Numero 54 Registrazione al tribunale di Roma N° 3/2004 del 14/01/2004

Filosofi e calcolatori, gli attori di un nuovo umanesimo tecnologico

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di Luca Severini

 

Indice

Prefazione
Capitolo I – Declino della Società dell’Informazione
Capitolo II – Economia della Conoscenza mai nata
Capitolo III – Dalla Società dell’Iper-informazione a quella della Conoscenza (prossimamente)

 

Capitolo II

Economia della Conoscenza mai nata

 

Tecnologie per il consumatore

E’ stato scritto che le tecnologie dell’informazione, in quanto sintattiche, producono dei risultati statistici. E anche che non offrono la possibilità di restituire risultati se non si conosce a priori l’indirizzo della risorsa, ovvero non si possiede già una conoscenza di ciò che si va cercando.
Le tecnologie dell’informazione, inoltre, benché offrano all’uomo contemporaneo strumenti inimmaginabili all’uomo del passato, non hanno però sostanzialmente modificato i paradigmi di trasferimento delle conoscenze dall’invenzione della stampa a caratteri mobili. Si continua infatti a leggere, per comprendere ed assimilare il sapere dell’autore.
Ci troviamo ancora in quella condizione che lo stesso Goethe stigmatizzava al suo rientro dall’Italia in una lettera del 24 Aprile del 1819, indirizzata al suo amico F. v. Mueller: "Man erblickt nur, was man schon weiss und versteht" (“l’uomo vede solo ciò che già conosce e capisce”)!
Ma allora, come mai queste tecnologie hanno un così ampio utilizzo?
La ragione risiede nel fatto che esse colmano dei nuovi bisogni di cui l’umanità non poteva essere cosciente proprio a causa del fatto che queste tecnologie , non esistendo ancora,  non potevano essere impiegate per la costruzione di sistemi informativi capaci di soddisfare nuove esigenze. Infatti, senza la disponibilità di una risorsa, è molto difficile immaginarne una sua applicazione concreta.
Ovviamente, poiché queste tecnologie producono risultati statistici, i sistemi informativi devono necessariamente colmare bisogni che possono essere soddisfatti da risultati esatti al netto di un margine di errore.
Riflettendoci bene, esistono bisogni umani che possono essere soddisfatti anche da un approccio non deterministico al problema. Essi sono generalmente quelli che appartengono alla sfera privata dei singoli individui, ovvero ai loro rapporti personali con altri individui. Ma possono essere anche bisogni di relazione economica con altri individui, fisici o giuridici, che coinvolgono comunque la sfera del privato.
Questi sistemi, quindi, sono utili a soddisfare bisogni personali dell’individuo, il quale può assumersi la responsabilità diretta di operare scelte e prendere decisioni, anche in presenza di risultati “quasi” veri, poiché egli è il soggetto stesso del bisogno cioè il “consumatore finale”.
Per questo motivo le tecnologie dell’informazione vengono comunemente impiegate per la costruzione di sistemi informativi “consumer to consumer” e “business to consumer” (C2C & B2C). Questi non sono generalmente mezzi professionali, ma solamente sistemi di intrattenimento e di induzione al consumo di beni e servizi.
Dietro questa considerazione si cela però un’insidia.
Questi sistemi sono mezzi di interazione tra individui, i quali sono portatori naturali di diverse “identità sociali”: sono cittadini nei confronti dello Stato, genitori o figli nei confronti della famiglia, lavoratori nei confronti del sistema economico, ecc.  L’impiego esasperato dei sistemi informativi basati sulle tecnologie dell’informazione può ingenerare interferenze tra le varie identità degli individui.
Come cercherò di dimostrare, a mio giudizio l’identità più penalizzata è proprio quella che vede l’individuo come “lavoratore” nel contesto del sistema economico. E a causa di questa interferenza, è proprio il sistema economico che in generale risulta maggiormente penalizzato dalla diffusione dei sistemi C2C e B2C basati sulle tecnologie dell’informazione.

Social Networks e risorse umane

Un esempio di sistemi informativi rivolti a soddisfare questo tipo di bisogni è quello costituito dai Social Networks.
Il colossale successo di tali sistemi può essere giustificato solo se si osserva il fenomeno da una prospettiva che vede quale necessità naturale di ogni individuo quella di soddisfare le proprie esigenze di relazione con gli altri. Per esempio, il bisogno individuale di chiacchierare, mettersi in mostra, farsi i fatti degli altri, ecc. è stato soddisfatto da questi strumenti elettronici capaci di implementare meglio di qualunque altro media finora utilizzato il modello della “comare”, tipico modello di interazione personale basato sul pettegolezzo, diffusissimo in tutte le società dei nostri predecessori. 
La televisione, realizzando il modello di comunicazione uno-a-molti, ha permesso infatti solo a pochi eletti di potersi “mettere in mostra”, ma ha dato la possibilità a moltissimi,  grazie a format di grande successo come i “reality”, di “farsi i fatti degli altri”.
Il telefono, implementando il modello di comunicazione uno-a-uno, storicamente ha permesso a coloro che se lo potevano permettere di poter “chiacchierare”, anche in modo molto diretto e schietto, proprio per la caratteristica, del tutto nuova per l’umanità, di poter interagire verbalmente con gli altri senza doversi assumere le responsabilità imposte dalla presenza fisica.
Per superare lo scoglio dei costi telefonici, negli anni ‘970 dilagò addirittura in tutto il mondo la moda delle trasmissioni radio in Citizens’ Band. Questo strepitoso fenomeno sociale venne successivamente colmato dalla diffusione di un nuovo media, molto più potente e pervasivo: la telefonia cellulare. Di fatto, è stata proprio la telefonia mobile a far tramontare la moda dei “baracchini”, come venivano chiamate le piccole ricetrasmittenti in Banda Cittadina, poiché nei “telefonini” (termine che ricorda moltissimo “baracchini”) si poteva essere sempre connessi per chiacchierare e scambiarsi anche messaggi.
Si sviluppa così la mania dell’SMS, un fenomeno sociale che sta modificando non solo il nostro modo di interagire con gli altri, ma sta facendo emergere l’esigenza di utilizzare forme di linguaggio diverse, più adatte al media, dall’impatto incredibile sul lessico e sulla grammatica dei nostri linguaggi naturali.
Con la diffusione dell’SMS nasce anche l’esigenza “sociale” della “chat”. Internet, che si sviluppa proprio negli anni della telefonia mobile digitale, appare subito il “medium” adatto a soddisfare in maniera organica e scientifica questo bisogno naturale dell’uomo di interagire con gli altri. Visto il successo che stava ottenendo, sarebbe stato sufficiente creare un’applicazione capace di integrare in un unico contenitore tutti i paradigmi della comunicazione disponibili.
Nascono quindi i primi “social networks”, sorta di sottomondi virtuali che permettono di:

  • “mettersi in mostra” senza i filtri del casting televisivo, attraverso la pubblicazione di spazi web personali contenenti testi, immagini, video e audio
  • “farsi i fatti degli altri”, anche in maniera anonima, andando a rintracciare le informazioni sugli altri partecipanti del network
  • “chiacchierare” con una serie di strumenti che allargano moltissimo lo spettro di possibilità di interazione: chat, blog, posta, ecc.

E tutto questo a livello World Wide e a costi prossimi allo zero!
A mio modo di vedere, sono queste le ragioni del colossale successo di alcuni famosi Social Network come ad esempio Twitter o Facebook. Un successo che ha portato anche molte organizzazioni a immaginare di raggiungere l’enorme quantità di individui presenti in questi ambienti virtuali al fine di catturarne l’attenzione.
Si afferma così la moda di essere presenti sui Social Network per gli scopi più disparati, dal reclutamento di consensi (si pensi alla campagna elettorale del Presidente degli Stati Uniti Barack Obama) alla ricerca di fondi da parte di organizzazioni no-profit, dalle attività di branding o di pubblicità di imprese al reclutamento di personale da parte delle organizzazioni.
Tutto molto utile ed interessante, ma al centro c’è sempre il singolo individuo, con le caratteristiche che possiede e di cui qualcun altro è interessato: il suo voto, il suo denaro, il suo skill, ecc. Insomma, anche se si scala verso esigenze di tipo più “professionale”, dietro  questo modello d’interazione non c’è nessun criterio economico per determinare la crescita del valore. Si tratta sempre, cioè, di raggiungere un individuo nel suo status di “consumatore”, inteso come ultimo anello della catena del valore.
Qualcuno potrebbe obiettare affermando che esistono Social Networks di tipo “professionale”, come Linkedin o Xing, che si rivolgono proprio a determinate categorie di lavoratori e professionisti. E che questi sono di grande successo!
Ciò è vero, ma solo in parte. Il successo, comunque, deriva dalle stesse ragioni: soddisfare il modello della “comare”.
Questi tipi di Social Network sono stati creati per appagare il bisogno psicologico di stabilità sociale degli individui: tali applicazioni consentono infatti di mettere in mostra le proprie abilità lavorative al fine di farsi notare da professionisti del reclutamento di imprese e organizzazioni attive sulla rete.
Non ho statistiche che mi consentono di affermare quale sia la percentuale di persone che cercano o trovano effettivamente lavoro grazie a contatti avvenuti nei Social Network, tuttavia mi limito ad osservare che esporre i propri skills professionali rappresenta una grossa fonte di rischio.
Supponiamo che una persona sia interessata, per cercare o cambiare lavoro, ad entrare in contatto con imprese che desiderano assumere personale con lo skill professionale che la contraddistingue. Il reclutatore con molta probabilità, una volta individuato il soggetto, effettuerà una ricerca sul Web per reperire altre informazioni al fine di capire meglio il profilo del possibile candidato. Se disgraziatamente colui che cerca lavoro, per colmare i suoi bisogni privati, fosse presente in un altro Social Network in cui esponesse le proprie caratteristiche personali in modo dissimile da come esposte sull’altro, cosa potrebbe pensare il reclutatore? Come minimo colui che cerca lavoro farebbe una pessima figura. Anzi, secondo me, si rovinerebbe proprio la reputazione professionale!
Per questo sono molti quelli che preferiscono non creare propri profili nei Social Network. Allo stesso modo si comportano le imprese che non operano sul mercato consumer, ovvero che non vedono la singola persona come un proprio potenziale cliente. 
Le imprese che invece considerano ciascun individuo un potenziale cliente, ovvero operano sul mercato consumer, sono molto interessate ad impiegare i Social Networks come mezzi per veicolare il proprio brand ed effettuare vere e proprie campagne di marketing.
Tra le forme di marketing che sfruttano meglio i modelli di comunicazione implementati dai Social Media, vediamo la nascita del Buzz Marketing, dove “buzz” significa proprio “pettegolezzo”, a riprova che questi sistemi informativi utilizzano il modello di comunicazione della “comare”.

Commercio elettronico e offerta di prodotti

 Un'altra categoria di sistemi informativi basati sulle tecnologie dell’informazione che soddisfano i bisogni degli individui, sono le applicazioni informatiche per il commercio elettronico.
Queste applicazioni hanno modificato definitivamente il modo con cui tutti noi ci relazioniamo ormai con il mondo dei consumi personali: un fenomeno sociale che fonda le radici sul bisogno individuale di possesso e sull’esigenza di accelerare il processo del consumo da parte degli operatori economici.
La nascita di servizi potentissimi come Amazon o e-Bay ha stigmatizzato un modello di commercio che sarebbe diventato il paradigma dei nuovi servizi per le imprese di tutto il mondo. Con la diffusione capillare di questi potenti sistemi, è ormai veramente possibile immaginare un mercato globale in cui le persone possono effettuare le proprie scelte di consumo, indipendentemente da dove si trovi la merce e dalla valuta con cui si vuole acquistare, stando comodamente sedute in poltrona, senza più doversi recare in un luogo per acquisire il bene o il servizio.
Ma il vantaggio straordinario offerto da questi sistemi è senza dubbio quello di avere in linea un catalogo di prodotti sterminato, praticamente illimitato, a disposizione di un click! Insomma, una grande conquista sociale che tuttavia non ha modificato sostanzialmente il modello di economia sottostante.
Se si riflette bene, i sistemi informativi per il commercio elettronico offrono dei servizi per superare i problemi dovuti all’impiego delle tecnologie sintattiche che, come mostrato precedentemente, non risolvono il problema di poter cercare anche ciò di cui non si è a conoscenza. Quando si ricerca un prodotto, infatti, il sistema suggerisce automaticamente altri prodotti correlati, non tanto per indurre ad acquistare un altro prodotto, ma principalmente perché le ricerche producono risultati statistici per cui il venditore non ha mai la certezza che il compratore stia veramente di fronte al prodotto desiderato.
Questo semplice esempio fa però comprendere quanto i sistemi di commercio elettronico siano indirizzati prevalentemente al mercato consumer, ovvero siano utilizzabili prevalentemente da singoli individui per soddisfare i propri bisogni personali o da imprese ed organizzazioni che sanno esattamente ciò di cui hanno bisogno e conoscono perfettamente cosa, dove e come acquistare. 
Infatti, se un sistema per il commercio elettronico propone o suggerisce ad un cliente consumer un oggetto anche completamente diverso dalle sue aspettative, al massimo il venditore può rischiare di non effettuare la vendita. Viceversa, se il sistema propone o suggerisce prodotti diversi dalle aspettative del cliente “business”, oltre alla mancata vendita, si aggiunge inevitabilmente una componente “entropica” dovuta alla perdita di tempo che il cliente business subisce.
Per questa ragione i sistemi di commercio elettronico non sono ancora largamente impiegati dalle imprese per acquisire beni e servizi che sono impiegati nel ciclo produttivo, ovvero l’offerta di prodotti è ancora orientata prevalentemente al mondo del consumer.

SEM e visibilità

Come sappiamo, anche i motori di ricerca per il Web fanno uso delle tecnologie dell’informazione.
Tra questi Google è quello di maggior successo grazie alla brillante idea dei due giovani ideatori che hanno associato per la prima volta ai servizi di ricerca quelli di marketing, facendo nascere di fatto il SEM, Search Engine Marketing (L. Severini, “Il Knowledge Retrieval per uscire dal caos informativo”, CaosManagement.it  - Settembre 2009).
Il modello di comunicazione implementato dalle funzioni di un motore di ricerca orientato al marketing offre grandi opportunità di far ottenere una visibilità a basso costo, senza paragoni nel passato. Innanzitutto si tratta di una visibilità World-Wide ottenibile nel passato con grandi sforzi ed ingenti investimenti. Inoltre, grazie alla possibilità di associare sistemi per il commercio elettronico, la visibilità può essere trasformata immediatamente in business, attraverso lo stesso media. Cosa impensabile fino a pochi anni fa!
Tuttavia, beneficiarie di queste incredibili potenzialità sono sempre e comunque le imprese che vedono il singolo individuo come potenziale cliente. Viceversa, le imprese che operano nel campo del B2B non riescono a trarne troppi benefici a causa del processo di vendita più complesso di cui i propri prodotti necessitano. In questo caso il processo decisionale è assai più articolato e non può certo essere avvantaggiato dalla mera constatazione di vedere una tal ditta fornitrice con un ranking elevato, o presente tra i link sponsorizzati o evidenziati per associazione di termini e altro meccanismo sintattico.
Un’impresa che deve generare valore attraverso il lavoro degli uomini e delle macchine, non può pensare di affidarsi al risultato statistico generato da un calcolatore. Le imprese hanno necessità di certezze e quindi privilegiano i rapporti consolidati, ovvero affrontano la scelta dei fornitori sulla base di processi decisionali di tipo deterministico.

Traduzioni ed economia

Anche i sistemi per il trattamento del linguaggio naturale fanno uso delle tecnologie dell’informazione. I più sofisticati possono impiegare anche complessi algoritmi di intelligenza artificiale. Tuttavia, proprio per la complessità di trattare in maniera esauriente le lingue a causa delle loro irregolarità e dei loro idiomi, aumentata dalla difficoltà di trattare in maniera omogenea le innumerevoli lingue parlate sulla terra, i sistemi per il trattamento del linguaggio naturale producono sempre e comunque risultati di tipo statistico.
Tutti ormai siamo abituati ad utilizzare strumenti per le lingue come il servizio di traduzione di Google. Esso è estremamente potente ed utile, tuttavia non possiamo non stupirci ogni tanto del modo buffo e goffo con cui vengono tradotte le frasi.
Proprio di questi giorni è l’annuncio eclatante che Google lancerà un nuovo servizio di traduzione automatica per la telefonia mobile!
Personalmente sono convinto che questo straordinario servizio contribuirà moltissimo ad implementare concretamente la società globale del futuro. Sono altresì convinto però che queste applicazioni saranno molto utili per l’interazione personale tra individui piuttosto che per migliorare le interazioni tra imprese e scopi di business in generale. Almeno nel prossimo futuro.
Immaginiamo un “business man” cinese impegnato in una conversazione con un suo omologo italiano. Ciascuno parla la propria lingua, tradotta simultaneamente dalla voce algida di un calcolatore. Supponiamo che a un certo punto il calcolatore commetta un errore, anche banale, che induca però l’uno a capire una cosa differente da ciò che l’altro voleva dire:  la conversazione sbagliata potrebbe andare avanti per molto tempo prima di poterla ricondurre sul giusto binario.
Come scritto precedentemente, una perdita di tempo non è ammissibile in un contesto di B2B. Inoltre, poiché relazioni di questo tipo sono basate sulla fiducia, il rischio di perdere ciò che si era guadagnato con fatica è veramente molto alto, con danni conseguenti per tutta l’organizzazione.
Questo tipo di servizi, a mio parere,  è dunque molto più adatto alle interazioni personali tra individui: nella peggiore delle ipotesi, infatti, di fronte ad una incomprensione il singolo può assumersi il rischio delle conseguenze poiché esse ricadrebbero esclusivamente su di sé.

Multimedia e intrattenimento

Come sappiamo, le tecnologie dell’informazione stanno pilotando la convergenza tra i vari media. Sono ormai disponibili elettrodomestici capaci di collegarsi a Internet attraverso diverse infrastrutture di rete e riprodurre contenuti audiovisivi in alta risoluzione.
Questo fenomeno, ormai  inarrestabile, ha indotto molte industrie di prodotti per l’informatica a rivedere le proprie strategie, così come molti produttori di elettrodomestici ad avvicinarsi al mondo delle tecnologie dell’informazione.
Imprese come Apple, che si può dire abbiano contribuito a “fondare” l’informatica di oggi, hanno visto la crescita esponenziale dei propri profitti grazie alla realizzazione di prodotti per la telefonia e per la riproduzione audiovisiva come iPhone, iPod e iPad. Imprese quali Sony hanno invece lanciato sul mercato console per videogiochi come PS3 e televisori collegabili direttamente a Internet capaci di riprodurre film anche in 3D.
Tutte queste industrie hanno però in comune il contemporaneo lancio di sistemi informativi per la distribuzione di contenuti multimediali e per l’interazione sociale, piattaforme evolute per il commercio elettronico di prodotti e servizi per l’intrattenimento.
Queste imprese hanno effettuato investimenti colossali per realizzare prodotti e servizi basati sulle tecnologie dell’informazione con il preciso scopo di intercettare i bisogni personali dei singoli individui e colmare le loro esigenze di occupazione del tempo libero!
Anche in questo caso, siamo di fronte a sistemi informativi specializzati nell’offerta di prodotti indirizzati ai singoli individui piuttosto che alle imprese, le quali sembrano proprio essere state escluse deliberatamente dagli interessi che hanno mosso la rivoluzione digitale che ci ha investiti negli ultimi anni. Ovvero nulla sembra essere stato fatto per i singoli individui nel momento in cui si trovano nello stato di “lavoratori”, cioè quando si trovano in quella fatidica condizione in cui ogni essere umano viene chiamato a produrre valore per l’impresa, che si trasformerà in ricchezza personale e conseguentemente in ricchezza per l’intera società.

 

Fine dell’Economia dei distretti

 

Informazione a portata di click

L’obiezione a questa affermazione potrebbe essere che ogni individuo nello status di “lavoratore” utilizza comunque questi strumenti nel momento in cui si trova sul posto di lavoro. In modo traslato quindi, le imprese impiegano questi strumenti e i modelli di interazione sociale associati. 
Si pensi infatti agli ambiti della comunicazione d’impresa effettuata con siti e portali Web; della comunicazione per mezzo della posta elettronica; della scoperta delle informazioni attraverso l’uso dei motori di ricerca; ecc.
Le tecnologie dell’informazione sono entrate quindi nel mondo delle imprese anche se il loro utilizzo è stato prevalentemente finalizzato alla soddisfazione dei bisogni degli individui e non a quelli dell’organizzazione. Anzi, la mia personale opinione è che proprio l’impiego di queste tecnologie ha determinato la mutazione di certi rapporti tra le imprese, decretando la fine di alcuni modelli economici che avevano generato valore e procurato nel tempo lavoro, benessere e ricchezza.
Per illustrare questo concetto, basta pensare agli effetti provocati dalla comunicazione istituzionale effettuata attraverso i Siti Web delle imprese e dalla loro relativa indicizzazione sui motori di ricerca.

Solamente i  migliori

Oggi, per ottenere qualsiasi tipo di informazione, come prima azione siamo portati a consultare “quello che dice Google” su quel determinato argomento.
Questa consuetudine è stata traslata ovviamente anche nel mondo del lavoro.
Supponiamo che un operatore dell’ufficio “acquisti” di una qualsiasi impresa si voglia rendere conto se il proprio fornitore applica prezzi e livelli di servizio adeguati. Facendo una semplice ricerca con Google, l’operatore può scoprire con facilità una mole praticamente sconfinata di informazioni. Sino a pochi anni fa, invece, si era costretti a consultare libri di migliaia di pagine (directory), effettuare una quantità di telefonate e inviare numerosi telex o fax: tutto per ottenere qualche scarna informazione, per altro relativa a poche zone geografiche su cui si poteva ragionevolmente concentrare la ricerca.
Insomma spreco di energie, tempo e risorse per ottenere modesti risultati. Tanto valeva rivolgersi a conoscenti o amici, ovvero favorire la creazione di imprese strumentali alla propria attività e localizzarle nelle vicinanze. Questa esigenza aveva creato la cosiddetta “economia di distretto” in cui, intorno a poche imprese di dimensioni grandi, nascevano più o meno spontaneamente grappoli di imprese del cosiddetto “indotto”. Molto più facile creare un indotto che sprecare tempo a capire e sperimentare nuovi fornitori.
Ognuno di noi, nel proprio lavoro di ricerca delle opportunità, con pochi click è ormai in grado di sapere in tempi rapidissimi chi fornisce quel prodotto o servizio, ai prezzi migliori e con il miglior livello di servizio. E non a livello locale, ma in uno scenario World Wide!
E’ ovvio che i migliori fornitori di quel prodotto o servizio, ovunque essi si trovino, saranno sempre i più cliccati e quindi i più visibili secondo il ranking calcolato dai motori di ricerca. E di conseguenza è chiaro che questi si accaparreranno le quote di mercato migliori e più appetibili.
In questo scenario, a cosa servono più le imprese locali che forniscono un prodotto mediocre a prezzi elevati offrendo SLA notevolmente al di sotto della media?
Ritengo che proprio questo sia il motivo della profonda crisi che le economie chiuse, locali, come quelle di distretto, stanno manifestando. Difficoltà che le piccole imprese non riusciranno più a superare poiché il loro vantaggio competitivo, ovvero quello di vivere a stretto contatto con il proprio cliente di riferimento, è stato completamente colmato dall’avvento di un modello di interazione straordinario, e proprio per questo assai pericoloso, favorito dalle nuove tecnologie dell’informazione e implementato dai nuovi sistemi di logistica.

Economia virale

Abbiamo visto che proprio la fantastica opportunità di “mostrarsi” attraverso i motori di ricerca può rivelarsi effimera, persino dannosa per la reputazione. Così come corrono velocemente sul filo del Web le buone notizie, altrettanto velocemente arrivano quelle cattive. Difficile è mascherare gli insuccessi poiché di questi è facile sentir parlare sui blog o sulle chat: il passaparola (buzz) si sta rivelando infatti determinante nei processi informativi di ritorno.
Per questo le vicende di un’impresa, così come possono mutare in positivo nell’arco di pochissimo tempo, in un tempo altrettanto rapido possono volgersi al peggio: il Web moltiplica in modo impressionante la velocità con cui si manifestano i fenomeni economici che determinano il successo o il fallimento delle imprese.
La rapidità con cui si manifestano sviluppi e crisi, pone la necessità di riflettere sulle implicazioni, dovute all’introduzione di queste tecnologie, sui modelli economici che finora siamo stati in grado di applicare e governare.
La percezione semplicistica dell’economia che ci proviene dagli archetipi di una società “agro-pastorale” (parzialmente presente in Italia fino al 1945!) non ci permette ancora di percepire quanto sia distante il modello economico che si sta affermando dal basso grazie all’uso pervasivo delle tecnologie dell’informazione e di Internet.
Il modello economico classico, teorizzato all’inizio della rivoluzione industriale, era basato sul concetto di espansione che si può riassumere così: per raddoppiare il profitto si raddoppia il “capannone”. Un modello lineare che con l’avvento della finanza, supportata dagli strumenti elettronici per la comunicazione (telegrafo, telefono, computer, reti, ecc.), ben presto ha manifestato la stretta dipendenza dal tempo: maggiore è la velocità di produzione e di trasferimento dei capitali, maggiore è il profitto. Questo modello non lineare, tutt’ora in auge, considera l’accelerazione come elemento fondante per generare ricchezza. Un modello quindi che viaggia per così dire sulla “derivata”.
Questi modelli economici hanno però, come elemento comune, il fatto che per poter esistere necessitano di sistemi a capacità infinita, ovvero di risorse primarie infinite, territori di espansione infiniti, crescita demografica infinita. Come sappiamo tutto ciò è praticamente impossibile.
Le Scienze della Terra stanno dimostrando come gli equilibri del nostro pianeta siano ormai sottoposti a uno stress mai raggiunto prima, forse dai tempi del biblico Diluvio Universale. Il dato più interessante è che per la prima volta tutto ciò non dipende più da cataclismi o volontà divine, ma solo ed esclusivamente dalla brulicante attività umana.
Ma il modello economico basato sulla “derivata” non potrà essere sostenuto a lungo.
A causa di Internet e dell’applicazione delle tecnologie dell’informazione, questo modello sta subendo nuove perturbazioni.  Si sta affermando un modello non più solamente ”non lineare”, ma un modello che appare dotato di uno “spin” capace di procurare effetti ciclici incontrollabili.
Effetti ciclici poco prevedibili e molto rapidi, come appunto lo sviluppo e la crisi repentina delle imprese, preludio dell’avvento di un nuovo tipo di economia non controllabile, pulsante, in grado di espandersi per poi immediatamente contrarsi. Un’economia che si muove secondo i meccanismi vitali propri degli organismi primitivi, capaci di moltiplicarsi velocemente per poi morire altrettanto velocemente. Un’economica, per utilizzare le parole del Presidente degli Stati Uniti d’America, Barack Obama, di tipo “virale” (cfr. http://www.thedigitaledgeblog.com/2009/01/20/change-and-a-viral-economy/).

Esasperazione del modello tradizionale

Questa nuova forma di economia non è altro che una degenerazione del modello economico tradizionale, una forma regressiva del modello classico dovuta all’introduzione delle tecnologie dell’informazione e di Internet.
Tutto infatti è rimasto come allora, salvo il fatto che tutto si muove più rapidamente, comprese le informazioni. E poiché è necessario espandersi per sopravvivere, l’umanità sta rapidamente saturando ogni spazio vitale.
Per poter sopravvivere in uno scenario senza sbocchi, si sono cercati degli espedienti. Si è ricorsi alla cosiddetta “finanza creativa”, trascurando il fatto che la finanza non produce ricchezza ma la sposta. Si è pensato che Internet stesso fosse un nuovo territorio di conquista, ma si è subito visto che il consumatore è sempre l’uomo, ovunque esso si trovi. Si è intensificata la ricerca dei potenziali clienti, senza considerare che il reddito degli individui non cresce così come dovrebbero crescere le imprese per sopravvivere. Si è fatto crescere il debito pubblico senza pensare che si spostavano i benefici sui genitori a discapito dei figli. Ecc.
E in questo scenario le tecnologie dell’informazione e Internet hanno accelerato il processo di degenerazione, disattendendo completamente le aspettative di chi intravedeva in esse la panacea di tutti i mali.
La quantità di informazioni a cui l’uomo è oggi soggetto, non lo ha sospinto ad accrescere le proprie conoscenze, ma di fatto lo ha demotivato privandolo del desiderio di crescere professionalmente e culturalmente. Le tecnologie lo hanno messo di fronte a una complessità troppo esasperata che lo ha indotto a scegliere di conservare piuttosto che di progredire. Lo ha reso sempre di più un oggetto piuttosto che un soggetto, un anello di quella catena del consumo di cui il modello economico attuale non può più fare a meno, pena l’annichilimento.
Insomma, strumenti e processi informativi che generano un over-head informativo tale che l’uomo non riesce più ad assorbire. Troppe conoscenze che, essendo ancora formalizzate in linguaggio naturale, per essere comprese, assimilate e trasformate in sapere dai lettori, impongono all’uomo di dedicare molto tempo al processo di apprendimento. Tempo che gli uomini, ormai vittime dall’economia virale oppressiva, non hanno più a disposizione.

 

Fallimento degli obiettivi di Lisbona 2000

 

Tecnologie non abilitanti

Tutto è divenuto progressivamente troppo complesso da gestire a causa del proliferare dei servizi on-line basati sulle tecnologie dell’informazione.
Si pensi solamente al numero di account che ognuno di noi possiede per l’accesso ai servizi on-line, che per i più svariati motivi siamo costretti ad utilizzare. Ricordarsi le informazioni d’accesso, o più semplicemente aggiornare le schede in cui sono annotate, è un compito piuttosto oneroso. Poi, una volta entrati nel servizio automatizzato, c’è da ricordarsi come si utilizzano le varie funzioni dei programmi. Un aggravio di lavoro del tutto sconosciuto alle generazioni passate.
E queste difficoltà si riscontrano prevalentemente in ambito professionale. E’ proprio nell’ambito lavorativo che siamo ormai costretti a sprecare una quantità di tempo impressionante nella gestione autonoma, mediata dai sistemi informativi, dell’interazione con le varie organizzazioni con cui entriamo in contatto e con lo Stato.
Prima c’erano solamente i sistemi informativi aziendali, adesso ci sono tutti i servizi intranet aziendali. Prima ci si recava in banca, oggi ognuno di noi deve improvvisarsi bancario per utilizzare tutti i servizi di remote banking. Prima si parlava con i nostri consulenti tributari e con del personale per gestire i rapporti con lo Stato, oggi molte attività vanno svolte necessariamente on-line.
Tutti parlano di semplificazione, e quando se ne parla a tutti viene in mente di realizzare nuovi sistemi informativi. Tutti rigorosamente basati sulle tecnologie dell’informazione. Paradossalmente si tenta di semplificare attraverso l’uso di strumenti che complicano le cose.
Una semplificazione “figurativa” che vede progressivamente aggravare di lavoro le persone,  sottraendo loro tempo utile al “vero lavoro”, ovvero allo svolgimento di quelle attività che producono valore e che si trasformano quindi in ricchezza. L’uso pervasivo di Internet e del Web in particolare, ha indotto inoltre le persone a spendere tempo per discriminare le informazioni utili da quelle inutili. Ulteriore perdita di tempo sottratta alle attività redditizie.
A mio giudizio però, l’aspetto più deleterio di questo uso pervasivo delle tecnologie dell’informazione è quello di non aver offerto alle persone un modello più efficiente per l’acquisizione di nuove competenze professionali.
Se da un lato queste tecnologie offrono ormai la possibilità di utilizzare contenuti formativi in modo semplificato (si pensi per esempio alle infrastrutture FAD), dall’altro la crescita enorme dell’offerta formativa sta mettendo in crisi l’autorevolezza del mezzo e la reputazione delle organizzazioni che erogano i contenuti. Una marea di scuole e università on-line che offrono tutto e di più. E quanto tempo si impiega a scegliere quale corso sia il più adeguato e quello più vantaggioso! Tempo sprecato per un’attività entropica sconosciuta alle generazioni precedenti.
Ma la questione più importante è comunque un’altra: per poter apprendere nuove conoscenze le persone devono comunque sempre leggere e assimilare ciò che è stato espresso in linguaggio naturale dall’autore. In sostanza nulla è cambiato dai tempi di Gutemberg!
I paradigmi su cui si basa l’apprendimento non sono cambiati da quelli delle generazioni passate. Mentre ai nostri nonni sarebbe però bastato leggere pochi testi base e conoscere i classici per avere quel vantaggio competitivo necessario per emergere, oggi noi siamo costretti a spendere un sacco di tempo per capire cosa studiare, leggere molto di più per apprendere anche nozioni molto specialistiche (che poi serviranno a ben poco), per ottenere quello che i nostri antenati ottenevano con sforzi decisamente inferiori.
Tutto questo è dovuto al fatto che oggi dobbiamo sapere di più anche se ancora siamo legati ai vecchi metodi di apprendimento. E in questo le tecnologie dell’informazione non ci aiutano affatto. Anzi ci danneggiano.
Queste tecnologie per così dire non sono “abilitanti”, ovvero non permettono all’uomo di apprendere più velocemente e con maggior facilità, così come i tempi e le condizioni sociali richiederebbero.
E questa è sicuramente la causa principale per cui l’introduzione delle tecnologie dell’informazione non hanno prodotto quell’accrescimento delle conoscenze individuali su cui si sarebbe dovuto generare quel vantaggio competitivo della Società Europea sulle altre, chiamato appunto Economia della Conoscenza.
Insomma, i nostri capi di governo riuniti a Lisbona nel 2000 non avevano capito che l’uso delle “nuove” tecnologie dell’informazione non avrebbe potuto offrire nessun vantaggio concreto rispetto all’impiego delle “tradizionali” tecnologie dell’informazione, cioè quelle della stampa a caratteri mobili. 

Calcolatori trascurati

Una strategia, quella di Lisbona 2000, basata evidentemente su presupposti sbagliati: si è riposta troppa fiducia sulla capacità delle tecnologie dell’informazione di determinare la rivoluzione culturale sperata.
Si è forse immaginato che l’uomo avrebbe potuto sfruttare le grandi potenzialità di Internet per essere sempre informato ed accrescere la propria consapevolezza. Si è forse immaginato che l’uomo avrebbe potuto sviluppare nuove conoscenze senza più tanti sforzi poiché tutto sarebbe stato a portata di click. Si è forse pensato che questi  uomini culturalmente più sviluppati avrebbero costituito il vantaggio competitivo di una nuova società capace di manifestare forme di economia più progredite e ricche. Appunto quelle basate sulla conoscenza!
Purtroppo, come abbiamo visto, non è stato così. Le tecnologie dell’informazione hanno costruito una cortina di “rumore”, dovuta alla complessità e all’over-head informativo, che ha impedito all’uomo di avere più tempo per le attività costruttive personali e sociali. E l’uomo ha gettato la spugna sul ring della società ipercompetitiva che Internet ha contribuito a costruire.
Tuttavia, l’idea alla base della strategia di Lisbona 2000 non era poi così sbagliata. Sarebbe bastato comprendere che uno sviluppo si sarebbe potuto avere solamente con l’uso di tecnologie in grado di scalare dalla generazione di risultati statistici alla produzione di risultati deterministici. Sarebbe bastato conoscere a fondo le potenzialità delle tecnologie sintattiche per rendersi subito conto che queste non sono adatte. Esse, inesorabilmente, producono statistiche e non fatti.
Ma non era stato del tutto sbagliato immaginare che l’informatica avrebbe potuto rappresentare il driver di questo processo. Si è però immaginato il calcolatore un oggetto, uno strumento in mano al suo possessore umano. E si è immaginato che il driver sarebbe stato ancora la persona, l’uomo con le dita sulla tastiera e gli occhi puntati sul monitor. Si è immaginato che il soggetto della nuova rivoluzione sociale sarebbe comunque ancora stato l’uomo!
Quante volte dobbiamo contare questa carta? L’uomo ha solo 24 ore al giorno e, per quanto possa essere attivo simultaneamente nel mondo reale o nei vari mondi “virtuali”, la propria capacità di apprendere, svolgere attività produttive e operare scelte di consumo rimane sempre la stessa.
Forse gli ideatori della strategia di Lisbona avrebbero dovuto essere più spregiudicati e iniziare ad immaginare i calcolatori come i nuovi soggetti da inserire a fianco degli uomini nelle “equazioni” che formalizzano i modelli economici.
Del resto, grazie alle applicazioni “server site” i calcolatori hanno iniziato già da tempo ad operare in modo “anattended” e in certi ambiti anche autonomamente. Molti calcolatori di nuova concezione sono in grado addirittura di attivare automaticamente processi economici scaturiti da bisogni autonomi, come per esempio gli aggiornamenti al proprio software operativo. O anche capaci di generare automaticamente delle attività economiche compiute, come accade per esempio ai sistemi di Google.
Passando a questo modello in cui i calcolatori iniziano ad essere soggetti e non più oggetti in completo stato di strumentalità rispetto all’uomo, forse si sarebbe potuto immaginare un vero e proprio nuovo mondo “virtuale” in cui calcolatori avrebbero potuto generare valore autonomamente e produrre quindi ricchezza in modo analogo a quello che fanno gli umani. E si sarebbe potuto immaginare uno scenario di espansione praticamente infinito: la quantità di reti e calcolatori attivabili sulla terra e nello spazio è praticamente illimitato.
Insomma, gli autori della strategia di Lisbona hanno commesso l’errore di sopravvalutare le reali possibilità delle tecnologie dell’informazione e non hanno attribuito il giusto valore ai calcolatori!  
Errori fatali che non hanno permesso di riconoscere i segnali premonitori di una crisi latente verso cui le economie si stavano dirigendo, anzi hanno contribuito ad accelerare il processo degenerativo poiché, involontariamente, l’uso smodato e dissennato delle tecnologie dell’informazione ha sospinto più velocemente le economie verso la crisi mondiale in cui siamo ormai piombati.
Una corsa sfrenata verso il precipizio!
Un’immagine che gli etologi potrebbero associare al suicidio di massa che inspiegabilmente i lemming compiono gettandosi tutti insieme negli strapiombi artici.

 

 

 

Luca Severini, è la persona che ha coniato il termine “epistematica”. Nel dizionario italiano esiste il termine “epistematico” [deduttivo] impiegato come aggettivo maschile. Il sostantivo femminile “epistematica” è una nuova voce composta dai termini "epistème" [conoscenza] e "informatica" [trattamento automatico dell'informazione], che assume per analogia il significato di "trattamento automatico della conoscenza". L'Epistematica studia, crea e applica tecnologie che permettono ai calcolatori elettronici di simulare comportamenti intelligenti mediante processi inferenziali effettuati su apposite basi dati arricchite semanticamente, dette basi di conoscenza. Vedi anche http://it.wikipedia.org/wiki/Epistematico Luca Severini è il fondatore della società che prende come denominazione il termine da lui coniato. Epistematica Srl è l’impresa che per prima in Italia si è specializzata nell’applicazione delle tecnologie semantiche per la formalizzazione e il trattamento automatico di conoscenze. l.severini@epistematica.com