Quando casa e laboratorio fanno parte degli stessi progetti e percorsi. A Candelo, in provincia di Biella, l’incontro con Sergio e Maria tra storia e musica.
Troviamo Sergio Verna e Maria Guerretta in una casa del 1400 nel centro storico di Candelo, comune di 7.215 abitanti della provincia di Biella, in Piemonte, situato su un piccolo altipiano a circa 300 metri di altezza, in un territorio boschivo che fa parte della Riserva naturale orientata delle Baragge.
La testimonianza dell’epoca della casa – appartenuta a una ricca famiglia che ne aveva fatto donazione a una confraternita di suore e donne escluse dalle famiglie – è data da alcuni affreschi che Sergio e Maria hanno recuperato sotto gli intonaci, grazie al lavoro della figlia Stefania, restauratrice d’arte.

Affresco della casa dei Verna
Qualche accenno su Candelo è necessario, per comprendere meglio anche le loro scelte professionali e di vita, che molto derivano dalla passione per la storia e l’archeologia. In effetti, il centro storico di Candelo è conosciuto soprattutto per la presenza dell’omonimo Ricetto medioevale, dove lo stesso Sergio ha lavorato fino a cinque anni fa. Sergio e Maria, poi, hanno nel tempo contribuito a valorizzare tutte quelle tradizioni storiche locali anche attraverso ricostruzioni e sfilate o con la partecipazione ad eventi come la prossima edizione del Gran Bal Trad, un festival dedicato alla danza e alla musica tradizionale, nato dal desiderio di mettere in contatto differenti modi di esprimere la danza e la musica, che si terrà dal 7 al 12 luglio.
Il “sodalizio” (che personalmente valuto molto più che un felice matrimonio!) tra Sergio e Maria è rinforzato anche dal lavoro pluridecennale di Maria con i tessuti, che a latere della sua collaborazione con un’azienda che fornisce tessuti d’arredamento a strutture d’accoglienza valdostane, porta avanti la sua passione per la creazione di abiti e accessori d’epoca, molto spesso indossati da entrambi nelle diverse manifestazioni.
Per questo vale la pena spendere alcune parole anche sul festival di luglio, che si propone di offrire ai partecipanti un quadro variegato di alcuni esempi delle varie culture presenti in Europa, non dimenticando di proporre uno spaccato di tradizione tipico dell’Italia. Un festival che si tiene con l’aiuto ed il supporto costante del Comune di Vialfré, piccolissimo comune della città metropolitana di Torino e della locale Proloco, ed è curato ed organizzato dall’Associazione Culturale GBT con la collaborazione di quattro associazioni culturali che, accomunate dalla passione per la musica ed il ballo. Una realtà forse poco conosciuta alle “masse”, ma che vedrà presenti più di 250 tra insegnanti ed artisti provenienti da tutta Europa, impegnati ad ogni ora del giorno e della notte in atelier di danza e di strumento, concerti serali, conferenze e migliaia di persone che potranno diventare spettatori e protagonisti di una full immersion nella danza e nella musica tradizionali.
Il Ricetto di Candelo: fonte di vita e d’ispirazione
Tornando a Candelo, vediamo un po’ più da vicino il Ricetto, complesso architettonico di epoca medievale situato nel centro del paese, destinato all’accumulo di beni, una struttura fortificata protetta all’interno del paese per foraggi, vini e altro del signore locale o della popolazione, dove occasionalmente si ritirava la popolazione stessa in caso di attacchi dall’esterno.
Quello di Candelo è uno degli esempi meglio conservati di questo tipo di strutture medievali presenti in diverse località del Piemonte ed in alcune zone dell’Europa centrale. Al pari di altri ricetti, quello di Candelo non risulta essere mai stato destinato a uso di abitazione stabile, ma al pari di altri – per le sue origini economiche, storiche, collettive e democratiche ante-litteram – è stato oggetto di studi storici ed architettonici.
E’ composto da circa duecento edifici definiti “cellule” che occupano un’area di circa 13.000 metri quadrati, con una forma pentagonale e con un perimetro di circa 470 metri, dalla cui posizione si gode una vista panoramica sull’intero comprensorio delle Prealpi biellesi, a nord, e verso la Riserva naturale orientata delle Baragge a sud.
Il complesso è attraversato da strade, definite con evidente francesismo rue, in particolare sono cinque, in direzione est-ovest, intersecate da due ortogonali. La struttura è quasi interamente cinta da mura, con torri cilindriche agli angoli, a esclusione del lato meridionale, dove nel 1819 è stato costruito il palazzo comunale, in uno stile neoclassico non coerente con tutta la parte più antica.
L’unica possibilità di accesso era data da una massiccia torre di forma parallelepipeda in massi squadrati nella parte inferiore e in mattoni nella parte superiore, con due aperture verso l’esterno, una più grande per i carri e una più piccola per i pedoni, chiuse da altrettanti ponti levatoi.
La data di avvio dell’edificazione non è determinabile con esattezza, anche se la prima citazione conosciuta di Candelo, nella sua antica denominazione Canderium, risale all’anno 988, in un documento in cui Ottone III ne conferma il possesso al feudatario Manfredo, salvo poi, l’anno successivo, destinare il borgo al feudo facente capo alla Chiesa vercellese.
Chi ne ha studiato la storia tende a collocare la costruzione su terreni concessi dei Vialardi di Villanova tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo, ma ciò che è certo è l’esistenza nell’anno 1374, quando la comunità di Candelo fece atto di dedizione spontanea a casa Savoia. Ai primi del XVI secolo, modificando e sopraelevando le cellule preesistenti, Sebastiano Ferrero, feudatario del luogo dal 1496, su investitura del duca Filippo II di Savoia Senzaterra, fece costruire la propria abitazione, di fatto una torre fortificata, che costituisce l’edificio più elevato del ricetto ed è comunemente nota come casa del Principe. Nel 1499 Ferrero, che in virtù del suo ruolo di feudatario poteva vantare diritti, redditi e giurisdizioni, reputando inadeguata la misura del focatico corrispostogli dai candelesi, accampò pretese sul ricetto, ma la sua richiesta fu ricusata dai giudici chiamati a esprimersi sulla disputa.
Dalle passioni giovanili ai “mestieri” antichi per scelta
In questo ambiente così pieno di storia e di fascino Sergio inizia da giovanissimo, intorno ai 14 anni, a lavorare come falegname, apprendendo tutte le tecniche della lavorazione del legno, partendo da una passione che aveva fin da piccolo, quando provava a costruirsi da solo dei giocattoli. La sua passione per questo mestiere, anche quello per il restauro, è tale che il suo primo “maestro” lo supporta finanziandogli alcuni corsi estivi di ebanisteria, scultura su legno e, appunto, restauro.

Ghironde
E a un certo punto incontra la musica, quella medievale e tradizionale e si innamora di uno strumento speciale: la ghironda, di cui lo colpisce il suono, in effetti molto particolare. E’ così che mentre studia lo strumento e comincia a suonarlo, decide anche di imparare a realizzarne una in proprio, cosa che fa, trasformando questa sua passione nella sua futura professione. Una sfida continua verso il perfezionamento della costruzione di questo strumento, fino ad arrivare alla possibilità di diventare fornitore di fiducia di musicisti e appassionati.
Dopo avere imparato a suonare la ghironda, Sergio ha anche fatto parte dei Quinta Rua, un gruppo di 10 persone che faceva musica tradizionale con una grande varietà di strumenti (ghironde, organetti e altri) e che prendeva il nome proprio dalla strada dove aveva la propria bottega all’interno del Ricetto.
Ci ricorda Sergio
«Interessante per me è anche la storia stessa della ghironda, nata più o meno nella seconda metà del 1300, nel Centro e Sud d’Europa, come strumento di intrattenimento, per far ballare e per molto tempo utilizzata principalmente nelle strade dai mendicanti».
E’ nel ‘700 che la ghironda diventa, in Francia, uno strumento di moda a corte, ed anche i grandi musicisti dell’epoca, Mozart, Vivaldi, Haydn, cominciano a comporre per ghironda.
Terminato il periodo “colto”, nell’’800 la ghironda torna ad essere strumento di musica popolare e da ballo, o collegata anche ad attività dei mendicanti (molto spesso bambini, noti infatti, gli “schiavi dell’arpa”, migliaia di bambini italiani provenienti da famiglie povere, mandati in giro per l’Europa e gli Stati Uniti per essere utilizzati come esibitori di arpa su strada).

Ingresso del laboratorio
Da ormai 30 anni Sergio si è specializzato su ghironde, organistrum, symphonie, tutta la famiglia delle ghironde e le costruisce su commissione, sia modelli classici sia barocchi, continuando a studiare le possibili innovazioni e attento anche alle richieste particolari della clientela ormai stabilizzata e fidelizzata, costituita da musicisti, o allievi di musicisti, ma anche semplici appassionati.
Negli anni, riscuotendo approvazione e riconoscimenti da musicisti italiani e stranieri, ha riprodotto l’organistrum di Vercelli, dall’unica iconografia di questo strumento in Italia e collaborando con un famoso ricercatore e divulgatore, ha riprodotto una delle ghironde esposte al museo etnografico Guatelli di Ozzano Taro, frazione di Collecchio in provincia di Parma, esempio di costruzione italiana in quella provincia. Un altro strumento che da sempre lo appassiona nella costruzione è la Nyckelharpa, uno strumento inventato dagli svedesi, che sta diventando sempre più diffuso e apprezzato nel resto d’Europa.
«Quello che continua ad appassionarmi”, sottolinea Sergio, “è il fatto che la ghironda sia ormai utilizzata anche nella musica folk metal perché il suo suono si integra bene con le sonorità dell’heavy metal e con le influenze folk, creando un’atmosfera unica».
Come abbiamo visto, una storia che praticamente non ha fine, se si adottano approcci creativi e di ricerca continua.