettazione, in considerazione del fatto che l’80% dell’impatto ambientale dei prodotti è determinato nella fase di progettazione

In proposito, è proprio di questi primi giorni di marzo la notizia che tutti i cittadini europei a partire dal 1° marzo 2021 godranno del diritto alla riparazione per diverse tipologie di elettrodomestici e prodotti di elettronica di consumo. Si tratta di un’iniziativa approvata dal Parlamento Ue a sostegno, appunto, dell’economia circolare, e questo spiega anche perché è stata abbinata alla contemporanea azione che ha investito le etichette energetiche. Il regolamento UE 2021/341 della Commissione ha stabilito per ora la progettazione ecocompatibile per una selezione di prodotti, come server e unità di archiviazione dati, motori elettrici e variatori di velocità, apparecchi di refrigerazione, sorgenti luminose e unità di alimentazione separate, display elettronici, inclusi i televisori), lavastoviglie, lavatrici, lavasciuga e vending machine refrigerate. E non è poco, anche se esistono ancora una serie di criticità, come ha evidenziato l’associazione europea “Right to Repair”, che da anni si sta battendo per il diritto alla riparazione. Infatti,  la normative, al momento, si applica a un ristretto numero di tipologie di prodotti immessi sul mercato a partire da quest’anno, con l’esclusione proprio di smartphone e portatili, che probabilmente sono fra le categorie più esposte al rischio di obsolescenza prematura.

Il focus è dunque su un controllo ecologico a monte della produzione dei prodotti, partendo da come questi vengono progettati, perché l’attuale economia lineare “prendi-fai-smaltisci” possa essere trasformata in un’economia veramente circolare, basata su una serie di principi-chiave come la prevenzione degli sprechi e la riduzione dell’uso di energia e risorse. I prodotti dovrebbero essere progettati in modo da ridurre i rifiuti, le sostanze nocive e l’inquinamento e proteggere la salute umana, con vantaggi per i consumatori che dovrebbero risultare molto chiari.

Molto interessante, anche, la presa di posizione dei deputati del Parlamento europeo, che includono  l’introduzione di misure contro il greenwashing e false dichiarazioni ambientali, rafforzare il ruolo degli appalti pubblici verdi stabilendo criteri e obiettivi minimi obbligatori.

I deputati del Parlamento europeo chiedono – ovviamente – obiettivi Ue vincolanti in linea con l’Agenda 2030, basati sulla scienza per l’uso dei materiali e l’impronta dei consumi, che coprano l’intero ciclo di vita di ciascuna categoria di prodotto immessa sul mercato, sollecitando la Commissione a introdurre nell’anno in corso indicatori di circolarità armonizzati, comparabili e uniformi per l’impronta dei materiali e dei consumi, ampliando anche il campo di applicazione della direttiva sulla progettazione ecocompatibile, per includere i prodotti non legati all’energia. Obiettivi forse un po’ ambiziosi, soprattutto in considerazione della situazione pandemica che sta attanagliando tutti i paesi, ma che potrebbe essere un’occasione quasi unica per gli stati membri di integrazione dei principi dell’economia circolare nei rispettivi recovery plan.

Le sfide sono notevoli e il tempo non ci dà proprio ragione, ma già discuterne, confrontarsi in maniera più pressante e regolare e avviare iniziative concrete può essere un buon inizio.

 

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(1)  Il modello di pensiero che prende ispirazione dai processi biologici dei viventi ha visto le prime applicazioni pratiche nei sistemi economici moderni e nei processi industriali a partire dagli anni '70. Già nel 1966 venne presentata l'idea di un circuito circolare dei materiali (Kenneth E. Boulding, nel suo articolo "The Economics of the Coming Spaceship Earth") mentre nel 1976, in un rapporto presentato alla Commissione europea, dal titolo "The Potential for Substituting Manpower for Energy", Walter Stahel e Genevieve Reday delinearono la visione di un'economia circolare e il suo impatto sulla creazione di posti di lavoro, risparmio di risorse e riduzione dei rifiuti. La ricerca venne pubblicata nel 1982 nel libro “Jobs for Tomorrow: The Potential for Substituting Manpower for Energy”. Infine, a partire dal 2006 la promozione dell'economia circolare venne identificata come la politica nazionale nell’ 11º piano quinquennale della Cina.