Nel N.146 del Caos Management abbiamo accennato alla relazione esistente tra il cambiamento climatico in atto e gli eventi meteorologici della nostra quotidianità. Per dare significanza alle tesi presentate, nel successivo N. 148, in occasione dei 150 anni di cooperazione internazionale nel settore meteorologico e, in particolare, della fondazione, nel 1873, dell’International Meteorological Organization (IMO), diventata, nel 1950, World Meteorological Organization (WMO), abbiamo sinteticamente descritto l’articolata ed estesa rete informativa e scientifica che ruota attorno alla meteorologia. La WMO, agenzia specializzate dell’ONU, regolamenta e coordina una serie di programmi operativi indispensabili per i compiti assegnati ai servizi meteorologici nazionali e fondamentali per lo studio del clima e per la gestione del sistema internazionale di allerta preventivo per eventi meteorologici estremi. Abbiamo già visto, inoltre, che alla WMO e all’Environment Programme dell’ONU (UNEP), nel 1988, è stata affidata la sovraintendenza dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), organismo che non fa ricerca né realizza il monitoraggio di dati e parametri correlati al clima ma, per garanzia di scientificità, effettua un processo di controllo degli studi, verificandone l’attendibilità e servendosi del contributo di migliaia di ricercatori di tutto il mondo che operano su base volontaria.

Nella presente nota, vogliamo ulteriormente integrare la descrizione del sistema di monitoraggio della Terra e, in particolare, dell’atmosfera, guardando allo spazio, almeno per quanto riguarda il contributo europeo.

Nel 2024, cade il decennale dell’entrata in piena operatività del programma Copernicus della Comunità Europea, istituito sulla base della pre-esistente iniziativa per il monitoraggio UE della Terra. In breve, il 19 maggio 1998, con il Manifesto di Baveno (sulle rive del Lago Maggiore), fu formalizzata l’idea di creare un sistema europeo di osservazione globale e continua della Terra; nel 2001 veniva approvato il progetto Global Monitoring for Environment and Security (GMES) che, nel tempo, assumeva il ruolo di programma strategico dell’UE e, nel 2011, in coordinamento con l’European Space Agency (ESA), è diventava operativo per alcuni servizi, dopo una fase di pre-operatività iniziata già nel 2008. Nel 2013, il programma è stato ridenominato Copernicus (in omaggio al grande scienziato e osservatore europeo) e, dal 2014, è operativo in tutte le sue componenti.

Il programma è coordinato e gestito dalla Commissione europea ed è attuato in collaborazione, oltre che con l’ESA, con l’European Organisation for the Exploitation of Meteorological Satellites (EUMETSAT), l’European Centre for Medium-term Weather Forecasts (ECMWF), con le varie agenzie dell’UE, con Mercator Océan (organizzazione che studia gli oceani e fornisce servizi dedicati) e con gli enti di ricerca e le industrie degli Stati membri.

Copernicus, fornisce un servizio di informazioni ambientali e climatiche ad alta risoluzione, calibrate sulle esigenze degli utenti (inclusi governi, aziende e il pubblico in generale) con la policy di open data (dati e prodotti fruibili gratuitamente) che affrontano sei aree tematiche: terra, mare, atmosfera, cambiamento climatico, emergenza e sicurezza. Tali informazioni sono nella forma di dati grezzi oppure di post elaborazioni di osservazioni satellitari della Terra, integrati con dati spaziali (Meteosat) e non spaziali provenienti sia dalla rete WMO che da aerei e navi.

La costellazione dei satelliti, denominata Sentinel, ha compiti diversificati e alcuni di essi sono già in orbita e sono operativi mentre un’altra serie sarà lanciata prossimamente.

Al fine di agevolare e standardizzare l’accesso ai dati, la Commissione europea ha finanziato lo sviluppo di cinque piattaforme cloud che forniscono un accesso centralizzato ai dati e alle informazioni di Copernicus e agli strumenti per la loro elaborazione elettronica. Queste piattaforme sono note con il nome di DIAS, ovvero Data and Information Access Services.

Detto quanto sopra e mostrata la corposa organizzazione che ruota intorno allo stato ambientale della nostra Terra e, in particolare, dell’atmosfera, vediamo, in breve, i risultati di alcune elaborazioni.

La figura (fonte Copernicus) mostra di quanto si sono scostate (anomalie) nel 2023 le temperature dell’aria in superficie rispetto alle media del periodo di riferimento 1991-2020.



l servizio Copernicus ha monitorato diversi indicatori climatici durante tutto l’anno, riportando diverse condizioni estreme, come il mese più caldo mai registrato e medie giornaliere della temperatura globale che hanno superato i livelli preindustriali di oltre 2°C. Le temperature globali, da giugno in poi, hanno portato il 2023 a diventare l’anno più caldo mai registrato, superando con ampio margine il 2016, l’anno più caldo registrato precedentemente.

I primi segnali di quanto sarebbe diventato insolito il 2023 hanno iniziato ad emergere all’inizio di giugno, quando le anomalie della temperatura rispetto al livello preindustriale del 1850-1900 hanno raggiunto 1,5°C per diversi giorni consecutivi. Sebbene non sia stata la prima volta che le anomalie giornaliere abbiano raggiunto questo livello, non era mai accaduto prima che ciò succedesse in questo periodo dell’anno. Per il resto del 2023, anomalie della temperatura giornaliera globale superiori a 1,5°C sono diventate un evento regolare, al punto che quasi il 50% dei giorni nel 2023 sono stati superiori a 1,5°C rispetto alla media 1850-1900 (ricordo che l’Accordo di Parigi del 2015 perseguiva l’obiettivo di limitare ben al di sotto di 2 °C il riscaldamento medio globale rispetto al periodo preindustriale per il periodo successivo al 2020, puntando a un aumento massimo pari a 1,5°C).

Come ampiamente dimostrato, i principali fattori che determinano tali risultati estremi sono di origine antropica (le concentrazioni di gas serra) e di origine naturale (El Niño ecc.). Sappiamo però che esiste anche un impatto antropico sulle periodicità naturali (ovviamente, non di origine astronomica che, però, almeno per quelle più importanti, hanno periodicità secolari se non millenarie), infatti, un fattore determinante di tali insolite temperature del 2023 è l’innaturale alta temperatura superficiale dell’oceano, determinata in larga parte dal continuo aumento delle concentrazioni di gas serra. Le ondate di caldo marino sono state un evento comune nel 2023, colpendo regioni come il Mediterraneo, il Golfo del Messico e i Caraibi, l’Oceano Indiano e il Pacifico settentrionale e gran parte del Nord Atlantico.

In conclusione di questa veloce nota informativa, mostriamo i grafici (fonte Copernicus) dell’aumento della temperatura dell’aria in superficie sull’intero globo rispetto alla media del periodo 1850-1900, sulla base di diversi dataset. Dati riportati come medie quinquennali dal 1850 (a sinistra) e come medie annuali dal 1967 (a destra).