Numero 56 Registrazione al tribunale di Roma N° 3/2004 del 14/01/2004

Cose di questo mondo

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di Laura del Vecchio


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Ero al super mercato quando una bambina mi ha confusa per sua madre. Mi ha presa per mano: “Mamma, io vengo con te e Leon sta con nonna”. Non avevo idea di quale effetto potesse fare sentirsi chiamare “mamma”. E’ stato un attimo. L’intuizione di un momento. Mi sono commossa. La bimba si è subito resa conto dell’errore e più sorpresa che spaventata ha raggiunto la propria madre raccontandole l’accaduto.

Io sono rimasta smarrita, come se per un attimo avessi vissuto la vita di un’altra persona. Una vita alla quale non credevo avrei mai avuto accesso.

Una vita alla quale come me hanno rinunciato mille altre donne “in carriera”, soggette alle regole non scritte di scelte semplicemente imposte dai fatti. Nessuna di noi ha mai deciso di non avere figli. Più banalmente è successo.

Anno dopo anno, un po’ alla volta, abbiamo finito per trovarci sedute sopra un cumulo di ore di straordinario e di giornate trascorse senza essere vissute. A servizio.

Donne trasparenti perché non sposate. Gli sconti “rosa” di Trenitalia la dicono lunga: viaggiano gratis solo le donne “accompagnate”. Viviamo in una società che riconosce valore alla donna se “arreda” o se “procrea”. In mezzo una zona grigia di donne cosiddette “con gli attributi” che, in quanto tali però, non sono né attraenti né fattrici. Inutili. Le battute sulla Rosy Bindi sono un offesa non solo alla persona ma anche e soprattutto un’onta per la società che ammette un tale ordine di pensiero.

Una società che se sente parlare di “uomini del Presidente” immagina rispettabili funzionari in completo scuro e se invece si riferisce alle “donne del Presidente” immediatamente fantastica di veline o di prosperose amanti.

Donne molestate. Donne stese con un pugno in metropolitana perché “in fondo se la sono cercata”. Donne abbandonate a se stesse. Donne su cui grava il peso della famiglia. Donne che devono fare le “cose da donne” e lavorare per un pugno di soldi. Donne per strada a battere i marciapiedi e uomini che sostengono che “ se lo fanno è perché gli piace e perché non hanno voglia di andare a lavare i piatti” .

Una società dove ancora si muore di parto e dove essere donna senza avere mai procreato significa esserlo a metà. Donne non si nasce ma lo si diventa. Si nasce persone e poi la società ti definisce. Ai miei tempi, alle elementari, i maschietti avevano i grembiulini blu e le femminucce quelli bianchi. Da subito diversi: blu per potersi muovere e sporcarsi, bianco a simboleggiare candore e purezza. Si cresce ma le differenze restano: in ufficio è lo stesso.

Da sempre ci hanno fatto capire che ce la saremmo dovuta conquistare la vita, seducendo o lavorando sodo. Cose di questo mondo, un mondo che si definisce sviluppato e che ancora non ha donne ai vertici: se qualcuna arriva in cima è solo in virtù di un potere delegato, da qualcuno e certamente uomo.

 

 

Laura del Vecchio: Due lauree, Giurisprudenza con tesi in Economia a Roma e Commercio Internazionale a Le Havre; due specializzazioni, in Economia dei mercati asiatici e in Comunicazione; due esperienze “in azienda” come export manager per Fiat Auto Japan e per Danone; due esperienze “di penna” al quotidiano economico “Nikkei” e all’ISESAO della Bocconi: un “saper scrivere e far di conto” che ha finito per trovare buon uso all’Istituto nazionale per il Commercio Estero. Nata il 13 settembre del 1968: da poco compiuti…. due volte vent’anni