Il grande alpinista bergamasco Simone Moro, parlando di alpinisti del passato che lo avevano particolarmente ispirato, ha fatto una distinzione che mi ha colpito e che vorrei sviluppare applicandola al mondo manageriale.

Ha parlato delle figure del mito, del modello e del maestro.

Il mito è un personaggio leggendario, inarrivabile, che risplende in alto, ci illumina, ci ispira. Ma lo sentiamo diverso, allo stesso modo in cui gli antichi sentivano gli eroi mitici, per l’appunto, come Ercole o Dedalo. Il mito è fuori scala in rapporto a noi, ha doti superumane come l’immortale Achille, o capacità eccezionali come Alessandro Magno.

Il modello è una persona eccellente nell’attività che noi stessi pratichiamo o vorremmo praticare, come dipingere, suonare uno strumento, programmare un computer, discutere una causa. Può essere una persona vissuta in altri tempi, o nostra contemporanea, ma con cui non abbiamo dimestichezza. Possiamo studiarne le opere, imitarne la tecnica e lo stile, perfino cercare di assomigliargli e vestirci e acconciarci come lei o lui, anche senza averlo mai incontrato di persona.

Il maestro è una persona più brava di noi, con più esperienza, ma alla nostra portata, e capace di insegnarci la sua tecnica o la sua arte, di trasmetterci trucchi ed astuzie del mestiere, di stimolarci, di valutare i risultati del nostro apprendimento.

Miti e modelli sono affascinanti, carismatici, sono in genere personaggi famosi. Influiscono sul nostro pensiero, sulla nostra immaginazione, sui nostri desideri e le nostre scelte. Ma spesso, invece di essere per noi motori di cambiamento, possono perfino essere scoraggianti, proprio perché inimitabili e irraggiungibili.

I maestri possono essere anche modesti e oscuri, ma hanno la capacità di incuriosirci, stimolarci, spingerci, valorizzare i nostri punti forti, aiutarci a migliorare i nostri punti deboli. Sanno metterci in condizione di cogliere le opportunità e ci mettono in guardia, e all’occorrenza ci proteggono dalle minacce.

In quarta ginnasio, a 14 anni, ho avuto un professore di lettere che mi stimolò al punto tale da farmi tradurre Orazio in versi ritmati con la tecnica delle Odi Barbare del Carducci.

Mito e modello si mostrano al loro meglio e procedono alla loro velocità, mentre il maestro mostra quel tanto che serve a far procedere l’allievo, e adatta il suo passo a quello dell’allievo.

Mito e modello mostrano che cosa fare, il maestro mostra come fare.

Tuttavia i concetti di mito, modello e maestro non sono entità oggettive, ma relazioni fra noi e gli altri. Io posso considerare un mito qualcuno che per altri sarà solo un maestro, e posso avere come maestro qualcuno che per altri sarà solo un mito. Posso perfino ingannarmi e seguire falsi miti, modelli deteriori, cattivi maestri. Posso considerare la stessa persona a volte come un mito, a volte come un modello, a volte come un maestro. Posso idolatrare un divo rock, posso cercare di imitarlo acquistando il suo stesso strumento e copiando i suoi dischi, posso perfino diventare un suo collaboratore e farmi insegnare qualcosa direttamente da lui.

Per la pianista e cantante Diana Krall, Oscar Peterson è stato un mito, un modello e anche un maestro con cui lei ha studiato da ragazza. Possiamo avere più miti e modelli, uno per la nostra arte, uno per lo sport, uno per la moda.

Dizzy Gillespie invece, quando gli chiesero come faceva a suonare in quel suo modo originalissimo, rispose: “Ho sempre cercato di suonare come Roy Eldridge, ma non ci sono mai riuscito!”  Per nostra fortuna, aggiungo io. Ecco dunque come modelli e maestri possono spesso essere superati dagli allievi e seguaci, come accadde per Tiziano allievo di Palma il Vecchio, o per Mantegna allievo di Squarcione.

Miti, modelli e maestri con internet vengono appiattiti e banalizzati nella figura dell’influencer, che può cominciare come maestro con qualche tutorial on line, poi diventa un modello da imitare, infine un mito da sognare e da inseguire spesso senza nessuna possibilità di emularlo, nonostante non esibisca particolari doti, ma solo la sua quotidiana antieroica normalità.

Venendo nel campo delle relazioni manageriali e della cultura d’impresa, ognuno di noi ha le sue figure mitiche, come Taylor o Gantt, Olivetti o Ford, Steve Jobs o Jeff Bezos. Ha i suoi modelli come Crespi e Olivetti per l’impresa illuminata, la Toyota come lean factory, Don Norman per il design amichevole, Richard Branson per l’imprenditoria creativa. E i suoi maestri come De Bono che ci insegna come pensare in modi diversi o Watzlawick che ci insegna come risolvere i problemi.

Quando si gestisce un gruppo, una squadra, un reparto, un’impresa, ci si può porre come figura mitica che detiene visioni e valori chiave, come modello di efficienza o di leadership, come maestro facilitatore e riduttore di ansie e complessità.

Anche nella formazione di manager, quadri e personale in genere, possiamo fare riferimento a figure mitiche, se lo scopo principale è motivare e creare appartenenza. Possiamo ricorrere a modelli, che possono essere anche misurazioni di efficienza come si fa nel benchmarking, oppure esempi di buone pratiche, se vogliamo migliorare le prestazioni di una squadra che già funziona bene. Se invece vogliamo ottenere cambiamenti di comportamento, sviluppare abilità tecniche o trasversali come la creatività e la gestione del tempo, è senz’altro più utile la figura del maestro, che ci accompagna passo passo nella soluzione dei problemi e nel miglioramento continuo.

Le funzioni relazionali del modello e del maestro possono quindi essere stabilite nel coaching, nella formazione, nella gestione, e di tanto in tanto si può fare ricorso al mito, ammesso che ve ne sia uno.

 

Nella foto sto uscendo dalla Ferrata Ricci, nella vetta orientale del Corno Grande al Gran Sasso. Era il 2015, ed è stata l’ultima escursione impegnativa in montagna. La foto è di Alessandro Bartoletti, psicoterapeuta ed amico che mi ha accompagnato nella circostanza.