Numero 56 Registrazione al tribunale di Roma N° 3/2004 del 14/01/2004

La collina della felicità

racconto di Diego Sivini e Paolo Ursic


Solo verità e realtà o solo fantasia? Nessuno è in grado di stabilirlo. La verità può assumere diverse sfaccettature. Da che mondo è mondo, la tua verità potrebbe anche essere dissimile dalla mia.  Non solo ma, il fondo di verità, condito con un giusto pizzico di fantasia, può creare quella realtà romanzata, tanto cara a chi si appresta a scrivere.  L’importante, è raccontare e divertire, oltre, ovviamente ad avere qualcuno che legge !

Il destino è testardo! Non ti molla.
Gli puoi opporre resistenza  forse per anni ma,  quello che tu non vuoi fare nella tua casa, nella tua città o nella tua nazione, o prima o dopo, lui te lo fa fare, magari altrove. E’ quello che è capitato a me. 
Per anni sono riuscito a dribblare i suoi tentativi di attirarmi nei tranelli che di volta in volta preparava. Proprio in Perù ci son caduto.
Nel mio caso,  accortosi della mia felice solitudine, si è avvalso addirittura di un orso per cambiare la mia situazione.   Un bellissimo orso bruno, con la complicità  di una fantastica  collina panoramica, di una giornata bella e luminosa, delle bellezze naturali che ho incontrato nel mio vagabondare per il Perù e di una o due dolci fanciulle. Ha vinto lui!
Ecco allora che con l’amico Diego Sivini, abbiamo deciso di raccontarvi il dove, il quando e il come…
Dal Perù - La collina della felicità  (Racconto di Paolo Ursic e Diego Sivini)

 

 

E’ da un po’ di tempo che io la chiamo  “La collina della felicità” ma in realtà si chiama La Collina Della Libertà, o meglio el Cerrito de la Libertad. Se ci penso bene però ora è diventata la collina delle responsabilità.   Dalla libertà, alla felicità, alla responsabilità, il passo è stato breve e del tutto inaspettato.  Davvero molto più breve del previsto.
Tutto è incominciato quando sono arrivato a Huancayo, in Perù.  Una ridente città di poco più, poco meno di  500.000 abitanti a …soli 3200 metri sul livello del mare, sulle Ande, nel centro di questo Paese dalle mille sfaccettature fortunatamente per buona parte ancora incontaminate.  Qui regnano i multicolori della natura,  vola il maestoso Condor e  vive ancora sana e vegeta una buona colonia di puma, come pure il famoso Chijuaco, uccello dai colori  nero e giallo che  costruisce  il suo nido pendente dai rami degli alberi, intrecciando rami ed erbe per proteggere i suoi piccoli dai serpenti.  E’ un’opera di alta ingegnosità, architettura ed arte. E che emozione vedere da vicino  il piccolo colibrì, un uccellino che passa da un fiore all’altro con il  suo becco lungo e sottile detto il picaflor.  E’ bellissimo vederlo sbattere velocissimamente le sue alette mentre succhia la linfa dei fiori.   Inoltre il Samagno e il Cudpet,  due quadrupedi tutt’e due della grandezza di  un cane con muso lungo, che, quando possibile, hanno pure una funzione alimentare per i peruviani… Ma la vera opera d’arte di Madre Natura sono le farfalle. Una miriade di farfalle di tutte le fogge e di tutti i colori. E ancora, andando da  Lima che è la capitale del Perù,  verso il sud, sulla costa, con l’arcipelago delle Isole Ballestas, ho avuto la grande emozione di vedere i leoni marini, i  simpaticissimi pinguini, i cormorani ed un’altra enorme quantità di uccelli marini atti a far felice o a far impazzire qualsiasi studioso di ornitologia. 
Oltre alla flora ed alla fauna, in Perù vale la pena di vedere  i deserti costieri, o le storiche ed ormai universalmente conosciute città di  Cuzco o di Machu Picchu che facilmente occupano  pagine di giornali o rotocalchi o palinsesti di radio e TV. Una volta raggiunte con l’ormai famoso trenino, munito anche di maschere d’ossigeno a scopo turistico, si rimane senza fiato non tanto per l’altitudine ma per la perfezione di quelle costruzioni e per l’ingegnosità applicata alle irrigazioni.  Vien da pensare quanto avanzate furono le civiltà precolombiane.
E che dire del lago Titicaca di ben 8300 metri quadri di estensione… Un lago che fa la concorrenza  al …mare.  Il più alto lago navigabile del mondo.
Il Perù: il destino…Huancayo… l’orso bruno.
Huancayo non poteva mancare nel mio itinerario attentamente preparato a Trieste, dopo aver consultato libri di botanica, di storia, di geografia e perché no, anche depliants pubblicitari.   Confesso però che, qualora non avessi iscritto questa città nel mio itinerario, l’avrei subito inserita nel programma di viaggio dopo aver conosciuto Leylà. 
Ma chi è Leylà ?
Uno strano e casuale incontro. L’ inizio di una avventura; ma non proprio con lei !
Andò così: Una volta giunto a Nazca, e trovato un opportuno alloggio per la sera, i cortesissimi albergatori, venuti a conoscenza della mia passione per le opere della natura,  mi resero edotto sulla esistenza delle famose linee dette di Nazca.
“Si,lo so! sono qui proprio per la visita a queste linee, conosciute in tutto il mondo. Devono essere molto interessanti da vedere”
“Non sono linee ma disegni” mi disse la signora nel suo super colorato costume peruviano. “Devi andarci “ continuò con aria di comando. “Se ami il Perù, ami anche i nostri antenati e non puoi ritornare in Italia senza aver visto di cosa sono stati capaci.  Le linee di Nazca racchiudono tutto il sapere degli antichi e anche il nostro… Sappi che è un posto particolare ci vanno molti turisti ma le linee di Nazca non sono per i turisti… ”
Ci andai quindi ben volentieri ed è ben difficile riportare sulla carta la forte emozione che si prova al vederle. 
Le linee di Nazca sono degli enormi disegni fatti dall’antico popolo dei Nazca  sull’omonimo  deserto.  Ma non sono visibili da terra. Si vedono solo dall’alto  e si sorvolano con un qualcosa che con un po’ di fantasia, potremo chiamare aeroplano,  tipo piper da tre/quattro persone. 
Frastornato dal rumore dei motori e dall’up and down del piccolo velivolo, riuscii a vedere, quei disegni.  Riconobbi facilmente   un condor, una scimmia, un ragno ed altri animali locali.  Rimasi incredulo.  Lacrime di gioia rigarono spontanee il mio volto al solo pensare  che mi trovavo di fronte ad opere così belle, eseguite tanti e tanti secoli fa non si sa ancora né come né perché, ma nemmeno a chi fossero indirizzate.  Rividi nella fantasia tutti quegli uomini di allora,  che andavano e venivano e si muovevano per lasciare ai posteri le oltre 13.000 linee che vanno a formare più di 800 disegni con profili stilizzati di animali comuni nell’area.  Incredibile eseguirli ma ancor più incredibile il  concepirli.  Per farli, sicuramente era stata necessaria una concezione astronomica, geometrica, zoologica assolutamente avanzata. Eppoi  una precisione e perfezione assolutamente fuori dal normale.
Il pilota mi vide emozionato e mi rivolse la parola:
- “Vedi, amico, noi indigeni chiamiamo questo luogo “Il deserto che parla”. I nostri antenati ci parlano. Questi non sono disegni, ma simboli che si possono vedere solo dall’alto, dal cielo… per il cielo.  Qui è racchiusa tutta la nostra storia, la storia dei nostri avi, la loro e la nostra cultura, il loro ed il nostro sapere, la loro e la nostra religione.  Non è facile che i nostri antenati parlino a degli stranieri… Loro ti hanno parlato.  Puoi essere fiero!  Ti vedo commosso … tu hai l’animo buono.   Anche a te, i nostri avi, il nostro deserto, ha parlato, fin dentro al tuo cuore… tu sei come noi; sei uno di noi”
Dopo l’atterraggio che non vi dico come avvenne, il pilota mi abbracciò e mi disse:
“ Buena suerte, amigo, i miei antenati ti hanno parlato.  Tu sei nella mia famiglia, tu sei un peruviano”
Non so cosa mi trattenne dal piangere come un vitello….
Rimasi frastornato, senza parole.  Il deserto di Nazca  mi ha parlato; ha parlato al mio cuore; la religione di tanti e tanti secoli orsono ha colpito ancora e ancora sicuramente colpirà.
Posso confermarvi che l’incontro con quegli albergatori, fu davvero importante e non solo per Nazca.  Devo a loro questo meraviglioso incontro con il pilota e furono sempre loro che mi parlarono del Canyon del Colca vicino ad Arequipa, consigliandomi una escursione.
Arequipa è una grande città di montagna nel Sud del Perù, vicino a vulcani spenti ma bollenti e la sua zona è molto interessante sotto il profilo geologico. Arrivato ad Arequipa,  forte del “comando” ricevuto dall’albergatrice di Nazca, prenotai una escursione organizzata verso il Canyon del Colca.  Pagai il dovuto e seppi che l’escursione durava due giorni.   Il giorno della partenza, salito che fui sul piccolo pulmino che i peruviani chiamano amichevolmente combi, mi trovai  del tutto per caso,  seduto  accanto ad una avvenente giovane signora dalle fattezze peruviane.  Davvero non male…
Fantastico! Chissà come sono le peruviane – mi chiesi.  Mi accorsi che mi muovevo lentamente sulla sedia.  Stavo pensando come  introdurmi…
Fortunatamente iniziò lei. Come in occidente, così anche in Sudamerica, le donne sono sempre più pronte a prendere l’iniziativa :

-“ Io mi chiamo Leylà, e tu?” disse in spagnolo.
Le sue parole mi arrivarono dolci e leggere come una carezza.
-“Paolo, o meglio Pablito” risposi
- “ Scommetto che sei italiano…”
- “ In effetti, sono di Trieste; nel nord dell’Italia”
Il ghiaccio era rotto! E giù a rotta di collo a chiedere e dare informazioni…
“Cosa fai?” “da dove vieni e dove vai?”  “Ti piace il Perù? Quanto tempo ti fermi in Perù?” e giù a ridere e scherzare, quasi felici come i bambini, a scambiarsi esperienze di vita e di viaggi.  Perbacco! Mi sentivo abbastanza Jndiana Jones, raccontando le mie avventure, naturalmente ingrandite e romanzate,  vissute in Indonesia o in Africa o… non ricordo neanche dove.  Furono due giorni intensissimi, vissuti in maniera davvero felice con il contorno di un Canyon del Colca  indescrivibile.  C’è da chiedersi come Madre Natura, nel tempo sia riuscita a fare delle cose tanto sorprendenti. Il Canyon del Colca è una immensa valle ricca di una particolare vegetazione, splendidi paesaggi ed un fiume che ti lascia a dir poco impietrito.  Scorre laggiù, in fondo, tranquillo, a più di tremila metri sotto i tuoi piedi. 
Le emozioni furono davvero forti; tanto più avendo a fianco la bella e simpatica Leylà con la quale avevo stabilito una naturale affinità di pensiero. 
L’ultimo giorno dell’escursione, quando eravamo ormai arrivati ai convenevoli di saluto,   lei mi porse un biglietto dove stava scritto il suo nome, la sua città ed il suo numero di telefono.  Ci salutammo come vecchi amici ed essa aggiunse: “Mi hai fatto passare due giorni indimenticabili. Ora lo sai! Io mi chiamo Leylà… vivo a Huancayo … se questa città fa parte del tuo itinerario di vagabondo,  avrò piacere di  reincontrarti“.
Rimasi piacevolmente sorpreso.  Non capita spesso di fare conquiste così rapide… e così intense.
Attento Paolo, non lasciarti trasportare… non sarà di certo una donzella, anche se simpatica, a farti cambiare itinerario!
Per cui, archiviato per il momento l’argomento, proseguii secondo gli schemi. 
Confesso che, nel corso delle varie situazioni e delle varie emozioni, a cui ero soggetto, mi veniva di pensare a cosa avrei  detto in quei momenti a Leylà se fossi stata al mio fianco.
Mi ero innamorato? Ma che state a pensare;  neanche per sogno.   Però…!
Autobus, treni, pullman, e tanti e tanti percorsi a piedi, si alternavano.  Passavo dalle alte cime impensabili per noi a quelle meno faticose e più respirabili. 
Da Huancavelica, città a 4000 metri s.l. dove mi ero fermato un paio di giorni, il percorso mi portò a prendere  uno di quei simpatici trenini che si fermano in ogni stazione e forse anche ad ogni casa che vede, a destinazione Huancayo da me ormai nominata la Città di Leylà. 
Il viaggio, per i tempi occidentali, fu lunghissimo. Ebbi modo così di assaporare i ritmi lenti del Perù, la simpatia che suscitano i peruviani e, naturalmente anche il previsto nuovo incontro con Leylà!  Piano a piano, un poco alla volta, quella figura femminile prendeva sempre più corpo provocandomi un certo senso di curiosità e di piacere.
Certamente riuscite ad indovinare quale fu la prima cosa che feci arrivato colà.   Ovvio, cercai un telefono e, trovatolo, trassi dal taschino dov’era religiosamente ripiegato da parecchi giorni, il foglietto con il nome e numero di telefono di Leylà  che  composi piano, piano, quasi lentamente assaporando la probabile felicità di Leylà nell’udire la mia voce. 
Ma non fu così. 
Lei non c’era. Sarebbe rientrata due giorni dopo.
Manco male, dopotutto, anch’io avevo ben diritto ad uno o due giorni di riposo; mi avrebbero fatto solo bene.  Cercai un albergo ed approfittai   di quel momento di pausa per riandare indietro con il pensiero  e fissare nella mente le stupende avventure vissute negli ultimi giorni.
Prima di arrivare in Perù, infatti, avevo attraversato con tutti i mezzi possibili ed immaginabili, la Bolivia. I paesaggi mozzafiato e le esperienze di viaggio sono impossibili da fissare sulla carta.  Ci vorrebbe una vita a raccontare tutti i siti di interesse storico ed ambientale che ho trovato sulla mia strada.  Rivedevo con il pensiero,  la costa boliviana del lago Titicaca.  Mi rivedevo inoltrato  nelle strette vie  di Copacabana,   unica cittadina degna di questo nome nella parte boliviana del lago.  Lì, avevo avuto modo di mangiare i suoi tipici pesci, la trota e il pierry. Avevo avuto la fortuna di prendere i battelli per  le isole Del Sol e  Della Luna che consentono passeggiate di ore ed ore indimenticabili tra il verde selvaggio, interrotto qua e là dalle stupende macchie multicolori dei vestiti dei boliviani. Non mi ero lasciato sfuggire l’interessante antico lago salato El Salar De Uyuni.  Spettacolo unico!  Il deserto di sale più grande del mondo
Evaporando, l’acqua di superficie, nel tempo, il lago si è solidificato ed è divenuto una immensa distesa bianca di sale. 
Ma non avevo tralasciato di continuare il mio cammino pure  lungo la costa peruviana del lago Titicaca.  E’ un lago straordinario, sembra un mare.   E’ diviso in due dalla frontiera Perù / Bolivia.  Si trova a 3800 metri sul livello del mare ed è il lago più grande del Sudamerica ed è anche il lago navigabile più alto del mondo.  E’ un mondo del tutto particolare.   Con i villaggi sparsi  qua e là come pietre preziose incastonate in un grande gioiello.  La cittadina di Puno ne fa da padrona con i suoi 120.000 abitanti.
Passeggiando per Puno, rimasi sorpreso da varie belle chiese costruite in quel posto e tuttora ben tenute. Come mai?  Me lo spiegò un peruviano colà di passaggio.
- “Hola! Que tal! “l’apostrofai e continuando in spagnolo:  “Come mai ci sono tante chiese da queste parti?”
- “Puno è sempre stata una zona molto forte.  Magnetica.  Qui attorno si trovano tanti resti archeologici perché qui, nei secoli passati, il Dio Sole concesse l’investitura a fondare il grande impero Incas dei nostri antenati.  Da qui partì tutto. Puno è da sempre stata la culla della civiltà, della nostra civiltà che già allora allevava il lama e gli alpacha, come noi.  Una volta non esisteva la città di Puno.  La fondarono gli spagnoli che la chiamarono San Carlos de Asturias.  Ma è nata come Puno e Puno è rimasta e Puno rimarrà per sempre.  Non esiste San Carlos.  Non esiste… “
- “Grandi questi Incas eh!” dissi per farlo continuare a parlare…
Ed in effetti continuò “Venuti gli spagnoli, i sacerdoti cristiani, volevano a tutti i costi, come dicevano loro, civilizzare le persone che qui vivevano in pace.  Allora costruirono tante chiese e costrinsero i popoli di allora a frequentarle.  Non ti dico cosa succedeva a coloro che si opponevano.  Da quella volta, le abbiamo e cerchiamo di tenerle bene.  Si dice che Dio premia chi lo rispetta! “
- “Quanta storia… tutta a Puno…“dissi
- “Io sono Inca, non sono Uros! Io vivo sulla terra” disse il peruviano senza ombra di dubbio
- “Cosa significa? Perché Inca e non Uros?” chiesi sorpreso
- “Gli Uros erano un popolo che non volevano far parte del grande impero Incas. Scapparono.  Si nascosero e sai dove?”
- “dove?” chiesi sorpreso…
- “Nel lago Titicaca, tra le canne di totora.  Si nascosero sulle loro barche e visto che la necessità di occultamento continuava nel tempo, su quelle barche costruirono con le stesse canne le loro case.  Si allargarono e le barche divennero isole galleggianti che ancorarono sul fondo.  Quelli si nutrono di canne e di canne vivono in tutto…”
- “Allora, quelle isole che si vedono sul lago, sono artificiali?”
- “Proprio artificiali e adesso quegli Uros si sono anche venduti ai turisti… non è bello… piano a piano perdono le loro tradizioni.  Hanno anche incominciato a cantare in inglese e forse qualche altra lingua che non conosco… non è bello! Ogni barca aveva il proprio modo di vivere, le donne avevano i loro colori determinanti, il proprio modo di vestire e  noi le riconoscevamo dal  colore di vestiti.  Oggi è sempre meno… io sono Inca e non Uros!... il turismo rovina.  Gli spagnoli ritornano… speriamo che non ritorni anche la storia… grandi ingiustizie ha sofferto il mio popolo… grandi… grandi”
E così parlando se ne andò.
Gli diedi un po’ di ragione.  D’altra parte il mondo non può fermarsi e da sempre la storia chiede sacrifici servendosi ora del territorio, ora della religione, ora della pazzia di persone senza scrupoli.
Sicuramente avete già capito che, con tante emozioni che ho vissuto, posso dire che, per me, il Perù è magnifico.  I peruviani sono di una semplicità e di una accoglienza a dir poco stupenda.  Non mi sono mai trovato a disagio eppure ho percorso quel Paese in lungo ed in largo con tutti i mezzi possibili.  Dalla costa con le sue stupende spiagge, alla montagna con i suoi ghiacciai innevati, dalla foreste amazzonica alle foreste tropicali  per non tralasciare il già menzionato  lago di Titicaca.  Ma è simpatico pensare di poter passare dall’estate all’inverno e viceversa in pochissime ore.  Se scegli un percorso particolare,  parti da un caldo mozzafiato ed arrivi – non certo lentamente-  alla necessità del paltò. 
Ed è anche bello capire che hanno tanto  e tanto rispetto per le loro tradizioni.  Non per ignoranza ma per convinzione.
La lingua che tutti parlano è lo spagnolo e se non lo conosci bene o non lo conosci affatto,  ci si arrangia  ugualmente perché tutti cercano di capirti e di aiutarti nelle necessità.  Meno comprensibile ed anzi davvero terribile, quando, tra di loro parlano il dialetto che è ancor oggi simile agli antichi idiomi.  Aymara o quechua. Non affannatevi a capirli perché tutte le cognizioni  di inglese, francese, lingue tedesche o slave o uralo-finniche o greco antico o latino, non vi serviranno a nulla.  Impossibile capirli.  Però, sono simpatici perché alla fine del loro contatto dialettale, saranno pur sempre cortesi e sintetizzeranno per voi le loro decisioni o le loro battute finali  in spagnolo. 

Si tratta solo di aver pazienza e di attendere. La pazienza, in Perù, è l’arma dei forti!
Le lingue ufficiali sono lo spagnolo ed il quechua che è l’antica lingua usata nell’impero Incas.
Camminando per Huancayo, ripassai le nozioni che mi ero messo in mente a Trieste, prima del viaggio.  Ricordai che è al  popolo degli Aymara ( che nell’era precolombiana avevano stabilito una fiorente civiltà agricolo urbana )  oltre che agli spagnoli,  che dobbiamo l’inserimento nei nostri consumi alimentari dell’uso della patata.  Ma, dopo alterne vicende belliche, tra il XII ed il XVI secolo, gli Aymara furono inghiottiti nel  grande impero Incas, con  capitale Cuzco. 
Si usa dire chi la fa l’aspetti ed infatti, nel 1532 arrivarono in Perù gli spagnoli al comando di Pizarro.   Parte con la forza e parte con poco puliti stratagemmi, l’esercito spagnolo munito di armi allora sconosciute, riuscì a sconfiggere gli Incas, mettendo in opera una vera e propria strage degli innocenti.  Pizarro rinominò quell’impero Nuova Castiglia. Gli spagnoli fondarono varie città, tra cui la stessa Lima che diverrà poi la capitale del Perù. 
Tra le  prime città fondate da Pizarro fu Ayacuchoe. Si dice che il destino non dimentica mai i torti dati e subiti  e fu proprio la battaglia che avvenne in questa città nel 1821 a vedere l’esercito spagnolo definitivamente in rotta e sconfitto.   Quella vittoria fu dovuta soprattutto all’istinto militare di Simon Bolivar detto il libertador.
Da quel momento, il Perù si libera dalla schiavitù spagnola e riprende la propria indipendenza. Un errore madornale del Perù indipendente, fu la guerra intentata da assieme alla Bolivia contro il Cile nel 1877.  Quest’ultimo  riuscì addirittura ad occupare Lima costringendo i due alleati a firmare la pace, dopo anni di trattative.
Ma lascio agli storici il compito di analizzare battaglie, guerre e trattati di pace. Io ritorno ben volentieri al racconto convinto come sono che vi sarete chiesti il perché del titolo : La collina della felicità.. 
Devo dirvi che il tempo, in Perù, ha un valore relativo, non certo per pigrizia ma perché,   se non si sta attenti, è abbastanza facile finire… arrosti.  Tanto forte è il sole nelle ore più calde.
Molte volte l’ organizzazione della giornata, viene effettuata proprio in relazione alla calura.  Quindi un po’ lenti, forse, ma pur sempre inesorabili-
Stavo ripensando a tutto questo e camminavo per le strade di Huancayo senza una meta precisa, anzi cercando proprio di perdere il tempo, cosciente di dover attendere ben due giorni per il grande incontro con Leylà, quando vidi il colle chiamato la Collina della Libertà.  Il nome mi piacque ma ancor più l’idea del panorama che avrei potuto scorgere lassù, per cui  intrapresi la salita.  Tutta la città ai miei piedi….  e sulla cima, mi attendeva una sorpresa.  Uno zoo.  Entrai; c’erano i llama, le vicuñe, gli alpaca, il grande ed imponente Condor, scimmie della selva ma anche animali di terre lontane, come un leone che mi guardava di sottecchi forse pensando che ero troppo asciutto per i suoi gusti… Ciò che stranamente mi colpì più di tutti fu l’orso.  Un bellissimo esemplare di orso bruno.     Non l’avessi mai visto ! Solo oggi mi accorgo,anche se con un certo piacere, che in quel momento, quell’animale, era un alleato del destino che, senza curarsi dei miei sogni e delle mie esigenze,  stava tendendomi l’agguato.
Un orso, un orso bruno, grande, grandissimo…
Lo vidi e lui mi guardò con due occhi metallici, penetranti ed insistenti.  Continuava a fissarmi quasi a volermi ipnotizzare.  Comunque sembrava  cercar di attirare in ogni modo  la mia attenzione.  Forse voleva dirmi: fermati, guardami, ho qualcosa da dirti, cerca di capirmi. 
Un orso? Ma che cosa può avere un orso da dire a me?  Posso pensare che alle volte ci possa essere una certa affinità di carattere … tra quello dell’orso e me.  Peraltro, anche il mio nome è Ursic! Ma che un orso voglia parlarmi…  non può essere che  oggetto della mia fantasia…
Prego, sigor Ursic, si accomodi nella mia tana che parliamo un pochino di lei e del suo destino… venga… 
Davvero idiota la mia considerazione.
Eppure, in un certo modo, cedetti.  Mi chinai, posai i gomiti sulla balaustra e mi misi a guardarlo. 
Iniziò allora una serie di lenti movimenti quasi a voler dare un senso ad una danza rituale. Continuava a tenere gli occhi fissi su di me.  Cercava di comunicare qualcosa… Notai che il balletto si andava lentamente rafforzando.  I movimenti del corpo, pur mantenendo fermo il suo baricentro, oscillavano sempre più.  Io lo guardavo tra lo stupito e lo stordito. Non riuscivo a capire.   Quella danza davvero non l’avevo mai vista.  Era come se racchiudesse in se tutta la dolcezza, condita però con un velo di tristezza, il tutto con un accenno di frenesia che continuava a salire, lenta ma inesorabile.
Puntai i miei occhi dentro ai  suoi e lui sembrò felice.  Mi chiesi se non fosse per caso il caldo e la stanchezza a giocarmi brutti tiri.  Cosa può un orso aver da comunicare? 
Ora portava la testa ondeggiando ritmicamente verso sinistra e riprendeva subito la posizione iniziale guardandomi.  Non si curava delle altre presenze, solo di  me.
 Pensai che, appena l’avrei vista, avrei dovuto raccontare l’accaduto a Leylà e l’avrei invitata a ritornare assieme lassù per vedere se l’orso avrebbe ripetuto il bellissimo ed intrigante rituale. 
Ah! Leylà, ma perché te ne sei andata senza aspettarmi ? Sarebbe stato bello essere assieme, quassù. Panorama splendido, zoo interessante e un orso intrigante.
L’orso continuava, guardandomi  girando di tanto in tanto la testa un po’ verso destra; riprendendo poi la posizione originaria.
Una usuale espressione che si usa in dialetto triestino,  si concretizzò facendomi dire, anche se piano “Ma vara ti ‘sto mato de orso”  (ma guarda tu cosa combina questo matto di orso).
In quel momento sentii una voce deliziosa che in spagnolo mi chiedeva:
“Ma vara ti? Cosa vuole dire? In che lingua parli?”
Sorrisi. “Non è una lingua ma un dialetto” risposi. Vidi che mi si avvicinava una dolcissima figura di donna. Bella, bellissima che mi fece immediatamente dimenticare tutto;  l’orso, Leylà, il Perù ed il mondo intero…
Attento, Paolo, mi dissi !
-  “Non è nè spagnolo, nè quechua, né aymero, che roba è ?”
- “Dialetto, dialetto triestino” risposi con un sorriso
- “Allora tu sei di Trieste. Sei italiano… Bella Trieste”
- “Tu conosci Trieste? “ le dissi sorpreso “ Ci sei già stata qualche volta?”
- “No, non io - rispose - ma  ho molto sentito parlare di Trieste e delle sue attività scientifiche.  Un mio lontano parente è stato a Trieste presso la Sissa… mi ha parlato di Miramare, di San Giusto e anche del Carso. …”
Mi è capitato spesso, nel corso del mio vagabondare per il mondo, di rispondere alla richiesta di dove fossi.  Qualche volta, all’inizio, dicevo che sono italiano ed ecco allora subito le note di “Oh! Sole mio” oppure quelle di “Volare”; così ho deciso di dire che sono di Trieste.  Stranamente ovunque si vada, il nome di Trieste gode di una fama notevole.  Forse gli unici a non saperlo sono proprio i triestini che, parlando in senso generale, mai si sono preoccupati di capire l’importanza che rivestono nel mondo intero le organizzazioni scientifiche che operano sul suo territorio; anzi, gli scienziati che vengono per degli stages o per ricerche più lunghe, a dir poco non interessano per nulla ai triestini.  Provate a chiedere ai semplici cittadini o ai ragazzi delle scuole medie o superiori se sanno dirvi di che cosa si occupa il Sincrotone o la Sissa o il Centro di Fisica Teorica. Peccato, davvero peccato che la città non pensi ad accogliere in un modo migliore questi studiosi probabilmente  già iniziati ad una importante carriera scientifica e che un domani potrebbero parlare di Trieste anche in termini turistici e di accoglienza.
Così ragionando, lo sguardo mi si riportò, quasi calamitato, sull’orso bruno. I suoi occhi erano meno metallici, anzi stavano acquisendo un non so che di luminoso.  Guardava me e guardava la deliziosa fanciulla che ormai mi si era avvicinata.  Mi parve  di vedere che annuiva con la testa. 
Roba da matti!
Un orso… un destino!
Mi guardò, mi salutò, si voltò e se ne andò, felice di aver fatto ciò che doveva. 
Ma che pensate? L’orso,  se ne andò, non la fanciulla che rimase estasiata a guardare il mio bellissimo chompa di colore blu intenso.  Il chompa è una classica maglia di lana, dalle maniche larghe,  generalmente tessuta a mano dalle donne peruviane. Il nome  sembra derivi dalla parola jump.
Lei riprese il dialogo:
- “Prima, guardando l’orso che danzava, mi stavo chiedendo … da dove potevi venire…”
-  “vuoi dire che, guardando l’orso, ti eri chiesta di che… razza sono?”
Rise di un bel riso, squillante ma non fastidioso; tutt’altro.
Eppure, fino ad allora mi ero sempre ritenuto un “duro”. Uno che non si lascia facilmente “abbordare” dalle donne.  In Perù, in pochissimo tempo, due conquiste una migliore dell’altra.  Stavo proprio alzando notevolmente la media…
Casualmente ed istintivamente tutti e due guardammo verso il sito dell’orso. Non c’era più, se n’era andato…Aveva finito il compito che il mio destino gli aveva affidato.
Anche noi andammo, lentamente, molto lentamente, parlando del più e del meno, del Perù, dell’Italia, della Bolivia, della Selva e di chissà cos’altro ancora.  Parlavamo e ridevamo come due bambini felici di aver trovato un nuovo gioco.
Chi mai avrebbe potuto pensare che quel nuovo gioco fosse il gioco dell’amore?
Eppure mi ripetei più volte Attento Paolo; Attento!
Giunti all’uscita dello zoo,  “Senti – le dissi – io mi chiamo Paolo e tu ?”
- “ Io sono Jaddie” rispose con un delizioso sorriso
- “Allora mi ha fatto tanto piacere conoscerti.  Io debbo scendere in città, vado a mangiar qualcosa e poi devo andare in albergo.”
- “Ti va di mangiare assieme ?” disse lei con un sorriso disarmante.
Tentai di chiudermi a riccio e rispondere di no ma come potevo resistere a quel sorriso da …bambina innamorata.  Mangiare da solo fa pur sempre tristezza.
- “E perché no! “ risposi inconsciamente felice
- “Ti va un barbon? “
- “A quest’ora? Un bourbon a quest’ora? Non mi piace molto bere e poi questa non è l’ora né il tempo giusto per un cognac…” le dissi con una specie di smorfia di disapprovazione
Rise, rise forte e mi piacque il suo modo di ridere
- “Ma cosa hai capito? Non parlo di bere ma di mangiare… un po’ di pesce. Il barbon è un pesce peruviano che si chiama così perché Madre Natura lo ha provvisto di due barbigli che sporgono sotto la mandibola.  A lui servono per muoversi e sentire dove… mette i piedi.”
- “un pesce che sente dove mette i piedi?  Questo Perù mi sorprende sempre più”
Ridemmo di gusto e poi Jaddie riprese:
- “Io so dove portarti a mangiare qualcosa di buono.  Vieni… vieni prendiamo questo sentiero “e mi prese per mano iniziando una lenta corsa.
Pensai che le donne peruviane sono davvero simpatiche.  Sanno metterti subito a tuo agio. 
Il mio cervello di solitario aveva ormai cessato di mandare gli usuali messaggi “Attento Paolo,… sta attento”.
Mi aveva abbandonato; non mi offrì più le usuali difese…
Il grande vagabondo, il quasi Jndiana Jones catturato come un leoncino… ma che dico… catturato come  un pulcino!
- “Sentiero? “ dissi “ Sentiero… luminoso!”
Lei ebbe un momento di esitazione. Si voltò verso di me ed intravvidi sul suo volto una espressione preoccupata. 
-“qualcosa non va?” chiesi…
- “Nulla! Andiamo!”
 Mi strinse la mano e…  giù per la collina a… rotta di collo.
Mi portò in uno di quei simpaticissimi chioschi aperti sulla strada, dove si mangia “alla casalinga”.  La cuoca cucinava e chiamava a gran voce i clienti probabilmente esaltando le sue doti culinarie.  Un pasto simpatico in simpatica compagnia.
- “Jaddie! Prima ti ho visto preoccupata. Perché ?” chiesi alla fine del pranzo
- “Nulla… nulla…!”
- “Ti si legge negli occhi e nella espressione del tuo bel viso che vorresti dirmi qualcosa ma non vuoi o non puoi.  Dai, fammi sapere cosa c’è che non va”  la incitai.
- “Paolo! Prima ha detto due parole: sentiero luminoso”
- “Certo! Sentiero perché l’hai detto tu che quello era un sentiero ed ho aggiunto luminoso perché c’eri tu che mi guidavi e lo illuminavi con il tuo bellissimo spirito di gioventù.  Non capisco cosa ci sia di male…”
- “Non pronunciare mai più quelle due parole assieme, almeno fin che sei in Perù!
Probabilmente non sai che qui,  in Perù, “Sendero luminoso” è sinonimo di terrorismo “
- “Terrorismo?” chiesi tra lo stupito ed il terrorizzato “proprio mi vedo, io, in tuta mimetizzata, con un mitra sulle spalle e tante bombe a mano e proiettili e il coltello,anzi due coltelli per traverso nella bocca, con elmetto munito di radar ed occhiali all’infrarosso, mentre vado all’attacco di non so cosa.  Si metterebbe a ridere anche una formica… Non  mi piacciono queste cose… Io amo la natura, amo vedere gli animali in libertà, amo l’ amicizia e la sincerità, anche se … alle volte il mio carattere sembra essere quello del nostro orso bruno dello zoo! “
- “Non ho detto che tu sei un terrorista; anzi, lo si vede dalla tua faccia e dal tuo comportamento che ami la pace.  Devi sapere però che Sendero Luminoso è stato fino a poco tempo fa sinonimo di lotta, di guerriglia.  Era e forse lo è ancora, un movimento di protesta rivolto al sociale ed all’economia. Contro i ricchi che diventavano sempre più ricchi a discapito dei poveri. Ai ricchi non importava nulla di produrre ricchezza ma soltanto sfruttare la mano d’opera.  Sentiero luminoso diceva di lottare per una più equa distribuzione della ricchezza.  Fu fondato da Abimael Guzman un professore universitario di filosofia che lo ha guidato fino al 1992 al momento del suo arresto. Portò i suoi compagni a diversi attentati. Voleva stabilire un tipo di repubblica ispirata alle teorie di Mao ma dimenticando che il Perù non è la Cina…”
- “Se così stanno le cose, non pronuncerò mai più le due parole assieme.  Promesso!” ed alzai le due dita della mano destra in segno di giuramento.
- “La mia stessa famiglia ne ebbe a soffrire.  Allora vivevamo in quella che chiamiamo  la selva.  Un giorno arrivavano i guerriglieri e lo stesso giorno o il giorno dopo,  i regolari.  Si alternavano e si combattevano.  Non c’era più sicurezza.  Ci si nascondeva ora dagli uni ora dagli altri e fu così che abbandonammo la casa…”
- “Era ben lontana da me l’idea di procurarti un dolore….”  Le presi la mano in segno di amicizia e lei ricambiò con un bacio sulla gota. Continuai dicendo: “ dai, su! Riprendiamo da dove eravamo partiti… ti ricordi ancora quel simpaticone di orso bruno? “
- “E come no! “ disse con un sorriso brillante.
Orso… orso delle mie brame … chi è la più simpatica di tutto il reame ?  La risposta non poteva essere che Jaddie!
Attento Paolo! Attento! Hai allentato le difese… svegliati! Pensa a qualcosa d’altro… sopisci i tuo istinto… stai per cadere nella trappola del destino… Attento Paolo! Pensa piuttosto a Leylà che ti aveva scosso dal torpore dei tuoi sentimenti ma non ancora da quello dei sensi…

Rincominciai non tenendo conto degli avvertimenti del mio cervello
- “A proposito di una equa distribuzione della ricchezza tra i ricchi e i poveri.  Il conto lo pago io...”
- “Perché, tu sei ricco ?” riprese lei
- “Se parli di ricchezza in termini di soldi, certamente no…lavoro  otto o nove mesi all’anno e poi me ne vado in giro per il mondo.  Sono curiosissimo e mi appassiona tutto quello che arricchisce la mia povera cultura.”
- “Cosa fai in Italia?” mi chiese sorridendo.  Il suo bel viso si atteggiò ad  un aria tra l’interesse, la curiosità e la sorpresa.
- “Faccio il tassista; vivo di quello “
- “Cioè ? guidi un taxi? “
- “Certo! Sei sorpresa ? “ Non mi lasciò il tempo di finire la mia frase che subito, con il massimo dell’allegria mi chiese:
- “Scusi! Lei è libero ? “
Ridemmo davvero a più non posso.  Ci trovavamo in sintonia di pensiero, di battute, di spirito di gioventù.  Ci stavamo completando l’uno nell’altro.  L’orso bruno, il destino, stava vincendo la sua battaglia.  Invano il mio cervello mandava segnali di attenzione.  Il cuore stava avendo la supremazia assoluta.  Tentai un ultima difesa:
- “Beh! A dire il vero sono qui per vedere una certa Leylà, una simpatica peruviana con la quale abbiamo passato alcuni giorni di escursione nel Canyon del Colca.  Lei è fuori città e, a quanto sembra, dovrebbe rientrare l’indomani.”
- “Allora non sei libero! Sei occupato” disse con massima tristezza. “Ti avrei prenotato volentieri per una lunga corsa… nella vita…”
- “Così presto?  Non ti sembra un po’ precipitoso? Non ci conosciamo nemmeno…abbiamo appena appena visto uno zoo e mangiato un barbon.  Non ti sembra troppo presto per prenotare una lunga corsa … in taxi?”
- “No! Non pensare che io sia di facili amori. Tutt’altro, eppure quando ti ho visto entrare nello zoo, il mio io è sobbalzato.  Mi sono chiesta cosa stava succedendo ma i miei occhi non si sono staccati da te fin quando sei arrivato al nostro orso…”
- “Cercavi di catturare la preda? “ la interruppi.
- “No, non è così. Io non voglio mai catturare nessuno.  La libertà è il bene più prezioso che esista al mondo, ma altrettanto lo è l’affinità di pensiero.  Vedendo la tua semplicità nel comportamento, la tua curiosità, il tuo modo un po’ canzonatorio di guardare il leone che pur ti guardava, il tuo modo di comportarti davanti all’orso, qualcosa mi ha suggerito che noi due siamo affini, amiamo la natura, amiamo gli animali, amiamo la pace e l’amicizia.  Mi sono accorta che non ti preoccupi del sacrificio,  visto che non ti interessa il lusso né il sistema di locomozione.  Si va vanti e basta.  E’ difficile trovare persone semplici con queste caratteristiche che poi sono simili alle mie!”
- “Aiuto! Aiuto! Salvate questa povera mia anima” dissi accennando ad un urlo ma parlando sottovoce… “ Ma cos’è questa ? Una dichiarazione di amore? Suvvia, ci conosciamo appena; abbiamo due culture completamente diverse, io tra poco devo ritornare in Italia, al lavoro.  Se ti va un’avventura di uno o due giorni, mi sta anche bene ma proporre ad un solitario di procedere assieme nella vita, è ben diverso”
- “No, caro mio, non hai capito nulla.  Io non sono adatta alle avventure “ e mise il broncio quasi io avessi avuto la volontà di offendere.
- “Ma neanche io sono adatto alle avventure…”
- “Ma in Italia sei sposato ? hai figli ?”
- “Sposato no e in quanto ai figli, che io sappia, non ne ho.  Vedi, mia cara, ho passato una giornata fantastica, confesso che c’è una affinità di pensiero e carattere che non ho mai provato finora.  Ho promesso a Leylà…” non mi lasciò finire
- “Ma chi è questa Leylà ? “ ribadì con forza “ Quale forza ha questa Leylà su di te ? Anche tu sei volubile, come tutti.  Una qualsiasi  ti si avvicina durante una escursione al Canyon del Colca e tu ci cadi.  E’ almeno bella, ti ha provocato qualche sentimento? E io? Ti ho provocato qualche sentimento? “
- “Questo è il solito lato caratteriale delle donne che non posso soffrire: la gelosia!”
E continuai “ Vedi che già rischiamo di non comprenderci ? Io ho promesso a Leylà di chiamarla quando sarei arrivato a Huancayo. L’ho già fatto e lo farò.  Ho promesso a Leylà di vederla e la vedrò.  Tu ed io abbiamo parlato di libertà e già vuoi catturare un …animale libero?”
- “Scusami , è la prima volta che mi capita.  Mi son lasciata andare senza controllo.  Non so se sia gelosia o che altro ma sto tanto bene con te.  Hai ragione sono proprio una sciocchina” alzando la voce continuò:
- “Non pensare che io mi conceda al primo venuto.  Sono di gusti molto difficili, non è stato facile, per me, avvicinarti e parlarti. Sono libera ma non libertina!”
- “Perbacco e io che ero convinto di aver fatto una conquista… per un giorno solo, o forse per due giorni, allora ho sbagliato tutto ? “ risposi con un po’ di sarcasmo…
- “Ma và, sono certa che non è così.  La dimostrazione sta nel tuo comportamento.  Molto signorile; hai riso e giocato con me senza strafare, senza chiedere quello che chiedono tutti”
- “tutti chi?” chiesi sempre con sarcasmo
- “E chi poi se non gli uomini?”
- “Bah! Abbiamo riso, ci siamo diverti un mondo, abbiamo giocato ai ragazzini anche con l’orso…”
- “il nostro orso” interruppe
- “Va bene… chiamiamolo il nostro orso.  Ora però mi sembra che da quando si è presentato il fantasma di Leylà, tutto si è rotto.  Hai rotto l’incantesimo!  Peccato…”
E continuai “ io direi che forse è l’ora che io rientri in albergo. Mi accompagni?”
- “Certo, se mi vuoi… mi spiace le ultime parole che hai detto.  Io non voglio levare la libertà a nessuno.  So bene quanto essa valga…”
Camminammo fianco a fianco guardando or qua or là. Parlammo del più e del meno. 
Il bel periodo dei giochi era finito, eppure, aver a fianco quella donna, mi portava un senso di leggerezza, forse di felicità. Ma assolutamente non dovevo farglielo capire.  Dovevo tenere il broncio il più possibile anche se lo mascheravo alquanto male.
Arrivati che fummo alla porta dell’albergo  lei riprese a condurre il gioco:
- “Domani sei ancora libero… dopodomani hai l’appuntamento con Leylà,  non è vero?  Io vorrei venirti a prendere domani mattina e rimanere con te tutta la giornata. Ti farò da guida.  Poi me ne andrò e ti lascerò con la … tua Leylà”
Avrei voluto rispondere:  “lasciamo andare” ma rividi come un simbolo il famoso orso bruno che mi suggerì … “cosa rischi se vai con lei domani ? Dopotutto ti ha promesso che  se ne sarebbe andata verso sera ! L’aveva detto lei…”
- “Mah! Va bene ti aspetto verso le dieci.” Le dissi con non chalance. Come se non mi importasse molto.
Mi baciò sulla gota e se ne andò.  La guardai camminare e mi venne da sorridere.  Non vorrei raccontarvelo ma confesso che avrei voluto davvero piacere di rivederla l’indomani.
Rientrato in albergo, mi concessi un buon riposo.  Pensai a lungo… Essere o non essere… Leylà o Jaddie?  Pensai che sarebbe stato utile avere una margherita da sfogliare, petalo dopo petalo… Leylà … Jaddie …. Leylà … Jaddie… Leylà… Ma nemmeno lo sfogliare una margherita avrebbe potuto darmi la risposta. Dovevo decidere io.  Però Jaddie era stata sempre spontanea, anche nella sua piccola gelosia. Ciò era una buona cosa.  Avevo riscontrato in lei una forte buona personalità. E mi addormentai.
Nel frattempo Jaddie, rientrata a casa,  stava mordendosi le mani:- “ Come sono stata sciocca… una stupida gelosia.  Gelosa di un uomo che ho visto per la prima volta, che non conosco per nulla, che non so nemmeno come si chiama, che so appena appena che viene da Trieste.  Sono stata davvero una sciocca e anche lui adesso penserà che io mi conceda al primo venuto. Chissà cosa mi è capitato.  Proprio una sciocca.  No, domani non ho proprio il coraggio di andare di nuovo  a vederlo.  No, non ci andrò… non ci andrò” e si mise a piangere.  Cessato il convulso, si addormentò.
Tanto in occidente quanto nell’America Latina, la notte… porta consiglio…

 

(continua)