Antiche leggende medievali raccontano che nelle notti di tempesta i Saraceni accendevano falò su ripide scogliere per trarre in inganno i naviganti cristiani e farli naufragare. Carlo Alberto Pinelli, archeologo orientalista, documentarista e scrittore, ambientalista della prima ora, alpinista accademico del CAI e fondatore di Mountain Wilderness, ne ha fatto il titolo di un suo romanzo che narra le vicende di un giovane archeologo che negli anni ‘60 ha partecipato ad una campagna di scavo presso la città di Malatya nell’Anatolia orientale, combinandola con un rischioso documentario sui curdi e con un’altrettanto rischiosa scalata dei 5000 metri del monte Ararat.

 

La copertina del libro

Il romanzo è di lettura piacevolissima, in un concatenarsi di avventure archeologiche, sentimentali, politiche e alpinistiche. Il racconto è opera di fantasia, ma si nutre in modo consistente delle esperienze reali di Carlo Alberto. Ma a differenza di un saggio autobiografico, l’arco narrativo tiene avvinto l’interesse del lettore dalla prima all’ultima pagina, per sapere se vincerà l’amore per l’esotica ragazza turca o per l’intrigante archeologa italiana, se la polizia turca riuscirà a intercettare i giovani documentaristi per impedire i loro incontri con i guerriglieri curdi, se il protagonista arriverà in vetta al monte biblico, se i contrabbandieri lo tradiranno o lo condurranno a buon fine. Ma al tempo stesso il lettore può godere delle notizie e considerazioni scientifiche e politiche dell’autore, grazie alla sua competenza nei vari campi.

Io ho letto con particolare emozione e partecipazione questo libro, perché avrei dovuto esserci anch’io fra quei collaboratori di Pinelli. Ci conoscemmo all’università, e diventammo amici grazie alle lunghe chiacchierate fatte sulla Circolare Rossa che conduceva dalle nostre case all’università. Ambedue frequentavamo i corsi di archeologia, io etruscologia, lui archeologia orientale.

Carlo Alberto per me è stato sempre un propositore di problemi. Il primo di questi, quello che rappresenta in maniera plastica tutto il processo di problem solving, è l’arrampicata su roccia.

Un giorno mi propose di provare quello che a me sembrava uno sport da superuomini, facendomi fare qualche tiro di prova nella palestra romana del Monte Morra, vicino Tivoli. Dopo lo spavento iniziale, vedendo che la cosa poteva essere alla mia portata, sempre su suo consiglio frequentai il corso di alpinismo della SUCAI, la sezione universitaria del Club Alpino Italiano, di cui lui era uno degli istruttori.

Laureati di fresco, lui organizzò una spedizione archeologica e alpinistica in Anatolia. Aveva trovato finanziatori, committenti e sponsor vari, anche perché nel 1959 aveva partecipato con successo alla conquista del Saragrahar Peak (7349 metri) nell’Hindukush, con la prima spedizione himalaiana romana, guidata da Fosco Maraini. Poiché disegnavo bene, conoscevo le tecniche di pittura antica e avevo imparato ad andare in montagna, mi propose di partecipare all’avventura che combinava scavo archeologico, alpinismo e documentarismo. Io dovevo fare ancora il servizio militare, ma mi ero organizzato per andare in Aeronautica dove avrei fatto parte della rivista Ali nuove, il cui direttore era un generale amico di famiglia. Invece la cosa non riuscì e fui chiamato nell’Esercito tre mesi prima del dovuto. La mia partecipazione andò in fumo, e invece di andare ad esplorare i misteri dell’Asia Minore mi ritrovai a respirare l’aria nebbiosa e asbestica di Casale Monferrato. Le nostre carriere professionali così si separarono, anche se restammo amici per sempre. Carlo Alberto fece la sua spedizione sviluppando la sua carriera di documentarista, oltre che di archeologo, che lo avrebbe portato a girare oltre cento filmati, collaborando fra gli altri con Folco Quilici e Piero Angela, e poi a diventare professore di cinema documentario all’università. Io feci tutto il servizio militare, e continuai a seguire i miei interessi per la pittura e la musica jazz, feci l’insegnante, e successivamente il grafico, il fotografo, il realizzatore di grandi installazioni multimediali, fino ad arrivare al problem solving con cui ho dato una sistemazione teorica a tutta la mia attività.

Anni dopo Carlo Alberto mi introdusse nel mondo editoriale e nell’ambientalismo, perché mi propose di scrivere insieme con Filippo Coarelli, archeologo classico mio coetaneo e collega, il libro “Arte nel Mezzogiorno”, dove mi occupai dei problemi di restauro monumentale e tutela del paesaggio nell’Italia meridionale, in un momento storico in cui non c’era ancora una coscienza ambientale e si cominciavano a percepire i danni ambientali della ricostruzione postbellica, dell’industrializzazione compulsiva e della speculazione edilizia. Poi man mano le nostre strade si allontanarono, gli incontri divennero sempre più sporadici, e ripresero quando, alla fine degli anni ‘70, io tornai in montagna e facemmo insieme diverse ascensioni sul Gran Sasso e uscite nelle falesie del Morra, di Leano e della Montagna Spaccata di Gaeta. Da allora è sempre rimasto fra i miei amici più cari, di quelli che, anche se non ci si vede per anni, quando ci si incontra di nuovo si riprendono i discorsi interrotti, come se fosse passato solo qualche giorno.

Ho fatto qualche bel lavoro per lui, come le animazioni per un documentario di ricerca medica e i disegni della guida alpinistica dei monti dell’Afganistan.

 

Uno degli schizzi da me realizzati per il libro “Peaks of silver and jade” di C.A.Pinelli e Gianni Predan, guida alpinistica dell’Hindu Kush afgano.

Solo recentemente ho scoperto la sua produzione narrativa, a cui si è dedicato dopo tanta scrittura archeologica, alpinistica e cinematografica. Ed è stata una felicissima sorpresa, che mi ha fatto rivivere le tante esperienze che abbiamo vissuto insieme, e nella nostra diversità ha fatto riemergere le nostre affinità, ambedue divisi fra interessi apparentemente diversi e incompatibili fra di loro – archeologia, alpinismo, cinema per lui, pittura antica, pittura moderna, fotografia e grafica, jazz per me – ma da noi combinati in modo inedito e diverso con l’anomalia stessa delle nostre attività.

 

La lettura de “I falò dei saraceni” mi ha portato con la fantasia ad immaginare le mie sliding doors, per citare il film di Peter Howitt con Gwyneth Paltrow (1998), dove un evento fortuito come la chiusura delle porte della metro cambia tutta la storia di una vita. Mi diverte pensare che se tutto fosse andato come avevamo progettato e io avessi fatto parte della spedizione, la mia vita avrebbe preso tutt’altra direzione, anche se non rimpiango nulla della vita che ho fatto. E così ho solo potuto immedesimarmi nel personaggi del romanzo, vivendo con la fantasia le avventure che avrei potuto vivere nella realtà.

Carlo Alberto Pinelli, direttore dei corsi SWAT per guide del Club Alpino del Pakistan, in montagna con due allieve.

(Foto tratta da: https://www.montagna.tv/115582/carlo-alberto-pinelli-lanima-di-roccia-e-ghiaccio-di-mountain-wilderness/)

Per un profilo di C.A.Pinelli vedi: https://www.mountainwilderness.org/faces-voices/guarantors/carlo-alberto-betto-pinelli/

Vedi anche http://www.carloalbertopinelli.it/indexIT.htm